La settimana più difficile di Netanyahu

Il Giornale, 21 settembre 2025
Settimana complicata a Sparta, pardon, in Israele, da dove Netanyahu parte la prossima settimana con due scopi opposti: parlare venerdì a New York per rispondere alle bordate dell’ONU che si riunisce all’insegna dello Stato palestinese, e poi essere lunedì per la quarta volta ospite di Trump alla White House a Washington. Due tappe, due mondi. Si conclude, lunedì sera, l’anno ebraico 5785, più di centomila riserve sono tornate nell’esercito, nello scontro terribile i soldati perdono la vita quando i terroristi saltano fuori dalle gallerie, la guerra deve separare più di diecimila terroristi dalla gente, che si cerca di spostare in strutture umanitarie. È l’unica via per salvaguardare la popolazione mentre si combatte chi, come ha detto Trump, ha cercato di compiere “un genocidio al più alto grado... facendo anche a pezzi bambini di quattro mesi”. Ma il gioco, che mantiene aperture verso accordi sui rapiti che bloccherebbero la guerra, è segnato dall’apertura della caccia all’ebreo nelle istituzioni, nelle piazze, sui media. Sembra un orpello battere la jihad islamica: l’Europa adesso, dopo la mossa della von der Leyen verso le sanzioni, indica Israele come un Paese da battere, svergognare, distruggere.
Gli ebrei diventano bersagli di violenza; la parola d’ordine è “genocidio”. Netanyahu a New York farà il 14esimo discorso dei 18 anni in cui è stato eletto e rieletto Primo Ministro. L’ONU sa comminare condanne quasi solo a Israele ignorando le violazioni nel resto del mondo: adesso Macron ha preparato con cura il momento in cui la maggioranza voterà per uno Stato palestinese. Istituire uno Stato non è nelle prerogative dell’ONU, e significherà anche la fine degli accordi di Oslo che prevede un accordo fra le due parti. L’accusa di genocidio di pochi giorni fa è siglata da tre funzionari della Commissione per i diritti umani che hanno deciso usando testimonianze di sicuri accusatori, numeri forniti da Hamas e dai suoi, rimozione degli scudi umani, del 7 ottobre, dei rapiti che, certo, Israele è genocida.
L’ Europa esalterà votando in maggioranza per lo Stato palestinese una politica pro jihad, antioccidentale e antiamericana. I palestinesi hanno già rifiutato più volte “due Stati per due popoli”: con il terrorismo di massa, la Seconda Intifada, la Karin A che arrivo dall’Iran con 50 tonnellate di armi nel 2002 ci fu il ripudio di Oslo; la risposta allo sgombero di Gaza del 2005 è stata la l’offensiva del 7 ottobre. Adesso, fra i palestinesi l’87 per cento preferisce Hamas. L’ Autorità nazionale palestinese è un’entità radicalizzata, sostenitrice della distruzione di Israele, che ha giudicato positivamente la macelleria di Hamas; il confine, secondo le linee del '67, dovrebbe collocarsi a circa 10 chilometri dalla costa, dall’aeroporto, dalle maggiori città, i palestinesi vi potrebbero accumulare missili e droni iraniani. Odio per Israele, denaro a fiumi, fuga dalla verità hanno portato a questo punto: Israele è disegnato come un Paese da cui liberare il mondo. All’ONU si respirerà aria inquinata: Netanyahu lo affronterà per mostrare che Israele non ha complessi, non ha paura, vuole solo distruggere Hamas e riportare a casa gli ostaggi.
Lunedì, con Trump: era già di moda dai tempi di Stalin, mettere insieme, colpevolizzando l’Occidente in un’idea orientalista, Israele e gli USA. Ora si tende a ridicolizzare o a caricaturizzare Trump, a criminalizzare Netanyahu, farne complici autoritari e guerrafondai. In realtà i due sul Medio Oriente, ciascuno a suo modo, seguitano a ripetere di perseguire la pace e la restituzione degli ostaggi, ma che con Hamas non la si può ottenere. Semplice, e inascoltato. Anche per i palestinesi si aprirà una fase di pace e ricostruzione oltre l’attuale tragico destino jihadista dopo la fine di Hamas. Speriamo nel 5786.