LA SFIDA DEL TERRORE GLOBALIZZATO ACCERCHIATI Israele nella morsa del terrorismo islamico
venerdì 29 novembre 2002 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
STRETTI in una tanaglia terroristica, in prima linea di fronte a un
fronte
largo quanto può esserlo quello lungo da Fatah (con le Brigate di Al
Aqsa
che hanno rivendicato l'attentato di Beith Shean) e Al Qaeda, così si
sente
il pubblico israeliano oggi. Il terrorismo ha di per sé un carattere
onnicomprensivo, dall'autobus al supermarket, dal teatro al
ristorante alla
scuola: esso occupa l'intera società . Adesso, da ieri si è spinto
simbolicamente ancora più lontano, nelle vacanze degli israeliani
nella
lontana Africa, fino alle urne dove si votava per il candidato del
Likud al
ruolo di Primo Ministro.
« Il voto è il momento più sacro della democrazia, ovvero della vita
civile -
ha detto Sharon - è significativo che ci vengano a colpire proprio
davanti
alle urne. Andate a votare!» , ha insistito, gridandolo, per tre
volte. Così
come il ministro del turismo Ytzchak Levy ha incitato: « Non
chiudetevi in
casa. Non possiamo promettervi di proteggere gli israeliani dovunque
siano,
ma non vi chiederemo tuttavia di starvene a casa» . E' una posizione
che però
contrasta col generale senso di accerchiamento. « Di fatto - dice
l'esperto
di terrorismo professor Eli Karmon dell'Università di Herzlya per gli
studi
sul terrorismo - siamo nel mirino di Al Qaeda proprio in quanto
israeliani
ed ebrei, oltre che essere sottoposti ad attacchi quotidiani da parte
dei
terroristi che appartengono all'area strettamente dedita alla causa
palestinese. Di fatto, dopo le Torri Gemelle, l'impresa maggiore di
Al Qaeda
è quella dell'attacco alla sinagoga di Jerba, e il piano del dicembre
scorso
di far saltare per aria le ambasciate americana e israeliana di
Singapore,
evitato perché i piani sono stati scoperti in Afghanistan. Anche in
Australia è stato arrestato un membro di Al Qaeda che aveva
pianificato
attacchi alle sedi diplomatiche israeliane a Camberra e a Sidney. Al
Qaeda
cerca accoliti nel mondo musulmano intero spostando l'epicentro del
suo
attacco contro gli ebrei: lo ha detto Bin Laden stesso nella sua
cassetta
registrata affidata a Al Jazeera, lo ripete il suo teorico e vice Al
Zawairi
nel suo libro e nei suoi articoli: non abbiamo posto abbastanza
l'accento
sulla lotta a fianco dei palestinesi, contro gli israeliani alleati
degli
americani. Specie adesso, che è in vista la guerra contro Saddam» .
Non suona strano a Israele anche l'idea che ci possa essere una
partecipazione palestinese diretta all'attacco di Mombasa: a Roma,
ricorda
Karmon, ci furono ben due tentativi negli anni 70 di abbattere aerei
dell'El'Al con missili, e uno era proprio sulla rotta Roma-Nairobi;
negli
anni ottanta, sia un aereo della TWA che uno Pan Am furono attaccati
fatalmente da commando palestinesi. « Se si attacca con missili da
terra un
aereo civile mentre decolla, siamo nel mostruoso, davvero tutto è
possibile» , ha detto Bibi Netanyahu, oggi ministro degli Esteri - Si
tratta
di è una vera escalation terroristica, una minaccia per tutto il
mondo a cui
tutti sono tenuti a reagire, non lasciando Israele in prima linea a
combattere da solo» .
Ma non è così facile: di fatto, è dal 1998, quando Bin Laden fece la
sua
grande comparsa con la strage delle ambasciate americane in Kenya e
in
Tanzania, che si sa che la struttura di Al Qaeda conta in Kenya
parecchi
adepti e che la diaspora successiva all'attacco americano in
Afghanistan
potrebbe averla rafforzata di attivisti e quadri. Inoltre, si teme
una
collusione fra il terrorismo islamico in Kenya e gli Hezbollah, che
già
agirono in Argentina negli anni novanta, nelle stragi dell'ambasciata
e di
altri obiettivi ebraici.
L'attacco di Beith Shean ha avuto per alcune ore un carattere
apocalittico,
perché dopo la strage e gli spari a raffica sulla folla, la polizia
ha dato
la caccia per ore a eventuali terroristi nascosti nel piccolo paese,
tutto
rintanato nelle case con finestre e porte serrate: « E non è escluso -
suggerisce Eli Karmon - che anche se non c'è un nesso diretto con gli
eventi
del Kenya, pure formazioni terroristiche locali, nei Territori,
incitate
dagli attentati della mattina, abbiano voluto formare una catena
accelerando
eventualmente azioni già pianificate» .
« E' una sensazione orribile, comunque - dice Yossi, un votante del
Likud che
ha assistito all'attentato e che non sa riaversi dallo shock e dal
dolore di
vedere i suoi compagni uccisi alla stazione centrale dell'autobus
mentre
arrivavano alle urne - che in un momento che dovrebbe essere tutto
interno,
tutto volto a disegnare il futuro secondo la volontà democratica
degli
israeliani, invece si avverta pesantemente l'ingerenza pesante,
avvolgente
del terrorismo» . Di fatto, il terrorismo è stato una forza dominante
nelle
elezioni del ‘ 96, quando Shimon Peres fallì , contro ogni previsione,
proprio
perché gli autobus non smettevano di esplodere, facendo centinaia di
morti;
lo stesso è accaduto con le elezioni che hanno contrapposto Sharon a
Barak.
Arafat regalò a Sharon la sua vittoria.
Adesso, dopo tutte queste ultime due settimane in cui ci sono stati
attentati in un kibbutz, a Hevron, contro una madre di sette figli
per la
strada, su un autobus, e decine di morti sono stati lasciati
sull'asfalto,
gli attacchi in Kenya, luogo di lontana vacanza,e quello a una sede
elettorale di una periferica cittadina di sviluppo era proprio ciò
che
ancora mancava all'onnipresenza degli attentati.
Un altro elemento che ferisce gli israeliani in un punto inaspettato
e
debole, è il fatto che per due volte in una settimana essi abbiano
visto le
loro linee nazionali in pericolo: El Al, presa in un fragile ma
impressionante tentativo di sequestro sulla strada verso Istanbul, e
Arkia,
la linea di tutti i voli charter verso le vacanze per un pelo
scampata
all'attacco missilistico di ieri. Supercontrollati, difesi da una
sicurezza
a terra che non teme confronti, gli aerei israeliani erano fortezze
di
tranquillità , ogni israeliano di ritorno a casa una volta seduto
sulla
poltrona di un aereo di casa sua poteva fino a pochi giorni fa
sentirsi
sicuro. Il portellone si chiudeva, ed era come chiudere la porta di
casa.
Adesso, anche questo è finito: non c'è un angolo di pace o di
sicurezza.