LA NUOVA STRATEGIA DEGLI ESTREMISTI PALESTINESI La guerra alla fermat a del bus Dall’ Intifada agli attentati contro i civili
lunedì 5 marzo 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
ORMAI sono uno al giorno, talvolta volta due, gli attacchi
terroristici a
cui sono sottoposti i cittadini israeliani: la paura è una segreta
compagna
di chiunque salga su un’ autobus, di chi compia un percorso in
automobile, di
chi entri in un negozio o in un centro acquisti, o persino di chi se
ne stia
a casa sua. E’ uno stillicidio di vite che si incunea nella mente con
un
continuo memento: nessun israeliano deve sentirsi sicuro, la
questione dei
Territori è ormai solo una parte della grande contesa sul campo, la
legittimità di Israele stessa dentro la Linea Verde è messa essa
stessa in
discussione. Non di coloni si parla, l’ erosione psicologica in atto è
mirata
sul cittadino di Natania, di Ashdod o di Gerusalemme che non si
aspettava
mai più , dal 1993 di vedersi considerato un’ estraneo nella sua
patria, un
ospite ingrato da scacciare.
Chi compie gli attentati e che cosa farà il nuovo governo di Sharon?
La
risposta delle forze di sicurezza israeliane alla prima domanda è
altrettanto fatalmente confusa quanto invece è dominata da
un’ astensione di
fondo: Arafat controlla, se non controlla annuisce e sussume ogni
cosa nel
suo puzzle strategico, è lui il burattinaio. Una delle prove più
recenti
(portata sempre dall’ intelligence) è quella del ritegno esercitato
durante
l’ incontro fra il rais e Colin Powell a Ramallah, e rotto subito con
due
attentati nella zona pochi minuti dopo che il segretario di stato
aveva
cessato di essere ospite di Arafat. In questa sequenza era contenuto
l’ intero breviario strategico dei palestinesi in questo momento che
si legge
così : gli americani potrebbero avere sempre un ruolo da noi
apprezzato, come
lo ha sempre tutto il contesto internazionale, non faremo niente che
rovini
i rapporti. Però : non abbassiamo la guardia, il nostro scontro con
Sharon è
invece vivissimo, e il nuovo primo ministro deve sapere che non
abbiamo
paura di lui. Poche ore dopo Marwan Barguty, il capo dei Tanzim le
milizie
armate del Fatah, rinnovando l’ invito a rinforzare l’ Intifada
chiariva che
qualsiasi azione anti israeliana avrebbe aggiunto un gradito punto al
disegno strategico dei palestinesi. In realtà , che si tratti di
Hamas, di
Jihad, dei Tanzim, degli stessi apparati di sicurezza del Fatah,
ormai non
fa molta differenza: tutte per uno, le organizzazioni che orchestrano
gli
attentati sono in sintonia con l’ idea base che qui i palestinesi si
trovano
di fronte ad una lotta decisiva, con tratti addirittura fatali. Lo
sbocco
che Arafat disegna è quello di un ennesimo attentato che obblighi
Sharon
esasperato a una risposta così dura (soprattutto così significativa
dal
punto di vista politico, come un reingresso nella zona A, quella in
totale
controllo dell’ autorità Palestinese) a causa della quale si possa
invocare
un potente aiuto internazionale, una sorta di arbitraggio che mette
Israele
nell’ angolo. Lo sforzo è grande, non si tratta più di isolati
attacchi
terroristici ma di un’ ondata di terrorismo nel cuore di Israele.
L’ altro
scopo è quello di spingere Israele a indurire le misure di chiusura
dei
territori, e di poter così richiamare l’ attenzione internazionale
sulle
misere condizioni di vita dei palestinesi. Quanto più la comunità
mondiale
aiuterà Arafat, tanto più il rais ha possibilità anche di rafforzare
la
stima e l’ apprezzamento fra i suoi, cosa che appare sempre più
complessa: la
domanda infatti se la guerra non avrebbe potuto essere evitata con
un’ abile
trattativa che era per altro già in corso, serpeggia tra le pieghe
della
sofferenza in questa Intifada post processo di pace, un processo che
chissà
quando mai potrà essere ripreso.
E che farà Sharon? Per ora le sue dichiarazioni sono moderate: benché
si
rifiuti di trattare sotto il fuoco, tuttavia chiede insistentemente
che
Arafat dia un chiaro segnale contro il terrorismo per potere
intervenire
positivamente verso le condizioni economiche della popolazione
palestinese
in modo che essa possa recuperare un decente livello di vita, e i
suoi
rappresentanti politici possano rimettersi a trattare. Le operazioni
che lui
e il suo prossimo ministro della Difesa Benjamin « Fuad» Ben Elieser
intraprenderanno, saranno (sempre che l’ opinione pubblica infuriata
non gli
prenda la mano) probabilmente del tipo mirato su responsabili
specifici,
evitando, come ha detto Fuad le punizioni collettive e il rinnovo
dell’ occupazione nella zona A. Tuttavia resta un’ incognita di cui si
parla
poco nei programmi israeliani: cosa farà Arafat? Quali sono i suoi
pensieri?
Se il rais come dice Mofaz, il capo di stato maggiore, è il mandante,
il
capo che controlla tutta la situazione, la strategia deve essere
tutta
mirata a trattare con lui, o a punirne le mosse. Altrimenti, la
tattica è
tutta diversa, più articolata, forse frammentata. Ma nel campo
palestinese
la confusione, autentica o orchestrata, mostra comunque un mare di
onde in
tempesta che scuotono la rigidità di ogni analisi e mettono in
difficoltà
anche i migliori strateghi.