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LA RESA DEI CONTI NEL PARTITO SOGNANDO UNA RIVINCITA Pugnali e veleni contro Barak La feroce congiura dei colonnelli laburisti

domenica 11 febbraio 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME UNA passione smisurata per la sua causa? Un ego cui niente e nessuno possono porre freno? Ehud Barak, dopo la formidabile sventola delle elezioni, dopo le dimissioni (fra le lacrime della moglie Nava) dalla carica di segretario del partito, dal Parlamento, ieri era già faccia a faccia con Ariel Sharon per trattare l’ entrata del partito laborista in un governo di coalizione. Non solo. Nella tempestosa riunione di partito in cui si prendeva atto della sconfitta, si è autonominato presidente della squadra insieme a Shimon Peres. Eppure, questo suo immediato riaffacciarsi sulla scena ha provocato ostilità e rabbia all’ interno del suo partito che si somma al rancore accumulatosi durante la campagna elettorale della grande sconfitta. Barak è stato ed è un uomo odiato dai suoi in termini che non hanno precedenti nella pure tumultuosa scena politica isrealiana. La sua linea politica coraggiosa fino al suicidio e il suo carattere determinato fino all’ insensibilità verso gli altri, ne fanno un parafulmine del fallimento del processo di pace, un caso politico ancor prima che umano perché la sua solitudine è in realtà un sintomo della deteriorarsi della scena politica mediorentale. « In queste sei settimane di campagna, sono stato al fianco di Barak giorno e notte come capo della sua campagna elettorale. Non ha riposato un solo momento, ha combattuto per la pace fino all’ ultimo. Non ho mai visto un uomo tanto solo. Nessuno è mai venuto a dargli una mano. Ho visto solo un gruppo di pugnalatori alle spalle; un branco di assenteisti che non gli sono mai stati vicini, che si sono rifiutati di apparire in tv per difenderlo. Ora eccoli tutti qui di fronte alle telecamere: si rivedono ora quando si tratta di spartirsi le spoglie. Dov’ erano quando c’ era bisogno di loro? Io non voglio stare con gente di questo genere. Quindi, me ne vado. Lascio la Camera, lascio il Partito. Torno al mio kibbutz» : di fronte alle telecamere, seduto nello stesso studio televisivo con tutta la nomenclatura del suo partito , Eli Goldschmidt ha lanciato occhiate di fuoco, da tragico personaggio dostojewskiano (è russo), su Chaim Ramon, Avraham Burg e gli altri pugnalatori, i quali non appena è venuto il loro turno di parlare, si sono proposti come nuovi leader distruggendo la figura dell’ ex primo ministro: un egocentrico, un maniaco, un Cesare che ha sempre preso le decisioni da solo senza consultare nessuno. Un altro giovane leone, Uzi Baram, lo ha accusato di aver distrutto il partito. « Io - ha detto Ramon - l’ ho avvertito mille volte, che ci portava alla rovina. Non stava a sentire nessuno. Adesso, peggio per lui» . Il linciaggio di Barak ha qualcosa di patologico, è una sorta di maramaldesca rivoluzione che pure divora se stessa, una specie di messa in scena estrema di come la sinistra avendo sbagliato nel valutare le possibilità di collaborare con Arafat, piuttosto di fare i conti, preferisce, come il Conte Ugolino di dantesca memoria, rosicchiare le sue spoglie. Barak viene descritto dai giornali come un matto; Doron Rosemblum un accreditato commentatore lo dipinge come « un aereoplano con un solo motore che dopo una pazzesca discesa in vite si butta giù in picchiata, col motore che singhiozza e sputacchia, la carlinga in preda a scuotimenti e tremori, in un crescendo cacofonico finchè sbatte nella superficie dell’ Oceano, e affonda» . Lo scrittore Ygal Sarna lo descrive come un « egocentrico in preda a un delirio di onnipotenza che ha imposto la sua fretta e la sua arroganza al Paese, come se tutta Israele fosse l’ Unità Speciale di cui era capo militare» . Solo un manipolo di vecchi amici cerca di ricordare che l’ uomo si è avventurato molto avanti nel processo di pace in buona fede e senza risparmiarsi. Yossi Kucik, direttore del suo Gabinetto, testimonia che è stato bello lavorare con un leader della cultura e della fede di Barak: « Un grande personaggio, che fa sempre onore all’ interlocutore, che ti guarda negli occhi. Chi dice che ha sempre preso le grandi decisioni da solo, mente: basta pensare alla squadra che ha portato a Camp David. Certo, all’ ultimo era solo con le sue responsabilità . E con ciò ? Ha preso il 40 per cento dei voti in condizioni impossibili per chiunque» . « Tutti i suoi uomini - dice Amnon Abramovich - non lo valgono: il politico che si prepara a lottare con tutte le sue forze per la poltrona di segretario del partito e di aspirante primo ministro, per esempio, è un quarantenne che nella sua vita ha poca esperienza di politica. Si chiama Avraham Burg, un bravo figliolo senza storia né professionale né militare.. niente. Solo un padre famoso. Barak, avrà dei difetti, ma ha anche una storia» . « Una banda di traditori? E’ un modo delicato di descrivere un partito che si è comportato peggio di una gang di strada che si rispetti» ha scritto su Maariv il commentatore Shalom Yerushalmi. E in effetti gli schermi televisivi ora sono pieni di esponenti del Labor che non sono mai comparsi in campagna elettorale. E un gruppetto guidato da Burg che non ha mai amato Shimon Peres, personaggio da tutti ritenuto ingombrante nel partito, preme perchè diventi segretario pro tempore, per poi lascaiare il posto ada altri. Peres, intanto, nonostante la sua età , il ruolo internazionale, il Premio Nobel, pure si è gettato nella mischia, allineandosi negli attacchi a Barak. Si agita molto per scalzarlo dal ruolo di copresidente nelle trattative con il Likud che vuole guidare da solo, e forse per essere poi il capo della sinistra. Burg e Ramon si sono messi nella sua scia, pronti a pugnalarlo a sua volta. Gli strateghi del processo di pace, Yossi Beilin e Shlomo ben Ami, per ora non ci stanno, ma chissà . Insomma, la cittadella della pace brucia fra paura e cannibalismo. Barak in fondo sembra l’ unico che mantiene un atteggiamento dignitoso: già si intuisce che fra qualche mese alle primarie del partito potrebbe esser lui, lo sfortunato leader che si è giuocato tutto sulla pace, l’ uomo nuovo delle prossime elezioni.

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