LA TELEVISIONE DI STATO: I MINISTRI SI SONO RIUNITI, MA SOLTANTO PER POTERSI SFOGARE Paese in stallo tra depressione e paura Nessuno riesce più a indicare una realistica via di uscita
lunedì 18 febbraio 2002 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
SANGUE e ancora sangue per le strade di Israele, depressione,
disperazione,
paura. Nessuno sa più come uscirne. La qualità e il significato degli
attentati e dei successivi funerali che in Israele si sono svolti a
tutte le
latitudini, ai più distanti punti geografici fisicamente e
politicamente,
disegnano un'escalation palestinese cui Israele, ora come ora, non ha
risposta. Mentre il selciato di fronte al Mahane Shmonim, il centro
di
raccolta dei giovani soldati e le soldatesse che compiono la loro
parte
iniziale del servizio, era ancora pieno del sangue dell'ultimo
attentato,
una cronista parlamentare della tv israeliana, Keren Noibak, così
commentava
disorientata la riunione di gabinetto di Ariel Sharon e dei suoi
ministri:
« Si sono riuniti giusto per sfogarsi, per lasciar parlare tutti. E
uno dice
che bisogna riprendere le zone A (così Uzi Landau), l'altro che si
deve
frugare casa per casa ogni città palestinese per sequestrare le armi
(Nathan
Sharanskji), Peres e tutti i laburisti sono a favore di chiedere
comunque a
Arafat di riaprire trattative. E intanto, nulla sembra possibile
fuorchè il
terrorismo ossessivo e le solite rappresaglie israeliane con
obiettivi
militari. Da parte israeliana non può esserci un’ ulteriore
escalation, sia
perché il governo è spaccato, sia perché una democrazia occidentale
non può
avventurarsi in guerre sanguinose, sia perché gli americani non
vogliono. E,
d'altra parte, non ci può essere ripresa dei colloqui, almeno
ufficialmente,
perché il terrorismo continua e Arafat non dà segno di volerlo
fermare.
Sharon ci perderebbe la faccia di fronte a un popolo disperato» .
Alla confusione israeliana corrisponde, si capisce, un senso di
vittoria da
parte palestinese. Se guardiamo agli eventi dei giorni scorsi e ai
funerali
capiamo subito perché . Prima di tutto, due eventi di carattere
prettamente
tecnico: un altro lancio di un missile Kassam 2 dentro un kibbutz
dalla
striscia di Gaza, e la distruzione del carro armato Merkavà con
dentro
quattro soldati ventenni, di cui tre sono rimasti uccisi. Il Merchavà
è la
gloria dell'esercito israeliano, non solo perché è considerato il
tank più
veloce e più sicuro del mondo, capace di correre rapido e agile e
insieme di
essere una fortezza inespugnabile, ma anche perché è prodotto in
Israele, e
dotato di un sofisticatissimo apparato elettronico. Stavolta, a quel
che si
scrive, il disastro è dovuto al fatto che una speciale placca di
protezione
non era stata applicata. I generali ripetono alla tv che il carro
armato
israeliano resta eccezionale, ma l'opinione pubblica palestinese
registra
comunque la sua vittoria sull'invincibile arma.
Veniamo ai missili Kassam: qui per i palestinesi la soddisfazione è
doppia.
Non solo con essi è possibile mirare molto lontano ponendo in
pericolo un
arco molto più vasto di obiettivi, ma si è agito dopo che le truppe
israeliane non sono riuscite a scoprire e a distruggere la fabbrica
che li
produce; e dopo che Sharon ha minacciato più volte ritorsioni molto
serie se
fosse stato salito questo ulteriore scalino nella gestione
dell'Intifada.
Invece Sharon non ha fatto nulla di diverso o di particolare, né è in
vista
una svolta almeno fino a mercoledì , prossima riunione di Gabinetto.
Certamente non è buon consigliere di pace il senso di potenza offerto
a
svariate organizzazioni palestinesi dagli attacchi firmati nelle
ultime ore:
la strage di soldati, la penetrazione di un commando, prima fino al
centro
acquisti di Karnei Shomron - un insediamento a mezz'ora da Tel Aviv
benchè
nel cuore del Cisgiordania -, e poi, ieri, fino alla base militare di
Mahanei Shmonim, vicino a Hedera.
In termini di sentimento generale, in Israele, i funerali che si sono
svolti
negli ultimi giorni hanno portato la popolazione a un livello di
tristezza e
depressione difficile da immaginare: i due ragazzini dilaniati dal
terrorista suicida di Karnei Shomron avevano uno, Nehamia Amar, 15
anni, e
l'altra Keren Shatzkji, 14 anni: era in pizzeria con le amiche per
festeggiare il compleanno. Dagli ospedali non si trasmettono altro
che
immagini terribili di genitori distrutti: i medici raccontano per
esempio
che non riescono a decidere se operare una bambina con la testa piena
dei
chiodi che facevano parte della bomba del terrorista. Quanto ai
soldati,
anche le loro storie personale, in un Paese di immigrazione come
Israele
sono molto dure: Lee Nahman Akunis ucciso con un colpo sparato da
vicino
mentre era di guardia presso Ramallah, era rimasto in Israele per sua
scelta, mentre la sua mamma era tornata a vivere in Svezia, dove è
stata
raggiunta dalla notizia.
Anche la parte palestinese fa i suoi funerali e piange i suoi tre
giovani
uccisi durante l'incursione dell'altra notte a Gaza al campo di Al
Burej e
il suo ufficiale del Fatah, e accusa Israele dell'uccisione del
leader di
Hamas Nazih Al Siba'a. Alcune voci, come quella di Jibril Rajub, si
levano
per suggerire un riavvicinamento delle parti. Ma in queste ore il
campo
israeliano, oltre alla consueta disperazione, vive un momento di
grande
disorientamento. Qual è il prossimo passo? Dove va Israele? Che deve
fare un
Paese democratico in cui scoppia una bomba o c'è un agguato ogni ora?
Le
trattative, dice Sharon, possono riprendere solo di fronte a una
rinuncia
preventiva al terrore. Non solo questo non accade, ma, al contrario,
tutti
gli esperti di cose palestinesi sostengono che Arafat cerca di nuovo
un
clima sovreccitato per invocare l'intervento internazionale e il suo
affrancamento dall'assedio di Ramallah.