LA RABBIA NEI BUNKER: « GLI ARABI VOGLIONO UNA PACE E GLI ISRAELIANI U N’ ALTRA» La guerra dei generali « Abbiamo spezzato il morale di Hezbollah»
mercoledì 9 agosto 2006 La Stampa 0 commenti
REPORTAGE
FIAMMA NIRENSTEIN
inviata a ZFAT (NORD DI ISRAELE)
« Gli Hezbollah non sono più quelli che erano tre settimane fa» così ieri,
verso le 6 di sera, ha esordito il vicecapo del Comando Nord Shuki Shahor.
Strano, arrivando su questo cocuzzolo sopra Zfat, vicino al kibbutz Sasa non
mi era sembrato: vediamo venirci incontro uno dei 130 katyusha caduti ieri
sul Nord di Israele, a fuoco ancora una volta le foreste di cipressi e di
querce. Le esplosioni intorno, le lingue di fuoco, la puzza di bruciato si
alzano dal Kinneret, il « mar di Galilea» , e circondano le « zimmer» , nicchie
del turismo israeliano. Ancora tre soldati sono stati seppelliti, nella
strada che ieri abbiamo scelto di percorrere tra le tante possibili, e che
ci ha costretto parecchie volte a cercare rifugio dentro un bunker o contro
un muro. Ma Shahor è ottimista, e il fatto che si voglia mostrare a metà
dell’ opera sembra inviare un messaggio di questo genere: « Se i libanesi
davvero convincono gli Hezbollah ad accettare che il loro esercito entri
nella zona Sud, bene, Israele può avviarsi a un rallentamento delle
operazioni» . Ma forse è solo un’ impressione.
« Colti di sorpresa»
Dice Shahor: « Tre settimane fa i terroristi credevano di imporci i loro
metodi, e dopo il rapimento e l’ attacco li abbiamo sorpresi reagendo
duramente con l’ esercito, decidendo di distruggerli, di smantellare i loro
armamenti, di uccidere i loro quadri, di cercare di portare il governo
libanese legittimo a prendere il controllo del Sud del Paese» . Shahor
riconosce che le difficoltà sono state enormi: « E’ incredibile quanto gli
Hezbollah avessero preparato un apparato di armamenti e di strumenti
tecnologici nascosti in ogni casa, in ogni grotta, con supporti di gallerie,
di passaggi, di rifugi profondi sottoterra» . Ci mostra delle fotografie per
dimostrare che non si poteva agire altro che con l’ esercito di terra. Si
tratta di foto di armi nascoste, di ingressi di grotte e case, ordigni
confusi tra le foglie, sotterrati in profondità . Tra le foto anche quelle di
armamenti degli Hezbollah timbrati con il marchio di fabbrica iraniano.
Dice Shahor: « Quando abbiamo avviato l’ operazione di terra abbiamo scoperto
che ci aspettava forse la più grande guerra non convenzionale mai combattuta
fino ad oggi; siamo di fronte a un nemico che ha deciso coerentemente di non
finire mai a stretto contatto con le nostre unità , e che per questo fa uso
continuo di grossi proiettili antitank, divenuti la loro arma preferita, con
cui sono stati uccisi il maggior numero di soldati.
Il dramma dei civili
Quanto alle popolazioni, loro hanno fatto esattamente il contrario di quello
che abbiamo fatto noi: hanno fatto del loro meglio per colpire i nostri
civili e usare i loro come scudo senza remissione. Noi abbiamo sbagliato una
volta su 6500 operazioni di volo, a Cana, ce ne siamo scusati e ce ne
scusiamo ancora... ma mi lasci dire che non ci vedo chiaro in una storia che
doveva essere di 60 morti ed era invece di 27, e di una situazione creata a
mezzanotte in cui gli Hezbollah hanno lasciato entrare i fotografi solo alle
8 di mattina...» .
Shahor insiste, la questione dei civili gli sta molto a cuore: « Quando siamo
stati obbligati a colpire, perché altrimenti loro avrebbero seguitato a
sparare, magari da luoghi da cui avevamo già visto uscire tanti missili,
abbiamo inondato i villaggi di volantini in anticipo per chiedere alle gente
di uscire. Comunque, oggi le cose stanno così : noi abbiamo 65 soldati e 36
civili morti. E loro hanno perso 475 uomini circa, forse di più , tra il 35 e
il 40 per cento di tutta la forza militare. Si tratta di un numero molto
grande quando si parla di unità terroristiche. Per questo si ostinano a
cercare di nascondere le perdite, per questo anche le famiglie vengono
tenute all’ oscuro. Ormai molti giornali locali, pubblicano i loro nomi e
anche i nomi dei 20 che abbiamo catturato e che ci stanno fornendo ottime
informazioni. Noi siamo molto motivati: l’ esercito combatte molto bene anche
se in condizioni difficili, la popolazione è enormemente coraggiosa e ci
spinge. Vogliamo ristabilire la legalità internazionale e realizzare la
risoluzione 1559 dell’ Onu. Del nemico invece sappiamo che il morale è molto
basso e vogliamo arrivare a spezzarlo» .
« Non mi fido dei libanesi»
Quando chiediamo a Shahor cosa pensa dell’ idea di Fouad Siniora secondo cui
l’ esercito libanese dovrebbe prendere subito il posto degli Hezbollah nel
Sud del Libano risponde: « Se Hezbollah glielo consente davvero, bene, si
avvia una processo, ma Hezbollah lo vuole veramente?» . La stessa domanda la
facciamo all’ ex ministro della Difesa Fouad Ben Eliezer, oggi ministro delle
Infrastrutture nel bunker del comune della città di Maalot, la città che
ieri è stata più bersagliata: « Per mia esperienza personale posso dire che
l’ esercito libanese è né più né meno che gli Hezbollah in divisa, quindi non
mi fido» .
« Ebrei e arabi come fratelli»
A Maalot il sindaco Shlomo Buchbut ci parla dal suo ufficio bunker mentre
suona la sirena per l’ ennesima volta. E’ un tipo duro e scuro, con uno
sguardo diretto da marocchino orgoglioso, è un grande organizzatore: gli
uffici sono inondati da casse di cibo, condizionatori d’ aria, televisori
impacchettati, tutto viene rapidamente distribuito tra una sirena e l’ altra
nei rifugi da una gran quantità di soldati che corre avanti e indietro.
La cittadina, 22 mila abitanti, è piena di fiori ma si avverte l’ acre odore
del foreste bruciate e si vedono molte case colpite: « Qui viviamo insieme
ebrei ed arabi, gli arabi stanno nella parte che chiamiamo Tarshita. Siamo
tutti nella stessa barca, quello che ho io, ce l’ ha anche il mio vicino
arabo. Cibo, tv, condizionatori, materassi e coperte nei rifugi, bambini che
strillano, tutto identico. Siamo un solo popolo. Abbiamo avuto qui tre arabi
uccisi da Hezbollah, tre magnifici diciottenni: come lo avessero fatto a mio
figlio. Io glielo dissi a suo tempo, nel 2000, a Barak che sbagliava: ci
volevano 3 chilometri di zona demilitarizzata. E oggi, se volete il mio
parere su questa guerra, è chiaro da tutti gli armamenti che avevano
allestito, che gli Hezbollah si stavano preparando ad invadere la Galilea,
aspettavano solo l’ ordine dell’ Iran» .In un rifugio di Tarshita scopriamo che
la popolazione arabo israeliana colpita da Nasrallah con i missili non è
affatto compatta ma per stare insieme ha trovato una parola d’ ordine molto
stagionata, molto marcata: « Vogliamo la pace» . « Vede - dice dal rifugio
Zinette Abuhasser, una vecchia signora - sono qua in mezzo a 40 bambini che
dormono accatastati insieme a noi, che mangiano su un vassoio di plastica
pollo, maccheroni e piselli, qualsiasi età abbiano. Ci manca il latte, ci
manca lo yogurt. Non se ne può più , ma io sono pronta a scambiare qualsiasi
cosa con la pace. Basta uccidere, da tutt’ e due le parti!» .
« Nasrallah vuole la pace»
Molto diverso Michael Zahihi, che invece dice: « Io mi sento israeliano, un
arabo israeliano, con la mia identità , la mia religione, la mia tradizione,
ma anche con il nostro popolo, la nostra bandiera, il nostro esercito, le
nostre buone ragioni. E’ solo perseguendole che otterremo al pace» . Finita
la sirena usciamo, su una terrazza fumano tre ragazzi in canottiera: anche
loro vogliono la pace. Ok, ma Nasrallah? finché ti spara missili addosso,
come si fa la pace? « No - sorridono sornioni - anche Nasrallah vuole la
pace» . Ma davvero? « Vede - risponde uno, inanellando il fumo della sua
sigaretta - ognuno vuole la sua pace» . E voi? volete essere gli Shahid della
sua pace? Michael esce dal rifugio, si ferma, mi guarda male: « Chi vuole
essere Shahid? Chiunque voglia essere Shahid sulla mia pelle, vada
all’ inferno, io vado a cercami un altro rifugio» .