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La missione di Biden in Medio Oriente. Prove di risposta allo strapotere di Putin

lunedì 11 luglio 2022 Il Giornale 0 commenti

Il Giornale, 11 luglio 2022

Se non ci fosse nella sua agenda, fiammeggiante, la guerra russa contro l'Ucraina, forse Joe Biden non starebbe per sbarcare qui, a Gerusalemme, mercoledì prossimo; non sarebbe entrata nella sua agenda la clamorosa conclusione dell'ostracismo dichiarato contro il principe Mohamed Bin Salman, il tenebroso, affascinante MBS, dittatore e riformatore saudita. Dopo l'assassinio di Kashoggi in Turchia non avrebbe mai, il presidente americano, messo in agenda, l'incontro programmato a Riad. Anzi, Biden ha sempre seguitato a ripetere che non è proprio un incontro, ma un ritrovo quasi casuale in occasione di un riunione con vari dignitari sauditi.

Ma in Arabia Saudita, si sa bene, comanda MBS. E chi lo sa lo considera più di Biden, i cui cittadini ormai pagano la benzina 5 dollari per tre litri e mezzo, e si avviano carichi d'ansia alle elezioni di «midterm», prevedendo un inverno in cui la rottura con la Russia crea mancanza di energia, inflazione, disoccupazione. Biden è preoccupato e cerca un successo.

A Gerusalemme si spolvera il tappeto rosso, il nuovo primo ministro (ad interim, ma entusiasta dell'occasione) Yair Lapid prepara il discorso, si chiudono le strade, Biden resterà tre giorni: un'eternità per una visita presidenziale americana, e già tuttavia più che su Israele lo sguardo di Biden è puntato sull'Arabia Saudita per due ragioni: la prima di affermazione internazionale. Una presa di posizione di fronte alla forza di Putin: che non creda di dominare il Medio Oriente, con la presenza aggressiva e catalizzatrice nel porto di Tartus, con la longa manus dell'Iran, sempre più amico della Russia, che spinge i suoi armati fino in Yemen, Iraq, Libano, con le sue forze sul mare e in terra in Siria, che tesse trame profonde con la Turchia e la incita a un doppio gioco che l'Europa non ha voglia di scoprire, ma che Biden conosce bene.

La seconda ragione è quella della richiesta a MBS di aumentare la produzione petrolifera e di andarci piano coi prezzi, e di stabilire un rapporto con Israele che allargando i patti di Abramo dia una larga base di consenso alla presenza americana. Obama iniziò la sua disastrosa politica di «disengagement» con l'abolizione della «linea rossa» in Siria e quindi il consolidamento di Assad; l'Iran ha approfittato per far crescere le sue milizie Hezbollah e Houty mentre rimpinguava l'arricchimento dell'uranio; Hamas, con i soldi del Qatar e l'aiuto turco, tutti legati alla Fratellanza Musulmana e almeno temporaneamente all'Iran sciita, ha scalzato il potere di Fatah fra i palestinesi...

Biden sa che le debolezze portano a risultati disastrosi, come quella che si è visto in Afghanistan. L'Arabia Saudita stessa, nei mesi scorsi, aveva cercato un bizzarro contatto con l'Iran, il suo peggior nemico; la Russia, la Turchia e l'Iran hanno firmato un patto, Erdogan questo stesso mese va a incontrare il suo omologo a Teheran. Biden sa che la gioia di Putin nel vedere il suo declino mediorentale può essere rovinata soltanto da una vicenda clamorosa come l'allargamento della base di consenso e di fiducia filoamericana, che al giorno d'oggi può legarsi solo ai patti di Abramo e ai sauditi, i prìncipi per eccellenza. Non è detto per questo che l'Arabia Saudita, che ha da difendere la sua posizione di padrone di casa della Mecca, mèta di pellegrinaggio e oggetto di fede di tutto l'Islam, sia subito pronta a fare un accordo con Israele.

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