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LA STORIA SI RIPETE IN MEDIO ORIENTE Il killer arriva puntuale Due giorni dopo la pace del Mar Rosso

martedì 7 settembre 1999 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV IL faraone è stato ferito mentre fendeva la folla che lanciava per aria i fez in segno di gioia. Il sangue è sgorgato dal suo braccio, ma il suo volto olivastro, mediterraneo, è rimasto quieto, quadrato. Non sono certo nuovi gli attentati a Hosni Mubarak, Raiss d’ Egitto. Il penultimo, a Addis Abeba, è solo del giugno ‘ 95: nove persone spararono sulla sua limousine. Anche allora, come probabilmente stavolta anche se l’ attentato non è rivendicato, si trattava di integralisti islamici. Anche allora Mubarak non fece una piega. E oggi, che ha già 70 anni, subito dopo l’ attentato ha tenuto un lungo discorso politico in televisione: il volto era impenetrabile anche subito dopo aver visto le sue guardie stendere al primo colpo l’ uomo che ha tentato di ripetere le gesta di Khaled al-Istambul, l’ ufficiale di pura fede islamica che ammazzò il 6 ottobre del 1981 il presidente Anwar Sadat, reo di aver fatto la pace con Israele a Camp David, colpevole di aver guardato negli occhi con un sorriso il primo ministro Menachem Begin, e di aver detto « non più guerre» alla Knesset di Gerusalemme. Mubarak sa che l’ attentato di ieri ha significati che trascendono la sempiterna aggressione a cui lo sottopongono le organizzazioni integraliste. Lo sapeva anche quando, minimizzando, ha dichiarato in fretta che il suo attentatore altro non era che un folle; a lui non è mai piaciuto neppure nominare l’ islamismo integralista, gli assassini del suo adorato mentore. « I Fratelli Musulmani? - chiese ai giornalisti che lo interrogavano sulla loro consistenza dopo la tragedia - Quando sarete partiti chiederò al ministro interessato se ce n’ è ancora qualcuno negli ospedali psichiatrici» . L’ attentato di ieri, isolato o frutto di un’ operazione programmata dai gruppi che hanno fatto tanti morti fra i turisti e i civili in Egitto, e che contano a centinaia e a migliaia i loro morti giustiziati sul selciato del Cairo e i loro prigionieri, è un gesto che ripropone cupamente la tragedia mediorientale nella sua infinita ripetitiva sequenza, e che grida, così come lo hanno riproposto domenica gli attentati di Haifa e di Tiberiade: la pace è là , a portata di mano; la colse Sadat, la colse più tardi Rabin, e poi dalle sabbie e dalle città rumorose di quest’ area del mondo uscì ancora e ancora il mostro della fede cieca, e li uccise. Adesso, ci prova di nuovo. Mubarak solo due giorni prima aveva ospitato a Sharm el-Sheikh Ehud Barak, Arafat, re Abdullah, e Madeleine Albright che si erano scambiati reciproche promesse di pace. Tutti i presenti avevano ringraziato l’ ospite, Mubarak, per il ruolo giocato dall’ Egitto. Ed ecco l’ attentatore, puntuale. Oltretutto Sharm el-Sheikh conserva ancora la memoria del summit antiterrorismo in cui molti leader arabi, insieme con Shimon Peres e Bill Clinton, l’ avevano giurata a tutti i fanatici: Mubarak aveva marciato per mano insieme agli altri, e il nemico era un vero nemico, uguale per tutti, l’ interesse di lavorare insieme autentico, il pericolo per l’ integralismo da una simile alleanza, tangibile. Con l’ avvento di Netanyahu a primo ministro d’ Israele, Mubarak aveva levato rimproveri e minacce molto severi. Aveva anche lasciato che la sua stampa e i suoi intellettuali si lanciassero in polemiche e satire così accanite contro gli ebrei da apparire in certi casi antisemiti. Ma appena Barak è stato eletto, Mubarak, l’ ex pilota educato in Russia, ricostruttore dell’ esercito, eroe della guerra del Kippur, restauratore dei rapporti con il mondo arabo dopo la morte di Sadat, ha ripreso immediatamente il suo disegno strategico: la pace mediorientale col riconoscimento da parte del mondo intero del ruolo dell’ Egitto come fondamentale. Maggiore, certo, di quello della Siria, della Giordania, in quanto primo fra i Paesi arabi moderati. E’ solo l’ Egitto, secondo la strategia di Mubarak, che una volta abbandonata l’ idea panarabista di Nasser può suggerire quella di un pacato e degno nazionalismo arabo su cui vegli il Cairo. Mubarak fa paura ai nemici integralisti della pace perché non ama inchinarsi in pubblico verso la Mecca. E’ nemico degli Stati estremisti, impegnato, ma senza troppa fiducia, a recuperarli ad un gioco moderato. Iran, Iraq, Sudan, non trovano un ammiratore nel Raiss; egli sa che da sempre invece che essi sono stati impegnati nella sovversione contro di lui. Mubarak ha interesse che il processo di pace israelo-palestinese e anche quello con la Siria abbiano completo successo: in pace palestinesi e siriani non sarebbero più fonte di continui guai nella zona, sarebbero tributari di un più forte Egitto, non rappresenterebbero più focolai di integralismo, sempre inviso al Raiss. Inoltre, se la pace dovesse fallire è difficile pensare che gli Usa seguiterebbero con i loro massicci aiuti e con la vendita di armi, che nel 1990 ha raggiunto la quota di 10 miliardi di dollari. Mubarak ci tiene a tenere l’ esercito tranquillo e anche a garantire al suo Paese un’ immagine di grandeur. Mubarak sa anche che la pace serve per il grande progetto di sviluppo del Sinai, per riuscire a sollevare la sua economia da sempre in ginocchio, per passare alla storia, in definitiva, come il leader che ha svoltato e restituito dignità al suo Paese, nel mondo arabo, e di fronte all’ intero contesto internazionale. Quel volto immobile di faraone ha in realtà un guizzo di modernità nell’ angolo degli occhi mediterranei. E questo non piace agli assassini della pace.

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