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LA MORTE DI RABIN Le lacrime dei Grandi sulla tomba dell'eroe

martedì 7 novembre 1995 La Stampa 0 commenti
OGNUNO piangeva l'amico perduto, il formidabile essere umano e politico di grande visione, la sua grandezza, dopo la sua morte, risplende sui secoli passati e a venire nella storia del popolo ebraico e del mondo. Ma ciascuno piangeva anche la sua specifica, e adesso evidente, intimità con questa scheggia del mondo occidentale in Medio Oriente così assurdamente simbolica per tutti e per ciascuno, il suo intreccio con la storia degli ebrei. Helmut Kohl, il cancelliere tedesco, troneggiava carico dell'immenso disastro e della successiva riconciliazione che legano il popolo tedesco al popolo d'Israele; il principe Carlo d'Inghilterra e il primo ministro John Major a loro volta, seduti in prima fila, portavano su di sé la storia controversa del rapporto fra il mandato britannico e il vecchio insediamento (l'Yshuv) palestinese; il presidente francese Jacques Chirac, in mezzo a tutti i leader europei, certo ricordava il grande amore fra Israele e l'Europa fino al 1967, il tempo della Guerra dei Sei Giorni e la successiva grande rottura affettiva e politica, che ha fatto sì che il punto di riferimento occidentale e il primo amico di Israele divenissero, al posto dell'Europa, gli Stati Uniti. Clinton è giunto accompagnato dalla più grande delegazione americana mai recatasi all'estero (così ha detto Ted Kennedy che aveva portato in dono un pugno di terra delle tombe dei suoi fratelli perché fosse parte del sepolcro di Rabin). Dei tre aerei americani che avevano portato qui il Presidente con i suoi uomini, uno era servito a suo tempo a trasportare la salma di Kennedy. Con Clinton oltre ai suoi dignitari e agli uomini che lavorano in squadra per il processo di pace, c'erano due ex presidenti, Jimmy Carter e George Bush, l'uno l'artefice e il testimone primario dell'accordo di Camp David fra Egitto e Israele; l'altro il tessitore dell'incontro di Madrid, vero inizio del rapporto fra israeliani e palestinesi. E Clinton stavolta è stato il mallevadore della stretta di mano fra Rabin e Arafat. I presidenti erano 22, i primi ministri 25, e chissà quanti ministri degli Esteri e quanti altri alti dignitari. Ma gli occhi di tutti erano puntati sugli ospiti straordinari, quelli che Rabin più di tutti avrebbe voluto vedere a Gerusalemme. Gli arabi, con le loro lacrime regali da re e da guerrieri che piangevano il valore e il coraggio dell'ex nemico, del generale che più di ogni altro un tempo fu contro di loro, che usò il fucile e la repressione nel '48, che nel '67 conquistò i territori palestinesi di proprietà giordana, e che poi, come in una leggenda che ieri si squadernava davanti ai nostri occhi al suo epilogo da tragedia greca, aveva saputo andare loro incontro, proporre una pace da uomini che si guardano diritti negli occhi, da soldati. Una pace onorevole e giusta. Una pace, perciò , santa come ha ripetuto re Hussein, alle tre religioni monoteiste. Mubarak è arrivato con un'impressionante corte di uomini della sicurezza; capo dell'Egitto dal 1981 non aveva mai voluto finora mettere piede in Israele. Tanto meno a Gerusalemme. La pace con l'Egitto, anche se duratura e stabile, è una pace irta di spine. Il Paese dei Faraoni è il più orgoglioso dopo la Siria, il più timoroso che Israele possa stabilire una sua supremazia nella zona. Ma in nome dell'amico morto, Mubarak ha parlato in onore di Rabin, ha lasciato che il sole dell'anfiteatro del luogo più simbolico di Israele, davanti alla tomba di Herzl, illuminasse il suo profilo da faraone mentre si commuoveva ascoltando il Kadish, la preghiera con cui gli ebrei salutano i loro morti, cantata alla maniera dei rabbini dell'Europa orientale. Re Hussein, che pure con Rabin condivideva molte ore di intimità , è venuto in veste regale, con la kefia beduina. Si stringeva addolorato alla moglie Noor, proprio come Clinton abbracciava Hillary, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Poco lontano, i pugnali scintillanti, i turbanti colorati, i dignitari dell'Oman insieme a quelli del Qatar rendevano onore all'uomo che aveva dischiuso le frontiere della pace. C'era anche il primo ministro del Marocco Abdul Afif Filali anche se Israele non ha nessun rapporto diplomatico col suo Paese. Arafat, peccato, temendo d'eccitare l'opinione pubblica israeliana, non è venuto. Così i palestinesi sedevano in quarta fila, secondo le leggi del protocollo che lasciava i primi posti alla famiglia, ai primi ministri, al governo israeliano. E c'erano anche il presidente del Consiglio Lamberto Dini e il ministro Susanna Agnelli. La grande forza di Rabin ieri stendeva magnetiche ali sull'anfiteatro. Clinton, da vero americano protestante, uomo di Bibbia, ha ricordato che il brano che gli ebrei leggono questa settimana è proprio quello del sacrificio di Isacco. Ma il figlio di Abramo fu lasciato in vita, come pegno dell'amore di Dio. ha detto Clinton. Ma ha aggiunto che tutto intorno vedeva i grandi risultati dell'opera di Rabin, la testimonianza del suo patto con la storia, il patto di pace. A Washington Rabin aveva detto a Clinton: È incredibile quanti leader di tutto il mondo siedano qui, a lavorare per la pace; ieri, per lui, ce n'erano ancora di più . Ma mentre la sera di Gerusalemme si riempiva via via di nuvole, sulle parole dei leader di tutto il mondo, per quanto calde, per quanto sincere e piene di speranza, saliva la disperazione di Israele. Peres, ormai Capo dello Stato ad interim, ha invocato l'amico morto, ha attribuito a lui la primogenitura nel processo di pace. Raccontando come l'infaticabile amico non avesse mai requie, e di come ultimamente gli avesse rivelato la sua stanchezza, sembrava parlasse di sé . si è ripreso, ma sembrava affranto mentre prometteva a tutto il mondo di continuare solo sulla strada finora percorsa in due. Lea Rabin, i figli e i nipoti, erano, seduti al centro, un solo viluppo di affetto, una famiglia ebraica come nella tradizione più classica, l'uno per l'altro. di mio nonno ha detto, il viso pieno di lentiggini e di pianto, una delle giovani nipoti, Noa, che abbiamo appena trascorso, la notte in cui la nonna non riusciva a smettere di piangere. E di come tu, nonno, eri meraviglioso e grande, e di quanto affetto e calore eri sempre capace di dare. E di come soltanto noi abbiamo conosciuta la carezza calda delle tue mani... per favore, nonno, cerca di riposare in pace, ma anche di guardarci ogni tanto, di proteggerci a noi, quaggiù , perché noi ti amiamo tanto. E Eitan Haber che tanti anni gli è stato accanto come aiutante, ha mostrato al pubblico un foglio intriso del sangue di Rabin: vi erano scritte le parole della canzone Shir ha Shalom, canzone di pace, che Rabin aveva cantato e di cui si era messo in tasca il testo prima di essere colpito. I suoi amati militari, i paracadutisti, i carristi, i Golani, gli uomini del mare e dell'aria sono rimasti sempre intorno sull'attenti, disperati. Per i leader egli era l'uomo della pace, per loro, i soldati d'Israele, un padre in loro costante difesa. La sirena ha suonato come nel giorno della memoria dell'Olocausto, e come nel giorno della memoria dei caduti in guerra. Questa è una guerra per il futuro, è vero, non una guerra di difesa, ma di attacco, per la pace. Ma per Israele è soprattutto un altro mare di dolore che si aggiunge ancora a tanti lutti. I leader arabi lasciano la tomba appena chiusa, Clinton si allontana. E allora i ragazzi israeliani che stavano ai cancelli entrano correndo sul monte Herzl, verso la tomba del loro caro.Fiamma Nirenstein

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