LA PACE SUL FILO DEL RASOIO
giovedì 30 maggio 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV SE i risultati delle elezioni confermeranno le proiezioni
che nella nottata di ieri hanno dato Peres vittorioso sia pure di un
solo punto e mezzo e in crescita i partiti che gli consentiranno di
formare un governo di sinistra, l'intero pianeta, e non soltanto
Israele, farà festa. La tensione è stata immensa, Bibi Netanyahu è
arrivato a un soffio dal farcela e ancora in realtà l'ultimissima
parola non è detta. Il Paese esce diviso da questo confronto, il
testa a testa fra due modi d'essere, di pensare, di credere nel
futuro di Israele rimane infitto nella società . Ma il risultato
tuttavia, ci parla soprattutto di fiducia nella pace, nel progresso,
nella civile convivenza. Israele dall'assassinio di Rabin è corso
sul filo del rasoio verso la pace. La folla immensa dei media che
hanno invaso il Paese in questi giorni aspettavano notizie che, se
diverse da quelle che pure incerte riceviamo in queste ore, avrebbero
creato una crisi mondiale e nazionale. Mondiale: perché Clinton,
oggi alla vigilia delle elezioni americane, e i leader europei tutti,
avevano deposto tutta la loro attenzione e il loro impegno solo sulla
parte e sull'uomo legati al processo di pace. Così avevano fatto
molti dei leader del mondo arabo, primo fra tutti Re Hussein, Arafat,
Mubarak e buona parte dei capi del Maghreb e del Golfo. I loro mondi
non ammettono errori come quello di scambiare un nemico per un amico:
le pericolose, feroci opposizione che ne minacciano la vita e i
regimi ogni giorno, avrebbero avuto buon gioco come non mai nelle
loro incessanti congiure. L'integralismo islamico che ha perseguito
la sconfitta di Peres con tutte le armi possibili, avrebbe avuto una
vittoria immediata sul processo di pace, e in prospettiva su tutti i
leader moderati dell'area. Ma il risultato più importante, in questo
Paese degli Ebrei, dove il passato, il presente e il futuro montano
l'uno addosso all'altro, e talora si divorano abbracciandosi, è
soprattutto per la storia di Israele: Netanyahu, anche se nella
campagna ha tenuto bassi i toni dell'attacco a Peres, presentandosi
come un capo moderato alla Sadat, alla Begin, alla De Gaulle capace
lui solo di garantire la pace nella sicurezza, pure ha tenuto
nascosto tutto il tempo dietro la schiena lo spauracchio della
minaccia cosmica della morte del popolo d'Israele, dell'arabo-
persecutore, ontologicamente cattivo. Ha messo in ridicolo la
possibilità di creare un Nuovo Medio Oriente, ha paventato la
distruzione del Tempio (ovvero la divisione di Gerusalemme) e
soprattutto ha puntato sulla separazione politica ma anche
soprattutto culturale che è il vero rischio della storia attuale di
Israele. Con quel suo fare da americano, in realtà , Bibi Netanyahu
lungi dall'essere l'interprete dell'ebraismo intellettuale e
religioso dell'antico ghetto, ha esaltato la sua identità ebraica
per vendicare la separazione fra sionismo religioso e sionismo laico,
la distanza etnica fra ashkenaziti e sefarditi, ha tentato di
colorare la linea invisibile che ha tenuto Israele lontano per tanti
anni dalla normalità . Peres, anche se conosce bene l'effettivo
cocente e terribile odio arabo, e lo ha sempre combattuto quando è
stato necessario, fino poi a scegliere la pace come l'unica strada
possibile, non ha mai usato questa consapevolezza come arma di
divisione. Peres è contro la superstizione, contro gli amuleti, le
interdizioni mistiche, l'etnicismo che si fa politica. È invece
concretamente a favore della modernità , crede nell'uguaglianza di
tutti i cittadini di fronte allo Stato quale che sia il loro credo,
non lascia che nessuno si illuda che certi diritti provengano dal
cielo e che quindi siano prima o poi destinati a una vittoria
metafisica quale che sia la maggioranza nel Paese. Sa che pace non è
una parola astratta, ma vuole anche dire crescita economica;
Netanyahu, asserragliato nella sua , non avrebbe potuto
certamente promettere un'economia stabile, come invece ha millantato.
Infine, Peres deve la sua elezione al voto degli arabi israeliani e
la sua ideologia laica gli permette di riconoscerlo senza problemi:
questo potrebbe condurre addirittura ad avere un ministro arabo nel
governo. Un ultimo punto: mentre il mondo festeggia Peres, è bene
capire fino in fondo quanto sia stato eroico il voto di Israele,
quanto la sua divisione testimoni di un rischio reale, quotidiano, al
quale questo popolo, al di là delle ideologie, risponde con la
speranza nonostante la paura sia tanta. Guai all'Occidente se ritiene
questa vittoria testa a testa il minimo dovuto alle aspettative del
mondo, un regalo ai suoi buoni sentimenti. È piuttosto un invito a
non lasciare mai più Israele da solo di fronte al pericolo
dell'integralismo islamico. Fiamma Nirenstein