LA STRATEGIA DIETRO LA PREVISTA RISPOSTA ALLÆ ATTACCO KAMIKAZE DI HAIF A La svolta di Gerusalemme: colpire ovunque Le vittime del Kippur risvegli ano un incubo per il governo israeliano
lunedì 6 ottobre 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
NELLÆ APRILE 2001, dopo che alla vigilia di Pasqua durante la cena
rituale
furono sterminate intere famiglie in un albergo di Natanya, Israele
dette il
via allÆ operazione Muro di Difesa: un cambiamento strategico che,
individuando una situazione molto pericolosa e peggiorata e priva di
un
orizzonte politico praticabile, chiudeva la fase di Oslo e sceglieva
di
perseguire i terroristi dentro le citt€ ovunque si trovassero, sia in
Cisgiordania che a Gaza; distruggere le loro infrastrutture;
abbandonare
ogni parvenza di fiducia nellÆ idea che lÆ Autonomia Palestinese
volesse
battere il terrore con i suoi mezzi. Adesso, dopo questo attentato di
Kippur, si vede allÆ orizzonte un altro cambiamento strategico,
indicato dal
bombardamento (senza morti, ciø che indica il suo carattere politico
di
avvertimento) del campo di addestramento della Jihad islamica vicino
a
Damasco: si tratta stavolta dellÆ identificazione senza mezzi termini
di un
orizzonte internazionale del conflitto, della dichiarazione di
volerlo
combattere ovunque si presenti.
CosÆ ˆ accaduto negli ultimi mesi che ha causato questo spostamento
che ha
ben poco a che fare con una rappresaglia? Dopo che Abu Mazen, in
seguito
alla guerra irachena e alla decisione di cambiare lo scenario
mediorentale
complessivo, era riuscito a diventare primo ministro, le porte della
trattativa sembravano essersi riaperte: anche se egli non ha mai
promesso di
smantellare le strutture terroristiche, pure Israele si era illusa
che il
suo tirarsi indietro fosse un fatto tattico, e che sopravvivesse una
componente palestinese devota allÆ idea di un cambiamento strategico
che
riproponesse, tramite la Road Map, lÆ idea di due Stati per due
popoli, e,
insieme alla promessa di pace, quella della democratizzazione. Grosso
modo,
sia pure fra tentennamenti e sospetti, Sharon ha mantenuto il timone
in
questa direzione finch‰ gli attentati si sono fatti di nuovo fitti
proprio
in concomitanza con la defenestrazione di Abu Mazen. Qui gli attacchi
a
Hamas hanno preso la strada delle eliminazioni mirate a largo raggio,
e
anche della prospettiva concreta di esiliare Arafat, ritenuto il
principale
stratega del diniego, col rifiuto di Camp David, della prospettiva di
due
Stati per due popoli.
Poi ˆ sopraggiunto Abu Ala, e qui le diplomazie segrete, con
unÆ apparenza di
stand-by per tre settimane da tutte e due le parti, hanno deciso che
era
conveniente che si freddasse il tavolo. Ma intanto gli avvertimenti
per 22
tentati attentati suicidi si sono rincorsi nellÆ ultimo mese, e Abu
Ala ha
dichiarato di non avere intenzione di fermare il terrore, sulla linea
di
Arafat, preferendo condannare gli attentati ex post; Arafat
rafforzato dal
voto dellÆ Onu che lÆ ha sostenuto contro Israele e dallÆ uscita sulle
prime
pagine del tema della barriera di difesa, ˆ ritornato in primo piano,
cosa
che per Sharon non avrebbe potuto essere peggiore. Anche Colin Powell
ha pi·
volte parlato di ½ atteggiamenti negativi© di Israele, e intanto
mentre la
barriera segnava uno stallo a causa delle pressioni americane, Arafat
riprendeva il comando a pieno. Ma n‰ Hamas, decimato, n‰ le Brigate
di Al
Aqsa del Fatah, avevano le condizioni per agire, sotto schiaffo la
prima,
sotto stretta sorveglianza la seconda. Ed ecco che entra in scena la
Jihad
islamica, organizzazione molto legata a Baghdad e a Teheran,
silenziosa,
dotata di guerrieri addestrati in Siria collÆ aiuto e gli ordini
iraniani.
Dopo la guerra in Iraq, Bashar Assad aveva accettato di pagare
allÆ America
il prezzo della chiusura delle sedi di Hamas e della Jihad a Damasco;
ma si
era rifiutato di espellerne i leader, considerando che quel gesto
sarebbe
stato ritenuto un tradimento della causa palestinese, oppure
immaginandosi
di potersi tenere questa seconda manche per unÆ occasione in cui gli
serva
unÆ altra fiche da giocare sul tavolo internazionale. Ma questo
ritorno in
azione della Jihad Islamica ˆ stato molto, troppo clamoroso: di nuovo
famiglie intere, nonni, genitori, figli piccoli, sono state spazzate
via
della faccia della terra. In una parola, lÆ intenzione eliminatrice
della
guerra in corso ha sopravanzato il suo carattere territoriale. La
sensazione
dellÆ assedio proprio alla vigilia di Kippur, quando si fanno i conti
con se
stessi e con gli altri e si chiede perdono dei propri errori, ˆ molto
intensa: talvolta i peccati si fanno per omissione di pensieri
spiacevoli,
seppellire tanti bambini proprio quando ci si avvia alla sinagoga per
Kippur
fa ricordare lÆ orgoglio e la distrazione che impedirono di prevedere
lÆ attacco della guerra del Æ 73. Tutti erano nelle sinagoghe, digiuni,
quando
le sirene urlarono: il Paese era stato attaccato in profondit€ sia
dalla
Siria che dallÆ Egitto. Israele in quel caso rischiø la vita per non
aver
voluto credere di essere in una situazione in cui il desiderio di
vederla
sparire dalla zona, si era semplicemente trasformato in azione, in
unÆ avanzata militare.
Adesso molti, nel dolore di una miriade di insostenibili lutti, si
interrogano sul rischio profondo oltre che su quello immediato, sulla
maniera in cui gli attentati susseguitisi a grappolo debbano essere
valutati. Nei giorni scorsi un sondaggio rivelava che la maggioranza
degli
israeliani temono che nel loro Paese non ci sia un futuro per i loro
figli.
Si capisce che lÆ allargamento strategico del conflitto non ˆ un gesto
di
dolore e di rabbia: ˆ unÆ indicazione che ormai si ˆ convinti del
fatto che
il conflitto ha una dimensione che non si ferma ai confini, che non
ha a che
fare solo con i Territori; ˆ lÆ arma non tanto segreta di tutte le
dittature
mediorentali non moderate per tenere alta la temperatura, per
mantenere il
controllo sulla propria popolazione, per fomentare il terrorismo, ˆ
un
ottimo strumento per far politica e contare. Israele attaccando il
campo di
addestramento ha compiuto un gesto strategicamente molto arrischiato,
perch‰
ha aperto il vaso di Pandora. Bashar Assad avverte di non giuocare
col
fuoco, ma in realt€ il messaggio dello Stato ebraico riguarda una
quantit€
di falø gi€ accesi dal terrorismo internazionale.