LA LUNGA STRADA PER LA PACE Tutti a lezione da Rabin per sconfigg ere i fanatici
martedì 2 novembre 1999 La Stampa 0 commenti
L’ INCONTRO che su tutti i media del mondo viene presentato in questi
giorni
come il secondo summit di Oslo, era stato in origine fissato solo
come una
celebrazione della memoria di Rabin nel quarto anniversario
dell’ assassinio.
Invece l’ andamento della situazione mediorientale ha consigliato, per
fortuna, di trasformare la circostanza luttuosa in un evento
politico, sia
pure con tutte le cautele. Rabin, dunque, non sarebbe scontento che
il suo
nome, invece di limitarsi a piangere e a recriminare in un’ atmosfera
cerimoniale, si faccia qualcosa di pratico, di utile e definito.
Schivo e
riservato, persino la storica cerimonia della stretta di mano con
Arafat gli
provocò , oltre alla grande emozione legata anche alla sua timidezza,
un
evidente sentimento di fastidio.
Questo quarto anniversario, oggi celebrato da un discorso di Lea
Rabin,
mentre procedono i colloqui tra i leader, è , per la circostanza del
suo fine
pratico, forse il primo vero anniversario in cui si celebra Rabin, e
le
varie parti politiche non celebrano invece se stesse. Dopo
l’ assassinio,
infatti, le elezioni a primo ministro di Bibi Netanyahu avvenuto
nello
sconcerto generale del fronte pacifista, esulcerò gli animi e portò
il
conflitto e la frammentazione interna di Israele ad una situazione
estrema:
i tre anniversari che si sono susseguiti, prima di questo, sono così
stati
soprattutto occasione per uno scontro più duro possibile tra le
frazioni. La
sinistra spodestata si è sentita espropriata della memoria, e così ha
usato
le armi più acute contro la destra specialmente in quelle giornate di
lutto,
recriminando e accusando a destra e a manca. E Netanyahu ha fatto
dell’ avversario un’ evenienza dolorosa, ma certamente non sentita
quanto
avrebbe dovuto essere. Adesso, Barak ha effettivamente ripreso la
strada di
Rabin: quindi, la celebrazione è più diretta, più autentica, e la
strada
politica intrapresa cancella l’ idea sostanziale che si librava sopra
Israele
come un uccello del malaugurio che l’ assassino avesse di fatto vinto
riuscendo ad uccidere il processo di pace.
Al contrario, oggi gli Israeliani senza troppi rimpianti sono
consapevoli
del fatto che nella terra della Giudea e della Samaria, dove i
religiosi
ritengono sia letteralmente nata e cresciuta la storia di Israele,
nascerà
lo stato Palestinese. Lo sa anche Sharon e la sua parte politica:
quando
nella data ebraica dell’ assassinio, quindici giorni fa, prese la
parola al
Parlamento, tenne un discorso privo di qualunque misticismo e che era
di
sostanziale riconciliazione fra le parti. Lo sanno ormai persino i
coloni,
che solo in minima parte, sono pronti alla battaglia per rimanere
negli
insediamenti fino in fondo: anche ieri, giorno di « Oslodue» , le
strade sono
state vuote di dimostrazioni di destra. Certo, il pericolo del
fanatismo,
dell’ integralismo, è sempre in agguato, e può colpire persino con
mano
assassina. Ma Israele dalla morte di Rabin ne ha fatta di strada, ciò
che
non tutti avrebbero giurato quando Bibi era al potere. Invece con
l’ accordo
di Hevron e poi quello di Wye, anche in anni oscuri una parte della
popolazione altrimenti irriducibile è stata avvicinata alle soluzioni
pratiche della pace, benché conservi ancora un atteggiamento
sospettoso nei
confronti dei Palestinesi e del mondo arabo in generale. L’ apertura
del
passaggio libero tra Gaza e il West Bank, la liberazione dei
prigionieri,
l’ avvio dei lavori nel porto di Gaza, sono passati quasi senza
nessuna
reazione significativa nonostante queste misure siano mosse di
avvicinamento
che preludono alla fondazione dello stato Palestinese con una sua
sovranità
e una sua unità nazionale. Da parte Palestinese, certamente si è
intensificata la lotta al terrorismo: Hamas naviga in brutte acque.
Arafat
però forse, mentre Barak dichiara la sua disponibilità alla rinuncia
territoriale potrebbe usare il palcoscenico di Oslo per fare lo
stesso:
Gerusalemme Ovest mai sarà per gli israeliani elemento di trattativa,
né il
West Bank sarà per il 100% del territorio lo stato Palestinese. Lo sa
Barak,
lo sa Arafat, lo sa anche Clinton, meglio avviarsi esplicitamente
sulla
strada del realismo. Era la strada di Rabin, oggi il modo migliore di
commemorarlo è farne uso.