LA MEMORIA. Dopo trent'anni film e riviste rievocano uno dei momenti più bui del regime di Gomulka Polonia, il '68 antisemita Furono espulsi dal P aese 20 mila ebrei
mercoledì 17 giugno 1998 La Stampa 0 commenti
È stata la prima volta quest'anno che in occasione del giorno
della memoria della Shoah, ma anche per marcare il 50o anniversario
dello Stato di Israele, il primo ministro è andato ad Auschwitz,
in Polonia, alla cerimonia di commemorazione che annualmente si
tiene insieme ad una marcia di giovani ebrei e di superstiti dei
Campi. Un'occasione che dir solenne è dir poco, e che certo,
insieme a tante altre iniziative culturali e politiche tenute nel
giorno della Shoah, ha un suo grande significato, forse il più
grande. Ma se non si devono dire solo parole di commemorazione nei
giorni delegati, e se il presente deve rivelarci i suoi significati
alla luce di ciò che fu, i segni non sono buoni, i lapsus sono
stati troppo grossi, la Polonia dovrebbe andare dallo psicanalista.
Infatti i giornali israeliani sono usciti sconcertati in prima
pagina spiegando che il Paese che per 800 anni aveva avuto la
presenza più massiccia di cittadini ebrei, che li aveva visti
sterminare nella misura della metà , forse più della metà dei 6
milioni fatti fuori dai nazisti senza fare tante storie, non
avrebbe potuto accompagnare Netanyahu nel suo pellegrinaggio con
una delegazione adeguata e numerosa: infatti il presidente
Alexander Kwasniewski, e il ministro degli Esteri Bronislaw Geremak
erano in visita in Lussemburgo; e il ministro della Difesa Janusz
Onyszkiewicz, guarda caso, è anche lui all'estero, ed è potuto
tornare solo dopo che Netanyahu è rientrato in Israele. Solo il
primo ministro, peraltro ovviamente molto occupato, ha potuto
tenere un breve discorso ad Auschwitz: ma contro ogni evidenza
della storia ha voluto conservare quella parte in commedia che
ormai da tempo gli intellettuali ma anche lo stesso presidente
Kwasniewski non intendono più recitare, descrivendo i polacchi
come testimoni e vittime innocenti, anch'essi, dell'antisemitismo
nazista. È proprio un caso tipico in cui la Belva Nazista viene
usata per coprire orrori antisemiti che nel caso della Polonia sono
antichissimi, coinvolgono i suoi cittadini, e sono particolarmente
evidenti proprio negli anni precedenti all'invasione tedesca quando
presero forma di pogrom e di stermini del tutto spontanei e contro
moltissimi villaggi polacchi ebraici, ad opera, appunto, di
polacchi non ebrei.
Ma questo è certo meno rispetto a quello che i polacchi sono
stati capaci di fare in anni ben successivi alla cosiddetta
"lezione dell'Olocausto" quando più di 3 milioni dei loro
concittadini erano stati sterminati nei campi. Infatti, e pochi se
lo ricordano, nel 1968, nel marzo, la Polonia comunista di Gomulka
buttò fuori dai suoi confini in seguito ad una campagna antisemita
di Stato che peraltro fu molto popolare quelli che si possono
descrivere come i suoi ultimi 20 mila cittadini ebrei. È un
episodio che si è voluto dimenticare, forse perché insegna tanto,
troppo.
La storia cominciò con una piece teatrale anti sovietica del
Teatro Nazionale Polacco alla fine del '67. Quanto a vendita di
biglietti, andò benissimo; ma Gomulka decretò l'immediata
sospensione degli spettacoli. Fu da qui che prese piede la protesta
studentesca che dilagò nel '68, quando migliaia di studenti si
barricarono nell'Istituto Tecnico di Varsavia attaccati dalla
polizia. Presto tutta la vicenda assunse anche un carattere
politico interno al partito comunista, in cui la "seconda fila" dei
dirigenti prese spunto dalla rivolta studentesca per attaccare la
prima generazione. Si dà il caso che fra i giovani studenti in
rivolta si trovassero alcuni figli della "seconda fila" e che fra
loro alcuni fossero di origine ebraica. La campagna di Gomulka
cominciò a prendere un tono antisionista, e anzi, diventò una
battaglia fra "aborigeni e stranieri".
Il sionismo fu identificato come la quinta colonna complottarda, e
gli slogan di strada nelle dimostrazioni di massa e nei posti di
lavoro presero un tono nettamente antisemita. In breve, chi aveva
del sangue ebraico, anche tre generazioni prima, fu buttato fuori
dal posto di lavoro; persero la loro sedia professori universitari
ed alti dirigenti di aziende e di uffici. Ma anche semplici operai
ed impiegati si trovarono in mezzo alla strada solo perché ebrei o
di origine ebraica. E proprio Lodz, la città in cui la storia del
proprio ghetto è una delle più tragiche della Shoah, compì la
più grande crociata antisemita, promulgando una risoluzione
comunale che espelleva tutti i suoi ebrei entro tre mesi. Anche i
bambini piccoli su cui pendeva il dubbio dell'origine ebraica
furono cacciati dai giardini d'infanzia.
Così nel '68 20 mila ebrei furono costretti a lasciare la
Polonia. Circa un quarto emigrò in Israele, gli altri se ne
andarono in Svezia, Danimarca e negli Stati Uniti. Rimasero un
pugno di vecchi, troppo impauriti per cominciare una nuova vita
altrove, o troppo affezionati alla Polonia nonostante tutto.
Perché l'animo umano è così controverso, che l'ebreo europeo che
certamente ha più cuore per il suo Paese d'origine è l'ebreo
polacco, la cui cultura si è impregnata di quella dei suoi vicini
di casa, l'ha nutrita e ne è rimasta influenzata.
In queste ultime settimane Wpros, come vari altri settimanali e
giornali polacchi, ha dedicato la copertina agli eventi del '68,
dichiarando la necessità di un pentimento; un film intitolato
"Buon anno] 1968" è stato dedicato a quegli eventi. Anche lo
stesso presidente Kwasniewski ha dedicato una lapide agli ebrei
espulsi e l'ha fatta collocare nella stazione Gdansk di Varsavia,
quella da cui partirono senza biglietto di ritorno tanti ebrei. La
lapide recita così : "Dedicata a quelli che nel marzo 1968
lasciarono la Polonia con un foglio di via. Hanno lasciato dietro
di sé molto di più di quanto non si siano portati dietro".
Ottimo. Ma prima di tutto forse sarebbe stato meglio che la lapide
pronunciasse la parola "ebreo" visto che anche quelle poste nei
campi di sterminio sono tanto restie nel farlo. Ed è anche tempo
che il popolo polacco si decida una buona volta a gettarsi con la
faccia per terra, senza seguitare a dare la colpa solo ai tedeschi.
Ai tempi di Gomulka, quando il regime al comando era tutt'altro, si
comportò forse ancora peggio.
Fiamma Nirenstein