LA MACCHINA INARRESTABILE DEI KAMIKAZE
venerdì 22 marzo 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
IL segnale che gli americani mandano ad Arafat mettendo fra le
organizzazioni terroristiche le Brigate Al Aqsa, che appartengono
proprio ad
Al Fatah e che ormai rivendicano con i Tanzim (altra organizzazione
vicina
ad Arafat) la maggior parte degli attacchi suicidi, è un avvertimento
molto
deciso. Ma chissà se basterà . Arafat sembra avere una determinazione
strategica: saltare gli accordi Tenet che lo costringono a
smantellare i
gruppi armati, e costringere israeliani e americani a parlare subito
di
concessioni territoriali. Ma la debolezza di questo piano è che hanno
un
troppo intenso sapore di barbarie gli attacchi terroristi suicidi di
ieri e
dell'altro ieri, uno sull'autobus, l'altro a Gerusalemme. Questi
attacchi
che portano il numero incredibile di 11999 e 12mila in 18 mesi
(escluse le
bottiglie molotov e i lanci di pietre), infatti, avvengono mentre si
era
acceso quel tenue barlume di speranza dato dalla promessa di Dick
Cheney di
incontrare Arafat; dalle ripetute dichiarazioni pubbliche di Sharon
di
accettare sia il cessate-il-fuoco con tutte le clausole dell'accordo
Tenet,
sia il tavolo Mitchell in cui accetterà « penose concessioni» ; dal
fatto che
erano in corso fondamentali incontri per la tregua.
Ma Arafat, che ha detto più volte di accettare le carte e gli accordi
internazionali,e di condannare gli attentati, di fatto non dà il
minimo
segno di bloccare la sua arma strategica più forte, anche perché
capace di
suscitare reazioni israeliane poi condannate da tutto il mondo;
spinge o
lascia spingere il gioco fino al punto in cui, egli pensa, gli
israeliani
dovranno chiedergli in ginocchio di fare la pace o fuggire
spaventati. Da
una parte condanna, dall'altra la radio ufficiale « Voce della
Palestina»
spiega debolmente che non è tempo di terrore, eppure seguita a
chiamare
« eroici martiri» i terroristi suicidi: sia quelli che martedì notte
hanno
attaccato i civili del villaggio di Aviezer nella valle di Eilah, sia
quello
che ha fatto a pezzi l'autobus davanti a Uhm el Fahem (« un giovane
arabo che
è divenuto un martire erorico» ). Marwan Barghuti e altri leader hanno
definito gli atti terroristici « una risposta a Israele e anche
all'atteggiamento americano» . Posizioni di sfida ben meditate.
Il terrorismo suicida è diventato come un comma incoercibile di
questo
conflitto, un'arma strategica viziosa, per la semplice ragione che
gode di
un consenso di massa (l'87%, secondo l'Università di Nablus) ed è
facile da
alimentare col sogno di « liberare tutta la Palestina» (l'87,5%). Una
tv
araba ha recentemente mandato in onda un video di rivendicazione
precedente
alla morte di un terrorista suicida, con Corano e mitra. La novità
consiste
nella presenza di sua madre: essa ringrazia Dio con tono calmo di
averle
dato un figlio destinato ad essere uno « shahid» e prega le altre
madri di
emularla e mandare figlie e figlie a uccidere quanti più israeliani
possibile. Un altro clip mostra con musiche gioiose l’ allenamento
delle
ragazze per diventare terroriste suicide. Una foto che rappresenta
una
scuola per l'infanzia fa vedere un bimbo piccolo (forse cinque anni)
e
bellissimo con tanto di cintura di tritolo, bandana in testa, e
vicino a lui
in piedi cinque veri pretendenti terroristi, mascherati e con le
cinture
esplosive.
Quali accordi di pace possono essere fatti quando il terrorismo
suicida, la
più repellente e mostruosa fra tutte le armi, diventa discorso
comune,
gioco, desiderio dei giovani? Non si capisce, l'Europa non capisce
che
questa perversione può divenire anche un modello comune di
esportazione?