LA STRATEGIA DELLE BRIGATE DI AL AQSA: I GRUPPI RADICALI CERCANO IL CAOS PER INDEBOLIRE ABU MAZEN Un siluro per bloccare le elezioni
lunedì 2 gennaio 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
La sequenza dei rapimenti operati soprattutto dagli uomini delle brigate di
Al Aqsa, uomini che in teoria dovrebbero rispondere ad al fatah di Abu
Mazen, è diventata frenetica. A noi italiani, ci ha già investito due volte.
Settimane fa era stato tenuto in cattività per una giornata il giornalista
Lorenzo Cremonesi, e adesso è toccato a un giovane trascinato via da uomini
armati mentre la sua delegazione capeggiata dalla famosa attivista della
causa palestinese onorevole Morgantini, si trovava a Khan Yunis nella
Striscia di Gaza. Probabilmente il gruppo si sentiva protetto dalla sua
solidarietà per i palestinesi chiaramente professata. Pochi giorni prima era
toccato alla britannica Kate Burton, anche lei attivista e volontaria,
assieme ai suoi genitori.
Ormai la lista è lunga, e il fatto che finora la fortuna abbia assistito i
rapiti non deve illuderci in tempi di estremismo e rabbia. Vale quindi la
pena di sottolineare che un rapimento come quello di ieri avviene quando si
sottovaluta il pericolo dell’ uso abituale della violenza che purtroppo, dopo
lo sgombero israeliano da Gaza, è aumentata verticalmente invece che
diminuire come molti speravano. L’ illusione che la solidarietà per i
palestinesi costituisca un distintivo di salvaguardia, un lasciapassare,
nasce da una valutazione sbagliata delle forze e degli umori in campo.
Terrorismo e violenza non riconoscono amici e nemici, come si vede benissimo
in Iraq, e anzi consta anche a Gaza e in Cisgiordania di un generico rifiuto
popolare per gli occidentali, comunque la pensino.
L’ ondata di disordine che investe l’ Autonomia Palestinese ne dà segni
continui: ancora ieri un altro gruppo armato ha fatto esplodere e bruciato
il club dell’ Onu a Gaza City dove si servono anche alcolici; a Nablus è
stato razziato un albergo dove si ospitano gli osservatori stranieri; ci
sono state anche dichiarazioni di gruppi estremisti che promettono che il
passaggio di Rafah (tra Gaza e l’ Egitto) sarà proibito a tutti gli
stranieri. Si tratta del passaggio oggi controllato dagli europei.
In queste settimane, accanto a queste azioni ne sono state compiute altre
dozzine: rapimenti, distruzioni, ricatti e sparatorie, tutte a carattere
interno. Gruppi armati del Fatah attaccano altri gruppi di Fatah
specialmente con il pretesto di combattere la corruzione del gruppo
dirigente di cui ritengono Abu Mazen il principale rappresentante. Con il
voto alle primarie del Fatah per Marwan Bargouty, fondatore delle brigate di
Al Aqsa, la gente del Fatah ha voluto significare la sua volontà di scalzare
i vecchi di Tunisi, far slittare le elezioni, istituire maggiore democrazia
ma anche seguitare a usare l’ arma di Bargouty, la violenza.
Sulla scia di questo scontro ideologico si è mossa, con tutti gli attacchi
di queste settimane, la speranza dei vari militanti di ottenere danaro e
posti di lavoro spaventando Abu Mazen. Si può capire che in questa terribile
confusione di fronte alla quale Abu Mazen si prodiga in condanne senza
tuttavia agire con determinazione, l’ altro grande contendente elettorale,
Hamas, fa un’ ottima figura di fronte alla popolazione, e guadagna punti
dando impressione di compattezza. L’ organizzazione integralista islamica
gestisce la sua rete caritativa, prepara liste elettorali in cui figurano
numerosi accademici, professionisti, donne, e molti personaggi legati con il
terrorismo di cui Hamas si fregia come di una carta elettorale decisiva.
Infatti rivendica la liberazione di Gaza come conquista delle sue azioni
terroriste e suicide.
La lotta armata e il rifiuto di riconoscere Israele sono state ribadite
anche ieri dal candidato di Rafah Ghazi Hamad, e ogni giorno c’ è chi ricorda
che non si tratta con Israele, contro la volontà di Abu Mazen. Insomma: lo
scontro « mani pulite» unito all’ opzione violenta, con quella « vecchio gruppo
dirigente corrotto» unito all’ opzione della Road Map, fa sì che le elezioni
del 25 gennaio siano a forte rischio. Abu Mazen vorrebbe spostarle tanto che
ha incaricato Abu Alla, primo ministro, di trattare con Hamas.
Fare le elezioni e vedere una grande affermazione di Hamas sarebbe la fine
per Abu Mazen, ma rimandare le elezioni sarebbe un ennesimo segnale di
debolezza. Tutt’ e due le ipotesi sono accompagnate dalla preoccupazione che
la fine della tregua siglata fino a ieri dalle organizzazioni estremiste per
una sospensione degli attentati (mai rispettata ma comunque in parte fino ad
oggi attiva) prepari un’ escalation senza precedenti. Infatti dal Libano Al
Qaeda per la prima volta fiancheggia Hezbollah nel lancio dei missili su
Israele; e, novità assoluta, missili Kassam piovono ormai non solo da Gaza
ma anche dalla Cisgiordania. Secondo fonti di intelligence israeliana le
buone intenzioni di Sharon e Abu Mazen sono un tale ostacolo sulla strada
dell’ integralismo islamico specie iraniano, che lo sforzo per impedire ogni
avvicinamento è diventato un obiettivo strategico perseguito con ogni tipo
di aiuto e con larghezza di mezzi.