LA RIVOLTA SCOPPIATA ALL’ INDOMANI DELLA « PASSEGGIATA» DI SHARON ALLA SPIANATA DELLE MOSCHEE Nuova Intifada, due anni di sangue Tra scontri e atte ntati morti 1726 palestinesi e 628 israeliani
venerdì 27 settembre 2002 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
ARAFAT fra le fiamme di Mukata celebra solo l'anniversario della sua
guerra: Fouad Ajami, il famoso storico del Medio Oriente che insegna
alla
School for Advanced International Studies della Johns Hopkins
University ,
in una ricerca collettiva per capire cos'è stato questo orribile
lunghissimo
evento l'ha definita appunto « La guerra di Arafat» . Aleph Beth
Yeoshua la
chiama « la guerra dei confini» , Richard Perle, il consigliere di
Bush, « la
guerra degli idealisti» , intesi come Peres, Beilin, Ben Ami, Barak,
quelli
che credettero nella pace a tutti i costi, e con lui Norman Podhorez,
direttore di Commentary, la guerra del processo di pace. Ma Daoud
Kouttab,
direttore della scuola di Media dell'Università di Al Quds la chiama
« il
conflitto sulla terra palestinese» .
Il gioco comprende, in questi giorni di anniversario, altri pensatori
e
scrittori, che hanno detto la loro sul quotidiano Jerusalem Post.
Adjami che
è libanese, dice « Arafat l'ha voluta e pianificata: fra dire al suo
popolo
ciò che si può e ciò che non si può acquisire nel mondo delle
Nazioni,
riconciliarlo con la logica della spartizione e del compromesso o
spedirlo
in un labirinto fatale, in un'altra strada senza sfondo e senza
ritorno,
Arafat - dice Ajami - ha tirato il grilletto della guerra nelle
pizzerie e
degli autobus, pensando che il mondo lo avrebbe comunque sostenuto:
ma lungo
la strada ha incontrato la sorpresa di una inaspettata guerra
mondiale
contro il terrorismo, che ha letto la sua guerra per quel che era» .
Non
un'intifada, dunque, ma una guerra che si sviluppa col segno del
terrorismo
come una bandiera piena di sangue, e il terrorismo ha sopravvanzato
l'immagine dei carri armati israeliani chiudendo Arafat nell'angolo
di
Mukata. Una guerra senza sfondo, senza trattative possibili in vista,
perché
tutto era già stato rifiutato, mentre Israele aveva offerto quasi
tutto
quello che poteva; senza tregua né trattati, perché il terrorismo non
ne
conosce le regole, e chi è colpito deve rispondere in difesa, anche
se a
volte la risposta è stata dura. Quando Arafat, specie ultimamente, ha
cercato di correre ai ripari balbettando qualche condanna al terrore
« perché
danneggia la causa palestinese» e non per motivi morali, Hamas e i
tanzim
erano già lanciati come jet.
Questi due anni hanno provocato nel campo israeliano 628 morti, di
cui il 70
per cento civili. Dei soldati uccisi, però , un quinto è stato ucciso
non in
battaglia ma in abiti civili su un autobus, o al bar. Il terrorismo
ha
mirato alla società civile. Anche i palestinesi hanno perso un numero
enorme
di persone: 1726 secondo la Croce Rossa, secondo le organizzazioni
per i
diritti civili 1376: fra questi sono compresi i terroristi suicidi, e
la
proporzione dei combattenti è rovesciata. Israele è andata a caccia
dei
terroristi, ovvero il numero dei militanti uccisi è assai più grande
di
quello dei civili, donne bambini e anziani. E comunque nelle Brigate
di Al
Aqsa, dentro Hamas, in una battaglia di terrore, le divise sono
poche,
ognuno è un possibile miliziano.
Questi grandi numeri, uniti a quelli di migliaia di feriti che
punteggiano
le due società hanno gettato la zona in uno stato catalettico. Questo
ha
acquisito l'Intifada: due anni di inusitata guerra, foriera di
presagi
funesti e di un cambiamento antropologico dei palestinesi che
approvano e
ambiscono al terrorismo, echeggiata nelle prediche nelle moschee, non
aspettata da nessuno dopo il processo di pace di Oslo, imbottita di
tritolo
e di suicidio, capace di ridurre in ginocchio due società . Una in
ascesa
(« ricordi - ancora si racconta nelle case israliane - quando andavamo
a
mangiare il pesce nei bellissimi, nuovi ristoranti di Gaza?), e in
attesa di
un futuro di libertà definitiva. L'altra una democrazia indaffarata e
vibrante, ridotta presto a avanzare affannata fra morti e feriti.
Intifada
di Al Aqsa, la chiamò Yasser Arafat dopo la passeggiata di Ariel
Sharon
sulla spianata delle Moschee, questo scontro a morte che Israele per
un anno
e mezzo non ha voluto neppure credere guerra, tanto che le truppe
prima di
entrare in quello che a stento è stato definito « territorio nemico»
hanno
aspettato Muro di Difesa, l'attacco profondo dopo la cena di Pasqua
di
Natanya.
Le tappe della vicenda sono riassunte in immagini in parte
incredibili in
parte terribili: prima della « passeggiata» un palestinese in divisa
spara in
faccia a un israeliano in divisa. Ambedue erano nello stesso servizio
di
ronda, secondo gli accordi di Oslo: ma prima ancora lampeggiano nella
memoria, fino all'11 luglio del 2000, le immagini sorridenti di
Arafat,
Barak, Clinton insieme a Camp David. Rivelò Imad Faluji, il ministro
delle
comunicazioni dell'Autonomia palestinese, l'11 ottobre 2001:
« Chiunque pensa
che la violenza scoppiò per la spregevole passeggiata di Sharon sulla
Spianata sbaglia, anche se si trattò della goccia che ha fatto
traboccare il
vaso: l'Intifada fu pianificata in anticipo, sin dal ritorno di
Arafat da
Camp David, quando rovesciò il tavolo di Clinton. Arafat rimase
fermo, e
sfidò Clinton. Rifiutò la proposta americana e ferì gli USA al cuore» .
Anche Israele fu letteralmente, e ben di più , ferita al cuore quando
Arafat
tornò a Gaza facendo il segno della V mentre Barak dava piangendo la
sua
conferenza stampa del fallimento all'aereoporto. Gli striscioni che
lo
accoglievano dicevano: « Gerusalemme è nel nostro cuore, domani sarà
nelle
nostre mani» . Il 25 luglio il mensile Al Shuhada (« il martirio» ,
mensile
dell'Autonomia Palestinese) pubblicava una lettera di Abu Ammar: « Al
bravo
popolo palestinese, siate preparati, la battaglia per Gerusalemme è
cominciata» . Il 14 agosto il capo della polizia Ghazi Jabali scriveva
« La
polizia è pronta allo scontro col nobile popolo palestinese, quando
arriverà
il momento» .
Le prese di posizioni ufficiali per la guerra fioccarono, sullo stile
delle
incitazioni nasseriane o della Siria. La macchina della propaganda
prese un
ritmo intenso nei media e nelle moschee dove si intensificò un
attacco
ventre a terra contro Israele, che ricominciò a essere chiamata
« l'entità
sionista» ; e gli ebrei « figli di cani e scimmie, idolatri adoratori
di
vitelli d'oro» . Il martire, ovvero il terrorista suicida veniva
ovunque
esaltato, anche dallo stesso Arafat, mentre Forza 17, la guardia
principale
di Arafat sotto gli occhi stupiti della popolazione cominciava a
scavare
trincee e a rafforzare le casematte. Il resto è storia: il linciaggio
di
Ramallah fu il primo segnale del sentimento popolare. Israele
cominciò
quelle che all'inizio somigliavano a rappresaglie cieche, che
distruggevano
edifici vuoti, cercavano di spaventare, mentre i soldati di fronte a
grandi
marce armate sparavano contro armati ma colpivano anche la folla e
uccidevano.
Israele è stata molto lenta a capire che doveva andare a cercare i
terroristi a casa per cercare di fermare l'ondata micidiale di
terrorismo.
Ci volle la piena, uno, due tre attentatati grossi al giorno, più
decine di
agguati, spari lungo le strade, una febbre che ha preso tutta la
società e
ha spinto un Arafat sempre più verboso e brancolante fuor di
controllo,
sempre meno popolare al consesso internazionale. Può darsi che lui
ora sia
sulla strada del declino, ma non è detto che altrettanto si possa
dire per
la guerra.