LA SUA PRESENZA INIBISCE L’ AZIONE DEL NUOVO GOVERNO ANP Gerusalemme: è Arafat il problema numero uno Che il Raí ss abbia o no responsabilità negli u ltimi attacchi suicidi è suo interesse che le trattative sulla Road Map fin iscano in nulla
martedì 20 maggio 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
LA Road Map? Che cosa è ? In queste ore in Israele a così poca
distanza
dall’ incontro fra Abu Mazen e Sharon, si ricevono sarcastiche
esclamazioni
ed alzate di spalle quando si chiede se può avere successo. Nessuno
lo
esclude ancora: il dopo Iraq, Sharon lo sa bene, deve prima o poi
cominciare
da qui; Bush seguita a chiederlo come pegno di amicizia, e quindi la
prospettiva è sempre aperta. Ma in queste ore, la gente e i politici
si
chiedono cose diverse: quanto conta Abu Mazen, se Arafat non lo stia
strangolando, se l’ ondata di terrorismo non è destinata a rimandare a
casa
il nuovo primo ministro palestinese senza niente di fatto e
addirittura con
un rilancio dell’ Intifada. Le ultime rivendicazioni parlano di Jihad
Islamica e di Martiri di Al Aqsa, il braccio armato del Fatah. Abu
Mazen non
riesce a farci nulla; Sharon non muoverà un passo senza che ci sia un
segnale che funziona non la Road Map, che non ha ancora formalmente
accettato del tutto, ma l’ indicazione teorica di George Bush del 24
giugno
scorso: « Pace soltanto con un regime rinnovato che combatta il
terrore» .
Invece, l’ ondata di attentati terroristici ha rimesso il sangue in
primo
piano, e George Bush ha detto ieri commentandoli: « Crediamo sempre
nella
Road Map, crediamo nel futuro Stato palestinese, ma chi ci crede con
noi
deve soprattutto battere il terrorismo non con le parole ma con i
fatti» .
Come dire: avanti, ma con giudizio.
Gli israeliani sono ripiombati nell’ atmosfera di angoscia quasi
identica a
quella della Pasqua di un anno fa, quando a Natanya saltò per aria un
albergo dove si celebrava la cena rituale della Pasqua ebraica e
furono
uccise 29 persone. Qui il numero dei morti per fortuna è minore, ma
il ritmo
degli attentati è forsennato, e l’ effetto si unisce a quello degli
attentati
di Al Qaeda nel mondo, al senso di accanimento che si vede in questo
continuo saltar per aria, giovani con la faccia da chierichetto come
Bassem
Jamal al Takrury; o la ragazza che ad Afula ha ucciso altri ragazzi
come
lei, oltre a sé stessa; o i tre membri della stessa famiglia, tutti
terroristi suicidi usciti da Hebron; o nel pomeriggio di ieri un
ciclista
carico di tritolo a Gaza... Chi pensa più alla Road Map? Solo i
leader della
sinistra, Amram Mitzna e Za Ava Galon, che sostengono che Sharon
sarebbe
dovuto partire comunque per Washington, e non rimandare, e accusano
anche
Bush di non aver insistito abbastanza nel farlo partire.
La strada per la pace, sostiene la sinistra onorevolmente, deve
essere
percorsa comunque, e se non funziona, aggiunge Mitzna, dobbiamo
attuare un
ritiro unilaterale. Ma gli risponde Gideon Saar, presidente della
coalizione, non c’ è con chi trattare: « Il ruolo di Abu Mazen sembra
ancora
terribilmente limitato e infragilito dalla presenza di Arafat: non si
vedono
segni di cambiamento nella politica dell’ Autonomia Palestinese. Luce
verde
al terrore, come ai tempi del Raí ss» . E Dennis Ross, che certo non è
un uomo
di destra e che è il principe delle trattative di Oslo, manda a dire
dagli
Usa che « quale leader al mondo, di fronte ad un attacco terroristico
di
questo calibro, avrebbe lasciato il suo Paese?» .
In sostanza, rimandare l’ incontro, vuol dire rimandare il
congelamento delle
colonie, e anche i futuri sgomberi e le misure di sollievo per la
popolazione palestinese: Sharon certamente usa questo tempo per
destreggiarsi con la sua destra. Ma nessuno è veramente contento,
fuorché in
due casi: quello di chi vuole restare ad abitare negli insediamenti,
e
quello di chi pensa che Abu Mazen non sia ancora uscito dalla vecchia
strada
maestra e quindi non ci si possa fidare. I settler che non vogliono
lasciare
casa propria, e i capi del Mazdal come Effi Eitan e Shauli Yaalom
dicono:
« E’ indispensabile bloccare ogni contatto con Abu Mazen finché non
dimostra
chiaramente di non essere Arafat» ; e invece, sull’ altra linea, Shaul
Mofaz,
ministro della Difesa, afferma: « L’ Autonomia Palestinese seguita ad
essere
in gran parte sotto il controllo sia economico che militare di
Arafat. Prova
ne sia che Abu Mazen non ha accettato la proposta fattagli faccia a
faccia
da Sharon sabato notte: Israele sgombererà Gaza o un’ altra zona a sua
scelta
che Abu Mazen si senta di poter gestire» .
Perché Mofaz considera questa una prova della limitatezza e quindi
dell’ inaffidabilità dei poteri di Abu Mazen? Perché « gestire» vuol
dire per
il governo di Israele intraprendere una campagna contro il
terrorismo,
qualsiasi sia la zona prescelta per questo primo esperimento
dall’ Autonomia
Palestinese: ciò che Sharon vorrebbe sarebbe sperimentare sul campo
una
nuova linea politica dell’ Autonomia Palestinese. Ma Abu Mazen, che
affronta
nel suo campo l’ opposizione di fazioni terroriste molto accanite, e
perdute
dietro la falsa illusione di potersi liberare di Israele, non osa
ancora
affrontare la prova del fuoco.
Inoltre, se Abu Mazen riuscisse nel suo intento, Arafat diventerebbe
un
leader di secondo piano. Che Arafat sia o meno responsabile diretto
degli
ultimi attentati terroristici, condivide, in ogni caso, un interesse
nel
limitare l’ importanza della trattativa sulla Road Map allorquando a
gestirla
sia il suo compagno-rivale Abu Mazen. Il Raí ss, infatti, in una
recentissima
intervista alla Fox ha detto chiaramente di essere sempre sulla
breccia.
Questo, però , è un punto fondamentale perché il governo israeliano
torni a
parlare con serietà della Road Map, sostenuto dal consenso della
gente.
Tant’ è vero che Sharon ha dichiarato che qualsiasi esponente europeo
vada in
visita da Arafat, non potrà incontrare esponenti del suo governo.