Fiamma Nirenstein Blog

La risposta militare ai palestinesi deve essere compatibile con l’ e tica del paese: e Arafat ne approfitta Israele, il punto debole della forza

mercoledì 25 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein LA domanda che tutto il mondo rivolge all'esercito di Israele, perché tanti morti civili?, agita soprattutto gli israeliani, perché mostra loro una fragilità strutturale proprio dove hanno sempre pensato di essere molto forti: la strategia bellica. Tutti sanno che Israele non pensa di spazzare via a colpi di mortaio lo scontro in atto. Anche Arafat lo sa. Può contare sul fatto che le strategie devono essere compatibili con l'etica del Paese, che non sopporta di vedere bambini morti per sua mano. Ma insieme, Israele deve evitare di risultare debole, ovvero non può accettare che i suoi cittadini siano attaccati a casa loro. L'esercito ripete che spara solo su obiettivi molto precisi, cioè su uomini in armi, e in casi estremi: ma così non esercita una deterrenza sugli scontri perché si trattiene dal rispondere con tutti i mezzi, né evita di colpire i civili. E allora? Ecco subito due fatti: il tipo di guerra in atto è del tutto nuova, richiede da ambedue le parti una ginnastica strategica mai sperimentata prima, ed è assai più dura dell'Intifada (1987-1993). Il secondo fatto consiste nella difficoltà di Israele ad aggiustarsi a una nuova strategia. I palestinesi per ora scelgono il terreno, quello della libanizzazione, che comporta l'uso misto delle folle e di gruppi armati, sul modello della ritirata dal Libano nel maggio scorso, quando gli Hezbollah spinsero le truppe israeliane, che certo erano molto più forti quanto a capacità bellica, fuori dei confini, con l'aiuto di una folla che li imbozzolava in una protezione strategica che poteva essere vinta solo con una strage di civili. Israele dispone di un esercito molto forte, con tutte le caratteristiche di una forza creata per scontrarsi con un altro esercito, e questo non funziona: il generale Yzchak Ben Israel, capo dell'Autorità per la Ricerca e lo Sviluppo delle armi dell'esercito israeliano, già nel marzo scorso, secondo quanto riporta Zeef Shiff, il migliore commentatore militare d'Israele, scriveva su una rivista specializzata della necessità di affrontare il problema delle « armi non letali» : « che riescano a impedire i movimenti degli individui senza ucciderli e senza causare loro un danno irreparabile... che confondano, immobilizzino, neutralizzino momentaneamente la folla» . Il problema è che tali armi quasi non esistono e persino gli Stati Uniti non ne hanno una riserva pronta all'uso: i cannoni ad acqua hanno un raggio molto corto, le schiume e gli oli ingombrano nell'eventualità di un'azione, e ancora si vedono in giro pochissimi blocchi acustici disorientanti, che pure esistono. Alla fine, Arafat ha ottimo gioco a utilizzare una strategia che ieri, per esempio ha avuto una sua sperimentazione sul campo quando 12 mila palestinesi hanno marciato in Giordania nella Valle del Giordano dando poi vita a tumulti quando l'esercito del re ha impedito loro di passare il ponte di Hussein verso Israele. Che cosa sarebbe accaduto se un torrente di civili avesse raggiungo i carri armati israeliani e le postazioni di confine? Israele avrebbe sparato sulla folla dei civili? Per ora la tecnica dell'esercito è completamente diversa: anche da Gilo, il quartiere di Gerusalemme sovrastante Beit Jalla da cui si spara sulle case degli ebrei, l'esercito risponde con colpi accurati per evitare troppi danni alla popolazione cristiana della vallata. Ma il vero test è lo scontro al chek point: prima vengono i bambini e le folle dei civili. Poi, le armi: gli F16 e le bottiglie molotov sono usate dai giovani tanzim, e anche in molti casi dalla polizia. Intanto, però , l'uso delle forze in campo è variato (a volte Arafat mette in campo i tanzim e usa la polizia per calmarli, poi invece di nuovo consente alla polizia di sparare) e mischia anche sapientemente la spontaneità (i bambini) e la militarizzazione. Ma la guerra è sfuggita di mano a Arafat? Potrebbe ancora cambiare strategia? La risposta è che non controlla tutti gli episodi sul campo, e che ci sono figure forti come Marwan Barghuty. Sostanzialmente, come ci ha detto il capo dei tanzim di Betlemme: « Se dà un'indicazione definitiva, è lui il capo. E a comportarci in guerra siamo allenati da vent'anni» . Adesso il nuovo gioco strategico è quello dei cristiani: Arafat ha messo in conto che, con gli spari da Beit Jalla, Israele colpirà Betlemme suscitando lo sdegno di tutto il mondo cristiano. Ma qui c'è un punto debole della sua strategia: dopo il processo di pace, le varie forze internazionali non sono più le stesse. Sanno che Arafat non ha bisogno necessariamente della guerra per ottenere. Il Papa, raggiunto da un messaggio di Arafat per il 22° anno di pontificato che gli chiedeva di prendere una posizione nello scontro, ha preferito chiedere alle due parti di fermare la violenza. Il terreno internazionale per Arafat è sempre molto vantaggioso, ma è divenuto più sdrucciolevole. La sua roccaforte resta la lotta armata coperta dal popolo di fronte a un esercito che è già in crisi per aver fatto troppi morti.

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