LA STORIA La mamma che sfida Netanyahu
sabato 4 aprile 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
LA casa di Tel Aviv di Manuela Dviri, nata Vitali
Norsa a Padova 49 anni fa, è in una di quelle piccole strade di
Tel Aviv che dicono: pace. Che la invocano con l'eleganza europea
dei modesti appartamenti nelle case in stile bauhaus, con le foglie
lucide dei pitosfori sotto il sole marino, mentre la città finge,
al contrario di Gerusalemme, che non esista il conflitto, non
esistano gli arabi, che il tempo trascorso con gli amici nei caffè
del centro a commentare un buon libro e a dir male di Netanyahu
costituiscano un mosaico di normalità , di equilibrio.
A Manuela e Avraham Dviri è stato ucciso un figlio sulla
frontiera del Libano il 28 febbraio scorso, di notte, mentre faceva
la guardia. Aveva vent'anni. Gli hezbollah hanno cominciato a
lanciare delle granate sulla postazione di cui faceva parte Joni
(Yonatan) Dviri, tutti i compagni sono corsi a rifugiarsi nel
bunker tranne cinque soldati che in quelle ore erano di guardia.
Tre sono stati uccisi, due feriti. "Joni ha fatto dunque il suo
dovere. Ora anche Netanyahu lo deve fare, e tutta la classe
politica lo deve; e lo devo anch'io, visto che Joni l'ha fatto,
anch'io, sua madre, devo fare la mia parte".
Manuela è una donna molto bella, con una massa di capelli scuri,
gli occhi brillanti, magra, abbigliata con cura italiana. Anche la
sua piccola casa di Tel Aviv è ammobiliata con bei divani, molti
libri, una cucina piena di citazioni estetico-culinarie italiane.
Una sua zia ha scritto un famoso libro di cucina. Ha due sorelle di
cui una vive a Torino (si chiama Eva Lanza) e l'altra a
Gerusalemme. La sensazione di calore e di felicità sostanziale che
emana da Manuela, da suo marito, dalla sua casa, rende il dolore
ancora più stupefacente, blasfemo. Oltre a Joni, Manuela ha altri
due figli, Ejal di 29, e la femmina, Michal di 25, sposata e
incinta di otto mesi.
Il marito Avraham, porta la kippa fatta a uncinetto, colorata,
segno che è un religioso nazionalista ed osservante, ma per niente
estremista. È un avvocato di origine nordeuropea. Si incontrarono
sulla nave turca Iskanderun che li portava, appena adolescenti, in
Israele, sionisti: ma lei laica e di sinistra, e lui religioso. E
sono rimasti così , identici, legati in maniera oggi ancora più
commovente. Mentre parliamo lui passa spesso per farle una carezza
e ci prepara il caffè .
"Chi dice che il cuore di mamma sa, prevede, intuisce, dice una
grande sciocchezza. Quella sera andammo al ristorante, abbiamo
riso, scherzato, mangiato. Poi siamo tornati a casa, ed Ejal era
seduto sul divano insieme con due soldati. Sono entrata, mi hanno
guardata, li ho guardati, è stato un attimo. Non hanno avuto
bisogno di dire niente. La morte la capisci subito: quando c'è ,
riempie improvvisamente tutto l'orizzonte. E allora io, proprio
come quando ho partorito Joni, mi sono messa a gridare. Ho urlato e
urlato. E il mio utero che allora lo aveva partorito, quel giorno,
invece, ha cominciato a sanguinare all'improvviso. Dopo le prime
ore, però , a notte fonda, un pensiero ha cominciato a lavorare
dentro di me. Prima del funerale nella mente si rincorrevano due o
tre frasi che poi ho letto mentre lo sotterravano e che
sostanzialmente dicevano: "Ci siamo voluti sempre molto bene,
siamo stati così bene insieme. Adesso, nonostante quello che è
accaduto, dobbiamo seguitare a cercare di farlo lo stesso, a star
bene insieme e con noi stessi, se per caso lui ci vede, per non
addolorarlo; e se non ci vede, per non addolorare noi stessi"".
Dunque, poiché Israele è il
Paese dove tante volte i padri seppelliscono i figli, esiste una
prassi consolidata, una serie di azioni cerimoniali tra cui una
lettera del Primo ministro alla famiglia orbata. Manuela stavolta
ha deciso di rompere il cerimoniale. E dopo aver ricevuto la
lettera di Bibi, gli ha risposto con una lunga missiva su cui ha
concordato tutta la famiglia, compreso la ragazza di Joni, Miri.
"Caro Bibi" dice in sostanza la lettera "Joni è nato in una
famiglia dove i cliché non valgono nulla. Una famiglia con un
padre nazionalista religioso e una madre laica, un padre sabra e
una madre immigrata dall'Italia, uno di destra e l'altro di
sinistra. Tu mi scrivi che non dimenticherai mai Joni, insieme con
tutti i ragazzi senza il cui sacrificio non potremmo oggi vivere
qui. Belle parole... Dici anche che abbiamo pagato un altissimo
prezzo, che la nostra sofferenza è terribile, ed è vero. Abbiamo
pagato un prezzo enorme, e adesso esigiamo una ricompensa. Tu
prometti di non dimenticare il tuo dovere verso Yonatan... Ma lo
intendi veramente? Allora guarda, senza volgere lo sguardo altrove,
guarda negli occhi questa foto di Joni che ti spedisco. Sappi che
il tuo dovere e quello di voi tutti leader verso Joni e i suoi
amici è di essere creativo, molto creativo, di cercare ogni strada
possibile anche a rischio personale, di darci speranza...". Così
ha scritto Manuela Dviri, e dopo solo altre due settimane e
un'altra lettera spedita al Primo ministro è arrivata la lunga
risposta: "Manuela, shalom. Ho letto la tua lettera e non mi è
facile risponderti...". E qui il Primo ministro ha cercato di
spiegare alla madre di Joni quanto vorrebbe ritirarsi dal Libano,
quanto sia difficile farlo, e quanto soprattutto
egli tema che andarsene sia un'audacia che mette in pericolo la
vita di molti. È una lettera molto affettuosa "e forse" dice
Manuela "adesso penso che abbiamo contato per un qualcosa, anche
piccolo, nella scelta del governo che in questi giorni ha adottato
la risoluzione dell'Onu, e vuole uscire dalla fascia di sicurezza.
Ma le parole non bastano, e io subito ho scritto a Bibi: "Noi
pensiamo che puoi portare la pace solo se scegli la strada
difficile, che domanda coraggio, risolutezza, creatività e senso
del comando. Ricordati di Begin e Sadat che con la loro scelta di
pace presero su di sé un gran rischio, distrussero ogni barriera
fra destra e sinistra e passarono sopra l'odio antico fra i due
popoli, creando una pace che dura fino ad oggi".
Manuela e suo marito non sono mai stanchi; il modo in cui hanno
preso la tragedia in mano come una bandiera, li rende strani,
splendenti come eroi antichi. "Piango molto la notte, oppure quando
guido la macchina andando al lavoro all'istituto Weitzman, o quando
alla radio trasmettono qualche canzone che mi commuove. Ma ci
sforziamo di restare gente che crede nella vita, che non ha odi
ideologici, che pratica il buonsenso. Joni era un tipo carismatico,
silenzioso; da un ragazzino grassoccio, era diventato molto in
fretta un uomo alto e anche un soldato molto bravo, come abbiamo
saputo solo oggi, senza che ce ne rendessimo conto. Era anche un
ragazzo molto fortunato: ricordo che alle slot-machines i soldi gli
cadevano in mano non appena cominciava a giocare; e la sua ragazza
è un tesoro, e lo amava tanto; e i suoi amici ogni sabato ci
riempiono la casa. Non portava su di sé nessun segno di tragedia.
Al contrario. Noi siamo tutti quanti una famiglia di ottimisti e
sembrerà strano, ma abbiamo scelto di seguitare ad esserlo".
Fiamma Nirenstein