LA MORTE DI RABIN Il giorno dei fratelli nemici Il day after di un Pa ese diviso e impaurito
lunedì 6 novembre 1995 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV IMMENSA, di mattina, ancora pavesata dagli striscioni della
manifestazione di ieri, si spalanca la scena dell'assassinio di
Yitzhak Rabin il giorno dopo. Kikar Malchei Israel La
d'Israele è già stata ribattezzata da una mano che
ha scritto questo nome sul muro con il gesso. La gente tutta la notte
non ha abbandonato il luogo dell'omicidio: nel buio si sono accese
centinaia di candele. I ragazzi sono rimasti accoccolati per terra a
piangere. A spazzare le strade con la loro rabbia sono state le
generazioni più adulte, le eredi dell'Israele sionista e socialista
delle guerre di Rabin, il generale. Davanti all'ospedale Ichilov,
dove Rabin moriva, hanno gridato nel buio, spintonando quelli che
incautamente esibivano una kippah, il copricapo degli ebrei più
ortodossi. Nelle strade si udiva la voce della tv, le parole di Rabin
inseguivano i passanti. I ragazzi, le soldatesse bionde con i calzini
arrotolati, i giovani in divisa pacifista, le immense magliette e
l'orecchino d'ordinanza, le belle giovani con le magliette sopra
l'ombelico, si accucciano intorno alle candele che a chiazze formano
laghi di dolore sul selciato. Il sole finalmente la mattina batte
forte su chi è rimasto a vegliare di notte e su quelli che
sopraggiungono a cercare di elaborare con il corpo, con la presenza,
la scomparsa di un padre che la mente non riesce a considerare
perduto. , ripete senza fine una
ragazzina.
dobbiamo fare qualcosa, siamo noi che dobbiamo agire, oggi è nostra
la responsabilità , tenta un suo piccolo comizio un'altra. Tre sono
i gruppi sulla piazza, uno ripercorre gli ultimi passi del leader:
scende le scale, si indica l'un l'altro:
l'assassino, da qui ha sparato, qui Rabin è caduto. Un altro gruppo
prosegue, per così dire, nella manifestazione di pace di ieri, sotto
la grande, ormai ironica scritta Sì alla pace e no alla violenza.
Questo gruppo canta, si abbraccia, ripete la solita verità : Rabin
aveva scelto la strada della pace, su questa bisogna continuare,
bisogna sperare in Peres, proseguire nell'opera del leader
assassinato. Che altro? Com'è potuto avvenire? Ormai la follia
estremista invade l'universo, rispondono. Non c'è che curare una
ferita, considerare con calma la necessità di ricreare l'unità
degli ebrei. Poco lontano, però , un terzo gruppo si accapiglia, si
aggroviglia, si scioglie in liti continue: chi vuole scontrarsi non
ha che da avvicinarsi.
stato.
il partito che per primo iniziò il processo di pace, chi se non
Begin firmò la pace di Camp David con Saddat? Chi potè farlo senza
spaccare il popolo, come invece ha fatto la sinistra?.
te, è stata colpa sua, colpa di Rabin se gli hanno sparato?. È
stata colpa di un gruppo di esasperati, e non del Likud. La tv e la
radio rimandano amplificato e continuo questo stesso dibattito,
parlano intellettuali, militari, politici, continuamente sfilano
anche le immagini in bianco e nero della vita di Rabin, quasi sempre
in divisa, bellissimo e sfrontato, un vero sabra, un
contrattaccare a testa bassa i suoi nemici. Guerra tra fratelli Nelle
scuole d'Israele la mattina è stato soprattutto difficile spiegare
come sia accaduto che un ebreo abbia ammazzato così un altro ebreo.
I bambini non lo capiscono. Le maestre, i professori, chiedono un
momento di silenzio: fin qui è facile. Si canta insieme una canzone:
anche questo si può . Poi si legge una poesia. Alla scuola d'arte di
Tel Aviv moltissime, anche se i più piccoli sono arrivati coi
giornali quotidiani in mano: bando alla poesia. Vogliono toccare la
realtà che fa piangere i loro genitori con le mani, almeno
stringendo un pezzo di carta. Una poesia affissa sulla porta ripete
che lui era un uomo meraviglioso, ma che noi non siamo stati buoni
come lui. Ma come mai non siamo stati buoni? Una maestra con i
bambini della Kittaleph, la prima classe: quello che l'ha ucciso era
molto in disaccordo con lui, in più era un uomo squinternato, un
pazzo, un arrabbiato. Non ha trovato niente di meglio che ucciderlo
per dimostrargli il suo disaccordo. Ma i ragazzini non ci capiscono
niente. Non erano gli arabi i nostri nemici? I ragazzi tornano a casa
prima dell'orario regolare. Un ragazzino con i capelli rossi si
sforza di dare la sua interpretazione:
era un uomo buono. Io sono per la pace. Ma io, io...odio questo
Paese. La Sicurezza Lo scrittore Meir Shalev dice alla televisione
che
stessa carne di quelli che hanno gridato a Rabin assassino e nazista.
Io non voglio neppure stare nella stessa stanza con Bibi Netanyau, io
non voglio aver niente a che fare né con lui né in generale con gli
uomini di destra. Che non me lo impongano per favore. Un gruppetto
di uomini della Sicurezza discute di fronte alla Knesset, dove ieri
è stato trasportato il corpo di Rabin:
processo, è intaccata per sempre. Perché Rabin non indossava un
giubbotto antiproiettile? Perché la guardia del corpo non gli ha
protetto le spalle, perché non si è preso lui la pallottola
destinata a Rabin, o perché non ha ucciso l'assassino prima che
arrivasse così vicino al capo? Tutto lo Shabbach, i servizi, è
allenato per questo, solo per questo. Cosa è successo dunque?
paura, molta gente dice telefonando alla radio, che tiene i
microfoni aperti tutto il giorno. Paura di che cosa? Paura, solo
paura, un'immensa paura che gli ebrei possano cominciare ad uccidersi
l'un l'altro, spezzare la solidarietà che li ha uniti contro le
persecuzioni prima e poi contro il nemico mediorientale. La paura in
queste ore segna anche la pace di Peres, che appare un uomo diverso
dal diplomatico senza pieghe che siamo abituati a vedere. Alla
Knesset La mattina il corpo di Rabin è stato trasportato da Ramat
Gan, il sobborgo di Tel Aviv in cui abitava, su una camionetta
militare. La sua bara è adesso esposta davanti all'edificio
squadrato del Parlamento, teatro degli ultimi terribili scontri in
cui si era disperatamente difeso contro un'opposizione sempre più
aggressiva. Gli ebrei non usano nessun simbolo religioso, nessun
segno esteriore. Restano soli con la morte, dopo che il proprio
figlio li ha salutati con il kaddish, la preghiera dell'addio. Yuval,
il figlio di Rabin, lo ha fatto con voce ferma, poi è tornato a
sedere accanto alla sua bellissima madre, Lea, così eroica,
un'israeliana di vecchio stampo, elegante e combattente, e
soprattutto, così innamorata. Innamorata come lui. Guardandosi
intorno, pochi istanti prima che gli sparassero, ha detto le sue
ultime parole: Dov'è Lea?. Alla fine della giornata, accompagnata
dai figli, Lea è scesa dal suo appartamento di Ramat Gan, è quasi
corsa incontro alla folla, che dal momento dell'omicidio non si è
mai staccata dalla porta di casa. Con voce alta e gli occhi sbarrati
pieni di lacrime, senza battere le ciglia, ha detto:
nel vedervi qui è immensa. Però peccato che non c'eravate quando lo
chiamavano "assassino" e "traditore". Avrei voluto che foste
accanto a lui. Due colpi lo hanno ammazzato. Quest'uomo meraviglioso,
speciale, straordinario, io so che voi lo amavate, e anch'io voglio
dirvi che siete stati molto affettuosi, e vi ringrazio di tutto cuore
di essere qui. Ve lo dico da parte sua. Ora, alla Knesset, Lea mette
una mano sulla spalla del figlio. La bara è avvolta nella bandiera,
è terribilmente geometrica, la circondano soltanto i militari con i
berretti dei colori di tutte le armi, ci sono anche i paracadutisti,
tanto amati da Rabin, col berretto rosso. Sulla bandiera così nuda,
il blu è troppo blu, il bianco è troppo bianco: troppo pulita la
scena di fronte a cui la gente comincia a sfilare per sfogare un
dolore, che resterà invece, la scena lo impone, entro confini
israeliani, militari, coraggiosi come era Rabin. Stiamo in coda con
le 150 mila persone che sono venute a salutare il Capo dello Stato di
Israele. Sono venuti da tutto il Paese, si vede che appartengono a
ogni classe sociale. Tanti religiosi piangono e pregano.
religiosi, mi dice il vicesindaco di Gerusalemme David Cassuto, che
aspetta il suo turno con la chippà in testa, è forse ancora più
terribile. Intanto, in questo momento sono tutti sotto accusa. E poi,
nella Bibbia è scritto che il Capo, il Presidente, il re, è la
grande ricchezza del suo popolo, del popolo di Israele, e che in
nessun modo deve essere offeso. Perché è Dio che gli tiene una mano
in testa. Rabin sarebbe stato entusiasta della folla che viene a
salutarlo: è viva, è giovane come la sua idea dello Stato, è una
folla ancora pionieristica, evidentemente povera, invadente e
rumorosa. Porta candele e fiori ma anche grandi colombe di carta
bianca, le colombe della sua pace. Fiamma Nirenstein
