Fiamma Nirenstein Blog

LA RICOSTRUZIONE NEL GIGANTESCO CANTIERE SI LAVORA A TEMPI DI RECORD PENTAGONO il gigante ferito ha fretta di guarire

domenica 25 novembre 2001 La Stampa 0 commenti
inviata a WASHINGTON CHIUDERE la ferita sanguinante, ricostruire veloci e silenziosi quella sventola di 37 mila metri quadri, senza lasciare cicatrici, sognare che non sia mai accaduto. Perché l'America continui a disegnarsi il suo Pentagono da film, puntuto e senza spiragli. Con Rumsfeld duro e tranquillo che dà ordini dalla sua scrivania, fortezza della libertà e della forza dal tempo della seconda guerra mondiale quando, costruito in fretta e furia nel 1943, fu la base della guerra contro il nazifascismo. Per ora si arriva al Pentagono con uno slalom di barriere, di verifiche e identificazioni, con la sensazione che su quella grande voragine il cielo azzurro di Washington sia una bocca splancata. La polvere vortica, le pietre sono divelte. Colpendo il Pentagono, se uno non l'avesse capito bene, i terroristi hanno fatto centro sull'Esercito, la Marina, l'Aeronautica in tutte le sue gerarchie, i corpi speciali, la sicurezza e l'intelligence, il ministro della Difesa e i viceministri, il capo di stato maggiore e tutti i suoi vice, e sui 28 mila lavoratori dei cinque Settori (Wedges, che vuol dire letteralmente cuneo) disposti verso l'esterno, dall'A alla E. Il buco è su due strati, da C a E, e su due settori, 1 e 2. Il centro è danneggiato ma non distrutto. Il Pentagono è anche la sede del Presidente nel suo ruolo di comandante in capo dell'esercito. Civili e militari hanno organizzato là l'intervento in Europa durante la seconda guerra mondiale, vi hanno tessuto la strategia della Guerra fredda, Kennedy vi decise la Baia dei Porci, via via da là partono la guerra di Corea, il Vietnam, gli interventi in Somalia, l'incursione in Libia, Desert Storm in Iraq, l'intervento in Bosnia. Adesso alla superficie interna di 344 mila metri quadri coperti di linoleum verdi mancano due fette. La gente che si sposta in frotte di ufficio in ufficio, sui pavimenti verdolini di quel che è rimasto in piedi, ride e scherza, beve caffè ; i muri sono tappezzati di grandi quadri con la cornice dorata da cui ci salutano tutti i presidenti e tutti i militari importanti. Ci sono mostre di ogni genere, anche di film più o meno sul Pentagono, c'è Gene Hackman in « Behind the enemy line» , Harrison Ford in « Air Foirce One» e Tom Cruise in « Top Gun» . Belle mostre di giornali ricordano glorie passate; le antiche divise sono anch'esse in mostra. Sul muro si annuncia il Ramadan e se ne spiega il significato dicendo che in questi giorni i musulmani « mettono da parte ogni cattivo pensiero» . Disegni di bambini, bandierine americane e messaggi di affetto e di lutto a colori tappezzano i muri. Un motto che si legge qua e là dice: « Il Dipartimento della Difesa dispiega le forze necessarie ad assicurare la sicurezza degli Stati Uniti e a promuovere la democrazia nel Mondo» . Per ora, invece, entrando col casco nel grande buco si vede lo sfregio fatto dai terroristi nel Superman collettivo. E' la grandiosità dell'impero che mette in risalto il danno: i parcheggi ora tutti circondati di barriere e mezzi vuoti ospitavano circa 9000 auto. Il Pentagono contava 284 bagni, 691 rubinetti d'acqua potabile, 4200 orologi da muro, 300 mila pubblicazioni in biblioteca, 5000 tazze di caffè al giorno. Ora le cifre del colossal non sono più buone, lo spirito non è più quello. Prima del ristorante, comunque affollato, dove lavorano 230 persone e una decina di banchi offrono tipi di cibo diversi (vegetariano, barbecue, cinese, pizza...) gli avventori si fermano all'ingresso a guardare la mostra delle fotografie dei caduti: neri, bianchi, gialli, ebrei, musulmani, cristiani. Se li indicano: il mio compagno di stanza, la persona cui dissi « vengo fra un’ ora a prendere il caffè con te» . Già arrivando da fuori si intravede nei cavi e nei detriti neri e grigi l'offesa subita nel proprio più profondo significato esistenziale, la libertà di sedersi a lavorare, il diritto di guardare il cielo dalla finestra aspettandosene serenità e non minaccia. E subito nei lavori in corso si sente un'ansiosa inusitata orgogliosa fretta che batte, struscia, illumina, spezza, ricostruisce veloce, più veloce, la forza del Pentagono. Ci diamo dentro, mi dice la mia accompagnatrice, con tutte le nostre forze: presto sarà tutto più bello di prima. Poco più di cinquant'anni fa il presidente Franklin Roosevelt disse di quella bizzarra creatura progettata in soli quattro giorni: « Sapete, signori, mi piace la forma pentagonale. Perché non somiglia a nessun altro edificio» . La parabola non è più buona: adesso il Pentagono somiglia alle Twin Towers. Cuori colpiti, viscere sanguinanti. I ciliegi giapponesi del monumento a Lincoln facevano arrivare fin qua il loro profumo. Ora c'è odore di polvere di ferro, e di bruciato. C'è odore di assedio al potere militare. Lo shock del Pentagono è forse ancora più grande ma più segreto di quello di New York. E per questo la ricostruzione ha assunto il carattere di una corsa alla riabilitazione fondamentale, complessiva. Questo troviamo visitando il Pentagono e la sua ferita. C'è una supercura in corso, medicina americana: lo scavatore giallo idraulico « Potts e Callahan» , potenza della tecnica, può entrare per 22 metri e prendere qualsiasi peso con delicatezza dentro ogni oscurità , ogni distruzione e temperatura; in quel buco d'inferno « Potts e Callahan» fa ordine, crea sorrisi e sospiri di sollievo ai lavoratori affaticati col casco bianco e giallo, la distruzione è già stata spianata e battuta come se pulire fosse uno scongiuro, solo una muraglia sul Settore 1 appare repellente e paurosa, per i tre piani di fili e detriti che colano come vermi lungo la facciata sinistra, mentre il Settore 2 è stato tappato con pannelli per lavorare in pace. Come il Prozac di fronte alla depressione, o la vitamina E per la vecchiaia, la cura miracolosa risiede in quell'oggetto frenetico e primordiale che ficca la testa di metallo per ventidue metri dentro la ferita. Esistono due scavatori così in tutti gli Stati Uniti, un'impiegata bionda col golf rosa e il casco bianco spiega concitatamente, quasi senza respirare, senza tremiti nella voce di fronte ai cavi e ai fili ciondoloni, le colonne divelte, il grande vuoto per cui mancano metà di due lati della fabbrica di ogni guerra americana, il Pentagono, distrutto dai terroristi con un jet in picchiata l'11 di settembre. « Tutti i morti sono stati estratti dalle macerie, anche il vice capo di stato maggiore» , perché i terroristi sono andati molto vicini a uffici di massima responsabilità , e non voglio dire di più , sussurra la ragazza. Il mostro idraulico fa un rumore degno della sua potenza, due è il suo numero cabbalistico, due sono le macchine, una nel buco del Pentagono e l'altra nel buco delle Twin Towers a New York; due soltanto gli uomini che la sanno manovrare e fanno afferrare con la bocca da dinosauro carichi di tonnellate di cemento e corde d'acciaio, di detriti elettrici, materiali classificati e non classificati misti a microchip, a schermi, a telefoni e tavoli di lavoro; anche il suo, appunto, del vicecapo di stato maggiore Thimoty J. Mande. Ucciso. Sua moglie, il giorno dopo il disastro, mentre ancora il corpo era sotto le macerie, è venuta personalmente a incoraggiare i lavoratori del Pentagono a continuare il loro lavoro come sempre. Dodici ore al giorno allo scavatore lavora Jack (chiamiamolo così ), dodici Jim. Si alternano senza sosta. Non si smette mai, mai. Le fotoelettriche sono accese tutta la notte, ogni notte. Dal 18 settembre è così : ogni minuto per ricostruire il Pentagono, perché da allora, dopo la commemorazione dei 188 morti (ma la cifra è ancora, e significativamente in discussione) c'è un obiettivo che non deve, non può essere mancato: l'11 settembre del 2002 - ha detto Lee Wevey, il manager del programma di ricostruzione - voglio la gente affacciata alle finestre che sostituiranno quelle distrutte, li voglio tutti nei Settori 1 e 2 per la commemorazione, nel loro ufficio in piedi per Amazing Grace e l'alzabandiera. Li voglio che guardino da dove i terroristi hanno pensato di farci fuori tutti, con lo sguardo verso il Potomac, verso il Mall con le stelle e strisce al vento proprio dove l'aereo ha sfondato la terra a due metri dal muro dei Settori 1 e 2, e poi ha spinto il muso in su, quarantacinque gradi di angolazione per sfondare quanti più muri possibile, per mangiarsi quanto più Pentagono possibile, dentro la fortezza come alle volte arrivavano le pietre infuocate dalle catapulte dei barbari dentro le città d'arte italiane. « Fosse caduto diritto sull'edificio non avrebbe fatto danno a due Settori (1 e 2), e a due strati (D e C): lo sfondamento trasversale è stato micidiale» dice Rick Machamer, un militare laconico e fiero, portavoce del Pentagono. « Hanno ottenuto un risultato tecnico probabilmente ben programmato cadendo a due metri in posizione trasversale» . Brucia troppo all'America che il Pentagono stesso sia stato colpito. Se le Twin Towers fanno piangere di disperazione, il Pentagono ferisce oltre che il cuore l'onore. Per questo bisogna ricostruirlo subito, in fretta, uguale a prima e meglio ancora, bisogna cicatrizzare subito, senza stare a contemplare le ferite e a contare i morti. Forza con l'idraulico, dà i con le gru, muovi le tonnellate di cemento, sposta i detriti con i bulldozer, cambia la squadra a mezzanotte, alle sei, a mezzogiorno, forza Jim e Jack: « Il fuoco è continuato per giorni, i tubi saltati avevano riempito d'acqua a migliaia di metri cubi le stanze - spiega Rachel Decker, la mia guida - ma gli oggetti da salvare, essendo questo luogo sede di operazioni molto delicate, erano molti e dovevano tutti essere verificati dall'Fbi. E parecchi, in segreto. Era difficile e tragico, con decine di corpi ancora sotto le macerie. Non potevamo certo abbattere mura e accumulare detriti a caso» . « Eppure - Rachel si mette quasi sull'attenti - siamo cinque settimane avanti rispetto ai tempi previsti benché il programma originale sia già molto aggressivo, e in questo ci hanno aiutato le circostanze: da tre anni erano già al lavoro in quest'area le squadre per il rinnovamento totale del Pentagono, gli operai e gli ingegneri dell'Amec e della Hensel Phelps. E' un programma di undici anni di lavoro per 145 milioni di dollari di appalto, corrispondente a 758 milioni di valore reale. Guardi la trama d'acciaio delle finestre, tutta quanta ancora in piedi: erano quelle nuove, che hanno impedito il collasso totale e immediato, ed evitato la perdita di altre vite umane. Gli operai qui sono gli stessi che già conoscevano i segreti dell'edificio e che stavano per consegnarci in cinque giorni completamente rinnovato il Settore 1. Erano da tre anni all'opera: mentre ancora ci chiedevamo da dove cominciare, loro avevano già iniziato a sgomberare, non prima che l'Fbi avesse ispezionato. Adesso non solo ricostruiranno secondo il piano originale, ma con aggiunte di sicurezza. Sarà più bello di prima, più forte. Ecco: vede là , quei colori chiari, verdolini, della Due? Al terzo piano era prevista la caffeteria. Avrebbe aperto a tre settimane dall'11 settembre. Fra meno di un anno, ci mangeremo gli hot dog» . Non solo Jack e Jim, ma anche tutti gli altri operai dell'Amec non hanno l'aria di faticare, ma di fare la guerra, non di compiere un lavoro edilizio, ma di sentirsi come Erode nella ricostruzione del tempio di Salomone: hanno magliette colorate, la coda di cavallo, corporatura massiccia, hanno tutti una certa età , sono operai senior, e di tutti i colori, sono una troupe da film, aprono lattine di coca cola e di ginger ale che offrono alla cronista dopo una bella sorsata e si forniscono di piatti caldi con frittate e salsicce a una cucina da campo sempre in funzione; parlano e scherzano sudando nella ferita spianata in fretta con bulldozer enormi, hanno una gru alta cinquanta metri che ha bisogno di quaranta tonnellate di base in cemento per stare ritta, hanno portato via detriti da ricostruirci una città . Gli operai dell'Amec hanno una missione che è molto più di un lavoro: ricostruire la struttura esteriore e interiore che faceva sentire a ogni americano di essere difeso a casa sua. In divisa, un giovane sopravvissuto, un tenente nero, Lance Giddens, porge in poche parole lo stupore americano che ha ancora, nonostante la guerra in corso, un'aria inerme: « Alle 7,15 sono arrivato al solito da Dunfries in Virginia: tè col muffin alla macchinetta distributrice, la posta elettronica, e poi al lavoro. Lavoro di reclutamento, agli ordini del vice capo di stato maggiore, Timothy Mande, il mio capo, che ha perso la vita. Quando due ore dopo intorno alla Nbc nell'open space con i miei colleghi basiti, increduli, ci appoggiavamo l'uno all'altro nel vedere la tragedia dei Twins, non ci è venuto affatto in mente di guardare fuori dalle finestre, nel nostro cielo. Eravamo disperati e mobilitati, ma non poteva capitare anche a noi, al Pentagono. Poi il colpo micidiale, inenarrabile, da sotto in su. Io per terra a quattro zampe mentre volano le scrivanie, cadono muri, lampadari, oggetti. Il tonfo, il boato e poi il silenzio. Ho pensato che ero morto finché il mio vicino Tony Ross mi ha detto: "Are you ok? Sei a posto?". Allora mi sono accorto che ero vivo, ho sentito prima un grande silenzio, poi i lamenti. Ho trascinato a uno a uno quattro feriti nel cortile centrale, attraversando il fumo e le fiamme: erano sanguinanti e bruciati, mentre cominciavano ad arrivare le ambulanze. Sono vivo mi dicevo, e poi: non ci credo, non è possibile, al Pentagono» . E invece è accaduto proprio qua, a un passo dal Potomac, a due dal Mall, dall'enorme obelisco Monumento a Washington, sulle ginocchia di Lincoln, a dieci minuti dalla Casa Bianca. Lance Giddens, ora dislocato in un edificio ad Alexandra, torna in questi giorni in un ufficio del Pentagono. Tutti gli uomini ci tornano subito. Un'altra sopravvissuta con la divisa e la treccia bionda, Debbie Rumsaur, si sente in colpa. Non sente odio. Vuole stare di più con i suoi figli. E al Pentagono? Desidera tornarci? « Spero che quando ci tornerò non avrà più quell'odore che non mi fa dormire la notte. Gente veramente amabile vi ha perso la vita - piange il soldato Debby -: idealmente, saranno tutti con noi alla finestra, come da programma, l'11 settembre 2002» .

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