La pubblicazione dei diari di Eichmann e l’ attuale problema del Male A ciascuno la sua banalità
domenica 5 marzo 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
QUANDO Hannah Arendt scriveva da cronista speciale del New Yorker il
suo
libro sul processo Eichmann che porta il titolo « La banalità del
male» ,aveva
intuito già allora la carica di significato del personaggio cui fu
affidato
l’ ingranaggio tecnico di gran parte dello sterminio degli ebrei, e
che
ritorna a noi oggi con i 1200 fogli scritti in corsivo semigotico e
tutti
firmati per esteso « Adolf Eichmann» di traverso a sinistra. Vedere
come
risalta questa firma troppo grande, in inchiostro, su queste pagine
appena
rese pubbliche dagli Archivi di Stato Israeliani subito dà una
sensazione di
prosopopea, di retorica affermazione di sé . Dice la Arendt
raccontando il
processo svoltosi nel 61, fino all’ impiccagione dell’ imputato a
Gerusalemme:
« Malgrado gli sforzi del Pubblico Ministero, chiunque poteva vedere
che
quest’ uomo non era un "mostro" ma era difficile non sospettare che
fosse un
buffone» . E lo stesso avviene quando nelle memorie del gerarca, che
lui
chiese di pubblicare con una copertina color perla e con reminiscenze
bavaresi, si leggono in un linguaggio pomposo e povero nello stesso
tempo
storie di misero orrore (come per esempio di quando si attaccava alla
bottiglia dopo aver visto gasare un gruppo di deportati), e inutili
frasi a
effetto. L’ uomo di questi appunti è lo stesso che una volta disse
« salterò
nella tomba ridendo perché avere ucciso 5 milioni di ebrei mi da
un’ enorme
soddisfazione» e un’ altra volta: « Sarò lieto se m’ impiccherete in
pubblico
come monito per tutti gli antisemiti della terra» . Era un personaggio
privo
persino della conoscenza elementare delle vicende storiche di cui
pure era
stato protagonista: le sue tappe erano quelle della sua propria
carriera e
le pretese frasi storiche da lui stesso pronunciate.
Insomma essendosi la filosofa tedesca avventurata alla ricerca,
insieme ai
giudici e al popolo d’ Israele e di tutto il mondo, del mostro
criminale, del
sadico assassino di sei milioni di persone, trovò invece una
personalità
insieme subalterna (« Sono solo un ingranaggio di una macchina
inarrestabile» ) e tronfia.
Ora, le nuove - vecchie pagine di Eichmann, che per l’ ennesima volta
ci
confermano tutto ciò che è già noto, ci impongono due riflessioni.
Eichmann
ripete cose che sono contenute già nella sua come in mille altre
testimonianze, deposizioni sia di vittime che di carnefici. Non c’ è
ombra di
possibile dubbio sulla sostanza di ciò che accadde: le tecniche di
negazione
sono sempre le stesse. Se c’ è un conflitto di testimonianza, e
scompare
qualche errore fattuale anche minore, si nega l’ intero contenuto del
racconto; se c’ è una differenza di opinioni fra storici come Raul
Hilberg
che dice che i morti sono 5 milioni e 100 mila e Wolfgang Benz, che
parla di
6 milioni e 100mila, la si usa per dichiarare l’ assoluta incertezza
dei
numeri; si usano documenti fuori contesto, come fa Irving quando usa
un
ordine di Himmler di fermare un treno di ebrei in uscita da Berlino
per dire
che Hitler ordinò di fermare lo sterminio
In realtà le prove negazioniste sono povere, ma assumono grande
importanza
nel momento in cui le si usano di concerto con la tesi
comparativista, e
sarebbe quindi interesse di tutta la gente di buona volontà , ebrei e
non,
scindere le due cose definitivamente. Il comparativismo afferma
l’ idea che
anche il comunismo abbia compiuto atrocità simili a quelle del
nazismo, e
che in generale l’ Olocausto non sia incomparabile ad altri genocidi
etnici
come quello, per esempio, dei cambogiani. Ovvero, tornando al caso
Eichmann,
che non richieda la mobilitazione di forze del male particolarmente
sadiche,
ma solo la mobilitazione della tragica porzione di male che ognuno di
noi in
quanto essere umano, alberga. Eichmann, contrariamente alle
aspettative dei
suoi giudici e del mondo intero che finalmente legge i suoi diari,
era una
persona comparabilmente insensibile, comparabilmente presuntuoso e
sciocco,
comparabilmente pavido e cattivo...l’ indicibile orrore che la sua
media
malvagità unita alla sua pochezza ha procurato è il frutto
dell’ incontro fra
particolari circostanze storiche, e l'Uomo. Del resto, insistere
sull’ incomparabilità dell’ Olocausto alla fin fine significa insistere
sull’ impossibilità di fare qualsivoglia uso della sua lezione: se
fosse
frutto di una irriproducibile perversione sarebbe perfettamente
inutile
ribadirne la memoria per imparare a evitare, sulla lezione dello
sterminio
di sei milioni innocenti, come sempre si ripete, le nuove minacce di
genocidio, il nuovo antisemitismo, il nuovo razzismo, le guerre di
religione
e di etnie. Figlie, tutte quante, delle gesta di uomini semplicemente
incapaci di ergersi contro la banalità del proprio Male .