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LA SVOLTA VISTA DA ISRAELE COME DIALOGARE CON CHI HA RIVENDICATO LA M ETÀ DEGLI ATTENTATI SUICIDI Olmert chiama Abdullah e Mubarak

sabato 28 gennaio 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Sgomento e tristezza in Israele. Ehud Olmert e la ministra degli Esteri Tzipi Livni telefonano freneticamente a tutti i leader del mondo. Olmert chiede aiuto a re Abdullah e a Hosni Mubarak. La gente a Gerusalemme, a Tel Aviv, a Haifa, si incontra, si mette le mani in testa, si guarda negli occhi, fa una faccia, a volte scoppia in una risata sarcastica. Hamas al governo dell’ Autonomia Palestinese? Come se a suo tempo Renato Curcio fosse stato eletto a grande maggioranza Primo Ministro. Il mondo intero cerca di consolarsi dicendo che Hamas compie una encomiabile missione caritativa presso una massa di poveri, di malati, di disoccupati; che è stato votato perché il Fatah, al potere da decenni, non ha voluto rinunciare a una sfacciata corruzione operata rubando sui fondi della Comunità Europea, degli Usa, sui servizi pubblici, sulla polizia, sui posti di lavoro.. Ma in Israele ci si ricorda soprattutto che quasi la metà di tutti gli attentati terroristi suicidi sono stati compiuti da Hamas, che dal 1992 il cosiddetto ingegnere Yehie Ajash cominciò a far scoppiare l’ uno dopo l’ altro gli autobus di Gerusalemme e di Tel Aviv carichi di scolari e di vecchi, che a Gaza, da quando i coloni sono stati sgomberati sono fioriti i nidi di missili Kassam; e che anche ieri, nella consueta litania di minacce, da Damasco (da dove pare si prepari a tornare) Khaled Mashaal, il capo all’ estero, quello che tiene i contatti con l’ Iran, la Siria e gli Hezbollah, e quindi anche i cordoni della borsa, ha detto che il suo vittorioso partito non ha intenzione di disarmare, e che Israele cederà solo alla lotta armata, come, secondo Hamas, a Gaza. E quindi qui viene la grande crisi di coscienza e politica della classe dirigente israeliana: cambiano completamente le facce degli interlocutori, non più i grandi comunicatori come Saeb Erakat o i politici quasi democristiani come Abu Ala. Si fa avanti una schiera di giovani islamisti, di professionisti e professorini guidati da leader terroristi che hanno con la morte e con l’ ideologia che la propone come martirio una consuetudine civettuola; che odia i locali dove si riuniscono i giovani di Ramallah e di Betlemme e tutto quello che sa di occidente; che porta in parlamento una madre che ha mandato tre dei suoi figli a farsi saltare per aria come shahid, invece di rinchiuderla. Israele si fa sostanzialmente e con senso di colpa, quattro domande, due da destra, una da sinistra, una neutrale. E sono tutte buone domande. Quelle di destra, le fa Netanyahu e dietro di lui Silvan Shalom, ex ministro degli Esteri, e i partitini oltre il Likud: « Abbiamo porto ad Hamas la vittoria su un piatto d’ argento - dice Shalom - perché sgomberando Gaza abbiamo consentito a Hamas di vantarsi del terrorismo e di sostenere che siamo scappati» . « Hamas vuole adesso istituire un Hamastan - segue Netanyahu - ci costruisce un fronte di Ahmadinejad in casa. Come pensare a ulteriori sgomberi?» . L’ altra domanda di destra riguarda le elezioni, e la fa anche molta gente di sinistra, come il famoso giornalista Nahum Barnea di Yediot Aharonot: « Sharon non si è opposto alla richiesta di Bush e del mondo di lasciar svolgere le elezioni anche se Hamas vi partecipava» , dice in buona sostanza Barnea. « Senza farsi fare nessuna promessa da Hamas ha lasciato che corresse senza impacci,anche a Gerusalemme, verso la vittoria. Che razza di stupidaggine è la nostra? Abbiamo lasciato che Abu Mazen, l’ unico nostro interlocutore, venisse spazzato via in nome di un malinteso senso democratico» . Poi la critica da sinistra: « Avremmo dovuto - dice Ytzchak Herzog, uno dei nuovi leader del partito laburista - evitare l’ unilateralismo, trattare l’ uscita da Gaza con Abu Mazen, dargli così un maggiore aiuto» . Infine, la critica neutra: abbiamo sottovalutato, dicono soprattutto gli analisti militari come il generale Shalom Harari, la propulsione islamista che ha invaso tutto il Medio Oriente. Dal centro Sharon non può rispondere, ma i suoi, come Haim Ramon, forniscono tutte le spiegazioni che possono. Ramon dice che comunque uscire da Gaza è stato giusto, per motivi demografici, per difendere il sionismo democratico e la natura di Israele. Che i sondaggi palestinesi sono stati sbagliati fino all’ ultimo, e che quindi le elezioni non apparivano così cruciali. Hamas è stato votato su una piattaforma violenta e antisemita: la sua carta, siglata nel 1988 dal fondatore, sceicco Yassin, fa i conti non solo con gli ebrei d’ Israele, ma con quelli di tutto il mondo che « dopo aver rubato la Palestina - recita la sezione 32 - aspirano a espandersi dall’ Eufrate al Nilo» . In realtà , Hamas ha una forte spinta modernamente legata alla parte più estrema dell’ Islam, all’ Iran di Ahmadinejad, che infatti ha porto le prime e più vive congratulazioni. « E’ stato un mega attentato politico - dice disperato il giornalista di Haaretz Ari Shavit -. Ora che accadrà ? Le guardie dell’ autonomia palestinese saranno uomini di Hamas, che invece di arrestare i terroristi secondo la road map, li proteggeranno?» .

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