LA STORIA La drusa uccisa dalla libertà
domenica 24 luglio 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV IHLAS Bassam, alias Ruti Simons. Non avrebbe volu-to essere
ricordata così , riversa per terra, coperta di sangue, con le donne
del villaggio che accorrono urlando in arabo-druso, con la futa
candida che nasconde i capelli, la gioia e la mente. Forse avrebbe
voluto essere ricordata come a poche ore dall’omicidio tutta Israele
l’ha vista in televisione: bellina, gli occhi brillanti sotto la
frangetta biondo-artificiale, qualche accento inglese nella voce:
miei fratelli (e sullo sfondo mentre parlava, seria, vestita
all’occidentale, in minigonna, si intravedevano i sindaci delle
cittadine druse a convegno, con i cappelli duri bianchi, le
palandrane nere e i bei mustacchi). Il mio desiderio oggi è quello
di costruire un orfanotrofio a Rama, il mio villaggio in Galilea.
Perché i bimbi scorrazzano solo fra le pecore e i sassi e fra i
rischi della guerra. Mi chiamo Ihlas, ma anche Ruti Simons, ormai
vivo in America, ho 38 anni; no, non sono sposata. Certo, lo so bene
che da noi drusi le donne si sposano a 16 anni. Però come vedete non
ho dimenticato il mio popolo: sono qui alla conferenza di Acco sulla
dignità e i diritti dei drusi. Secondo me per essere una donna, per
essere una drusa, non occorre portare la futa. Essere drusi vuol dire
ben altro. È un senso di orgoglio piantato nel profondo dell’anima.
Ihlas Bassam era arrivata all’aeroporto Ben Gurion da New York poche
settimane prima. Possiamo immaginare uno di quei pomeriggi di caldo
israeliano, folla e baci appiccicosi di fronte all’aeroporto: i
religiosi neri coi riccioli stringono le mani dei loro omologhi
americani appena arrivati da Brooklyn, i boy-friend si avvinghiano
alle loro bellezze americane tornate dopo l’altra estate. I vecchi
arabi baciano sul viso più volte i giovani che tornano, ognuno il
suo. Ma Ihlas Bassam, bionda e in minigonna, spinge raggiante il suo
carrello verso un gruppo disomogeneo rispetto a lei: sono le sue due
sorelle vestite in abiti tradizionali e i suoi due fratelli drusi,
Ziad, il più grande, e Hussam, 20 anni, che serve come tanti drusi
nell’esercito israeliano. Hussam guarda la sorella con curiosità ,
con amore, e subito anche con sospetto: la minigonna, i capelli al
vento, e così biondi... Con la macchina si sale verso le alture
della Galilea, sul Monte Carmelo. È un viaggio attraverso Israele in
un altro mondo, il mondo dei drusi:
usano dire i drusi
Guardate invece i curdi, gli armeni. Dove sono finiti? Noi che non
abbiamo mai lottato per un ideale nazionalistico, ma siamo rimasti
attaccati alle nostre tradizioni anche all’interno delle società
altrui siamo in continua crescita: 80 mila in Israele, 500 mila in
Libano, 600 mila in Siria, 50 mila in Giordania. Non facciamo male a
nessuno, non vogliamo accettare torti da nessuno. Abbiamo dato 289
morti alle guerre israeliane dal ‘48 in avanti. Non siamo gente che
si tira indietro, non abbiamo paura di perderci dentro il loro
esercito, dentro il loro Paese. La nostra tradizione e la nostra
religione ci salvano. Prima di divenire in America l’emancipata Ruti
Simons, Ihlas aveva vissuto a Rama in quella casa di mattoni col
giardino. Le don-ne, quand’era piccola, come adesso, se ne stavano
sempre insieme in una stanza interna, nascosta, sedute sui materassi
di vestiti o sui tappeti, in mezzo ai bambini. Le grandi, sempre col
fazzoletto in testa, tutte avvolte nei vestiti lunghi, con la
proibizione di andare a comprare alcunché da sole. Mai da sole,
neppure al mercato. Mai uscire dopo il tramonto, se non col marito;
sempre senza gioielli, senza trucco, col tabù dell’adulterio posto a
pari grado con l’assassinio. Ihlas si vedeva da bambina chiusa in
casa in attesa del marito che sarebbe stato condotto fin dentro il
salotto dalla sua famiglia. Si immaginava la scena dell’incontro:
sarebbe entrato col suo piccolo corteo, il vestito delle feste, i
baffetti, si sarebbe seduto sul sofà ; si sarebbero guardati da
lontano, nel giro di qualche mese avrebbero potuto scambiare qualche
parola, e poi tenersi per mano davanti a tutti. Le veniva portata ad
esempio la storia di una parente che per caso una volta passeggiando
in un Wadi col suo promesso, quando lui aveva voluto toccarle la
mano, gli aveva detto: ; e da quel
momento il promesso l’aveva amata di vera passione mista ad
ammirazione per sempre. Fra le druse ci si può emancipare, ma sotto
forma di sante, pensava Ihlas Bassam come aveva fatto la nonna di
Walid Jumblatt, il capo druso, oppure la santona del villaggio di
Zamia Fatma el Zalaf. Perché le donne sono ammesse alla religione
esoterica per soli iniziati che appartiene ai drusi, e ai drusi
solamente. È il loro grande privilegio. Nessuno conosce il contenuto
del libro dei drusi, ma le donne che lo vogliono possono essere
introdotte alla lettura. E stando tutta dentro il libro, dentro la
casa, dentro il matrimonio, dentro la solitudine, Ihlas avrebbe
potuto divenire come sua madre, come sua nonna. Dal momento del suo
ritorno Ihlas amava prendere il sole nel giardinetto di casa.
Semisdraiata su una sedia, si abbronzava al sole di montagna, le
gambe scoperte dalla minigonna, le braccia nude. Anche l’altro giorno
aveva deciso di riposarsi così . Si era portata il registratore per
riascoltare un’intervista che aveva dato alla radio israeliana in
occasione della conferenza di Acco. Quel registratore, possiamo
immaginare, lo usava anche per ascoltare le canzoni preferite:
canzoni non arabe, ma americane. I ragazzini del villaggio, dietro i
cespugli, la guardavano. Stavolta Ihlas mette su l’intervista.
All’improvviso entra in giardino in panni borghesi il giovane soldato
bruno, suo fratello Hussam. Anche lui, coi suoi 20 anni, lotta con se
stesso; ha sentito molto spesso la tentazione di diventare uguale
agli israeliani liberi, spregiudicati, talvolta blasfemi, con cui
condivide il servizio militare. Ma è un druso. Anche lui ama le
ragazze come Ihlas, con la minigonna. Ma le israeliane. Quella invece
è sua sorella, è una drusa. E adesso si sente imbarazzato e
sconvolto da quelle gambe al sole che i ragazzini guardano da dietro
i cespugli. Il registratore parte: , chiede
l’intervistatore. , risponde la ragazza dal
registratore. E qui i ragazzini, da dietro i cespugli, cominciano a
udire il litigio tra fratello e sorella. Perché menti? Quale Ruti?
Tu sei Ihlas Bassam. Tu sei una donna drusa. E copriti le gambe. La
tua vita è quella delle donne druse. Sì , io sono una donna, sono
anche una drusa, ma sono anche se mi pare Ihlas, e anche Ruti. La mia
vita appartiene a me e a me soltanto.
Copriti, mettiti la futa in testa. Copriti le braccia. Oppure vattene
via.
voglio bene, ma la mia vita è mia, qui e altrove, non è vostra.
Hussam, dove vai? Cosa vuoi da me?. Così i ragazzini vedono, da
dietro i cespugli, crescere la rabbia di Hussam, lo vedono correre ad
impugnare urlando il suo mitra Galil e sparare 20 colpi sul corpo e
sul viso incredulo di Ihlas. Poi, le donne con la futa corrono tutte
intorno. Hussam si siede da una parte, quieto ad aspettare la
polizia, protetto dal fratello. Ziad ai giornalisti ha detto:
siamo i drusi, figli dei drusi. Non biasimo mio fratello, non sarò
mai contro di lui. Nessuno nel villaggio lo giudicherà male. La
sera tutta Israele ha visto alla televisione in un programma
sull’orgoglio druso la bella biondina con l’accento americano
rivendicare l’onore del suo popolo e progettare un orfanotrofio per i
ragazzini che perdono tempo scalzi girovagando nel villaggio fra le
pietre. Fiamma Nirenstein