Fiamma Nirenstein Blog

La rivolta dei disperati non cambierà il Maghreb

domenica 9 gennaio 2011 Il Giornale 5 commenti

ENGLISH FOLLOWS

Il Giornale, 9 gennaio 2011

Le autocrazie al potere continueranno a proteggere i ricchi privilegi delle élite. Ma ciò che accadde in Iran non si ripeterà a Tunisi e ad Algeri.

Possiamo dunque aspettarci oggi una modernizzazione del Maghreb sull’onda della rivolta del pane di questi giorni? I ragazzi in piazza desiderano una società più giusta e egualitaria, oppure presto grideranno che l’islam è la risposta, e se la prenderanno molto di più con gli Usa e l’Europa che con Ben Alì e Bouteflika? Il riflesso condizionato positivo è immediato in noi, figli d’Europa, quando una rivolta porta per distintivo un ragazzo di ventisei anni di nome Mohammed Bouaziz che si dà fuoco perché la polizia gli sfascia un povero carretto di frutta, fonte della sua sopravvivenza dopo essersi invano laureato. Per chi dobbiamo tenere, del resto, se l’altra vittima famosa ormai in carcere, Ben Amor, è un rapper di 22 anni che canta «Presidente il tuo popolo muore» mentre il numero dei morti, in Tunisia sale di ora in ora e si allarga la rivolta, e il pane aumenta del 30 per cento?

Fino a pochi giorni fa non sapevamo bene che cosa stava succedendo in Tunisia, dato che il governo di Ben Alì, il presidente che aveva mandato a casa Habib Bourghiba, aveva messo il silenziatore alla piazza e al crescere della repressione contro i giovani in blue jeans e sneakers, ai morti teen agers, al fatto che, via via, tutta la società tunisina è scesa in piazza, che persino il 95 per cento degli avvocati ha scioperato, che gli hacker, dalla autocrazia araba al cyberspace, hanno messo fuori uso tutti o quasi i siti governativi, che i sintomi del fatto la gente non ne può più sono diffusi per ogni dove.

Poi i riflettori si sono accesi: è scoppiata l’Algeria, ed essa ha enormi, potentissimi riferimenti spettacolari nella nostra mente, la casbah candida nascondiglio storico di comunisti e islamisti, la rivolta anticoloniale, il film di Gillo Pontecorvo “La rivolta di Algeri”, l’origine pied noir di Albert Camus, e poi l’orrore contemporaneo: la mattanza iniziata nel 1988 con la più feroce aggressione integralista islamica che si sia mai vista, una guerra che ha fatto fra i 150mila e i 200mila morti estendendosi dallo scontro fra il Fis e i militari all’eccidio della popolazione.

E adesso l’Algeria, insieme alla Tunisia, è di nuovo teatro di violenza a causa di una “rivolta del pane” causata solo occasionalmente dall’aumento incongruo del prezzo dei generi primi, ma, ognuno lo capisce, sostanzialmente dalla prepotenza classica del governo “moderato” arabo, dal fatto che il 75 per cento della popolazione ha meno di trent’anni, che i giovani sono uno strabordante mare in ebollizione, che la gran parte di loro vaga senza prospettive in una società in cui ancora si vive in tre, quattro famiglie in una casa e le politiche di controllo delle nascite sono fallite. L’Algeria che conta tiene rinchiusa in casseforti sociali dorate la forte produzione energetica del Paese, i cui proventi sono destinati solo a gruppi sociali ristretti, usa i cinesi invece della forza lavoro locale, non ha saputo sfruttare le infrastrutture ereditate nel ‘63. Insomma, della gente non si è occupata affatto e questa incuria può sollecitare l’astuta e potente rete islamista sempre in agguato.

Questa marea soprattutto di giovani infuriati e disposti a morire è certo un movimento sociale di modernizzazione, ma proprio per l’egoismo laico il dogma islamista può travolgere la loro sete di giustizia. Nel passato, ci siamo immedesimati con tutto quello che ci sembrava una rivolta a favore dei poveri: ma è stata maestra la rivoluzione iraniana, in cui i tratti sociali erano innegabili e fortissimi, e di cui in molti si innamorarono, ma che poi ha dato vita a un potere integralista religioso, imperialista e violatore di tutti i diritti umani. Adesso quindi si impone la cautela e anche l’impegno per aiutare davvero la gente in rivolta per il pane e per la grande chimera del mondo arabo, la democrazia. «C’è di buono che non esiste più il substrato islamista del mondo giovanile, si è scollato il rapporto sociale fra masse fanatizzate e la gente quando l’affermarsi di Al Qaida ha trascinato i giovani borghesi nelle sue file. I ragazzi poveri non fanno parte di questa vicenda», dice Khaled Fuad Allam, sociologo dell’Università di Trieste e commentatore algerino. Insomma, sono finiti i tempi in cui, racconta, quando studiava all’università di Orano, venivano tolti persino le forchette e i coltelli di plastica per evitare gli scontri fra giovani laici e religiosi. E poi, siamo chiari, c’è anche stata una decimazione fisica paurosa di islamisti a seguito della guerra di massa che per tanti anni ha insanguinato l’Algeria.

Insomma, ancora l’islamismo non è qui, non è presente in massa, ma già si insinua a cercare nelle università e nelle moschee per guidare i giovani arrabbiati proprio come in Egitto, in Giordania, in Arabia Saudita. Perché “Paese arabo moderato” non vuol dire onesto, rispettoso dei diritti e bravo nel governare il proprio popolo, e noi tendiamo invece ad accontentarci di quell’aggettivo. Proviamo a dire la parola “democratico”, magari funziona contro gli estremisti islamici.


The Revolt of Desperate People Will Not Change North Africa

by Fiamma Nirenstein
January 14, 2011,
www.hudson-ny.org (originally appreared in Italian in Il Giornale, January 9, 2011)

The autocratic regimes in power in Tunisia and Algeria will continue to protect the privileges of their élite.

Can we expect the modernization of the Maghreb today on the wave of the recent "bread riots"? Do the young people in the city squares dream of a more just and egalitarian society, or are they likely to start shouting that Islam is the answer, and take out their anger on the USA and Europe rather than on Ben Alì and Bouteflika?

When the leader of a revolt is a 26-year-old named Mohammed Bouaziz, who sets himself on fire when police smash his fruit cart, his only means of survival despite his university degree, as Europeans, our reflex is to take his side. Whose side should we take when the other victim - Ben Amour, a 22-year-old rapper arrested for singing, "President, your people are dying" - is in prison as the number of deaths in Tunisia rises by the hour, the unrest spreads, and the price of bread increases by 30%?

Until a few days ago, we did not know what was going on in Tunisia . The government of Ben Alì -- the President who sent Habib Bourguiba packing -- had managed to hush up the riots in the city squares; the growing repression against the blue-jeaned, sneakered youths; the teenage deaths; the fact that, little by little, practically all of Tunisian society was joining the demonstrators in the squares and that even 95% of the lawyers went on strike; that the hackers had rendered virtually all government websites unusable, and signs that the Tunisians have reached at the end of their tether are widespread and omnipresent.

Then Algeria erupted – a country with huge, powerful and spectacular connotations in our minds: the white casbah; the historical hideout of Communists and Islamists; the anti-colonial revolt; Gillo Pontecorvo's film, "The Battle of Algiers;" the origins of Albert Camus, and the horror of the present time. The slaughter began in 1988 with the fiercest Islamic fundamentalist attack ever witnessed -- a war that meted out between 150,000 and 200,000 deaths, starting with the clash between the FIS (Islamic Salvation Front) and the military, and escalating to the massacre of its own population.

Now Algeria, together with Tunisia, is once more a theater of violence due to the "bread riots", caused only occasionally by the disproportionate rise in the price of staple products, but substantially by the typically domineering attitude of the "moderate" Arab government: 75% of the population is under the age of 30, a seething sea of turmoil. The majority of them are cast adrift without prospects in a society in which three or four families still live in one house, and in which birth-control policies have failed miserably.

The Algeria that "counts" has the country's considerable energy production under lock and key in the golden safes of high society, and the proceeds go exclusively to restricted social groups. The country also prefers to employ Chinese labor instead of the local workforce, and has been incapable of using the infrastructure inherited in 1963 to advantage. It neglects the population -- a situation which makes the population easy prey for the powerful Islamist network that is always lying in wait.

This tide of furious young people, willing to die if need be, is undoubtedly a social modernization movement; due to the regimes' self-interest, however, the Islamist dogma could overwhelm their thirst for justice and seize the upper hand over the riots.

In the past we identified with every revolt that seemed in favor of the poor, but a hard lesson was learned from the Iranian revolution: although it impassioned many, it soon gave birth to a fundamentalist, imperialist power that acted in violation of all human rights.

So now caution is required, as well as a real commitment to help those people protesting for bread and for the great dream of the Arab world: democracy. "One positive factor is that there is no longer an Islamist undercurrent among the youth – the social relationship between fanaticized masses and the people broke down when Al Qaida began to gain ground and dragged the young upper class youth into its ranks. Poor youth are not involved in this", says Khaled Fuad Allam, a sociologist at the University of Trieste , and an Algerian affairs analyst. The times are over, he claims, when - as was the case during his studies at the University of Oran - even plastic knives and forks were removed in an attempt to prevent clashes between secular and religious young people. Now the Islamists have also been decimated after the mass warfare that caused such bloodshed for so
many years.

Although Islamism is not, therefore, to blame here, and not present as a large force, it has begun to insinuate itself into universities and mosques to pilot these angry young people -- just as it did in Egypt, Jordan and Saudi Arabia. "Moderate" Arab country does not indicate honest respect for human rights and good governance for its own people; yet we still tend to content ourselves with this adjective. Why not try saying the word "democratic"? Perhaps that would work better against these Islamic extremists?

 Lascia il tuo commento

ing. Luigi Mancini , Roma
 martedì 11 gennaio 2011  11:48:07

Ma qualcuno non ha pensato che quello che succede lì e' l'anticipo di quello che succedera' in Italia?



Michele Rinaldi , Milano
 lunedì 10 gennaio 2011  13:17:28

Stiamo attenti a intrometterci in questioni che potrebbero ritorcersi contro di noi.Noi, in occidente abbiamo un cancro peggiore dell'islamismo : gli intellettuali redentori del mondo, che, pasteggiando a ostriche e champagne, discettano su cosa deve fare questo e quello.Lo fecero con Komeini,soprattutto la teppa intellettuale francese,rovinando il trono del Pavone, la Persia....e il resto deve ancora arrivare.E' probabile che i signori Sotutto stiano già preparando le loro giaculatorie in forbite e sdegnate articolesse ricche di richiami ai sacri principi, diritti umani etc. dove si troverà di tutto,fuorché il buon senso.Ignoriamoli.



Adriano Romaldi , Falconara Marittima (AN) Italy
 domenica 9 gennaio 2011  21:21:58

Ogni figlio è caro alla sua "mamma" Patria ma, se pensa che, quando morirono i nostri soldati a Nassirya e ai funerali ci fù chi rideva, pensa che non c'è speranza; non è così.La Speranza sta dove uno non se lo aspetta ed è, probabilmente, dietro l'angolo o ti cammina accanto.I nostri sforzi saranno ben diretti se terremo in conto questa Realtà altrimenti la ragione ci darà sempre torto anche di fronte alla Verità.Continui a sperare e non vada mai oltre la cronaca; una sana fiducia ci farà molto bene a tutti. Adriano Dott. RomaldiP.S.Non le debbo insegnare che di rimanere se stessa.



Percy D'Elia , Roma
 domenica 9 gennaio 2011  18:31:43

Purtroppo la rivolta dei disperati (giustamente come specificato) non cambierà nulla! Saranno i manifestanti apagare le conseguenze, in modo molto grave per aver osato ribellarsi per un pezzo di pane. Siamo ormai abituati avedere giornalmente la repressione che esiste in questi paesi che conosciamo bene. Con tanta corruzione, e malvagità messe in atto dalle loro leggi. Secondo mela ribellione potrà anche avere dei risvolti gravissimi, e purtroppo andranno a rimetterci quei poveracci, come già avvenuto negli altri paesi arabi. E' veramente triste vedere che in molte parti del mondo dove permane il fanatismo religioso, episodi del genere sono all'ordine del giorno!!! Cordiali saluti



gianfranco pellegrini , milano
 domenica 9 gennaio 2011  17:24:35

il momdo delle nazioni islamiche incomincia a muoversi e la rivoluzione presto investirà anche gli emirati che detengono una forte percentuale del petrolio mondiale.Oggi solo la ricchezza delle minoranze nobili riesce a tener a freno ii giovani fanatici islamici che aspiranno al potere. Presto anche noi ci troveremo coinvolti da una massa di immigranti e Dio ci protegga



Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.