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La lobby non è un peccato: scandaloso è semmai non difendere Israele

giovedì 15 marzo 2012 Generico 0 commenti

Shalom, marzo 2012

Di ritorno dalla grande conferenza americana dell’AIPAC, sono rimaste con me, insieme al jetlag, due tipi di sensazioni, una più personale, l’altra invece politica. La prima riguarda la magnificenza della comunità ebraica americana e l’uso della parola lobby. Da noi è quasi una parolaccia: la lobby ebraica! Se qualcuno osa solo nominarla, se suggerisce che ci siano degli interessi ebraici che possono essere difesi presso la comunità nazionale, se sussurra che gli ebrei tengono per Israele e cercano di sostenere gli ciò che è per loro il successo fisico e morale più grande… è uno scandalo morale e civile. Invece lo scandalo è proprio questo: che gli ebrei italiani non pronuncino apertamente questa parola, ovvero non riescano ad organizzarsi, a sollevarsi in un’ondata di entusiasmo indiscusso, di sostegno indiscutibile, e, certo, orgogliosamente bipartisan, convinto a destra e a sinistra della indispensabilità d’Israele. Ovvero, non riescano a chiedere ad alta voce, con determinazione e insistenza, soprattutto in tempo di pericolo, che ogni politico si impegni nella sopravvivenza d’Israele lodandone senza remore la democrazia, e ne sostengano il diritto alla difesa, da tempo messo in discussione da una indecente campagna di delegittimazione. È vero, noi siamo pochi, gli americani sono tanti, sono forti, sono molto rilevanti in tutti i campi della vita economica e , sottolineo, intellettuale del loro Paese. In una parola, sono sicuri si sé stessi. Non hanno nessun problema ad adornare una sala che raccoglie 13mila persone con colori intrecciati delle due bandiere, di farla risuonare dei suoni entusiasti delle canzoni e degli inni americani e israeliani. E quando, e qui vengo al secondo punto, chiedono ad alta voce che gli USA siano il bastione di difesa d’Israele di fronte all’aggressività iraniana e che sia loro dovere fermarla prima che Ahmadinejad raggiunga la bomba atomica, lo fanno nella convinzione che non ci debba essere in questo un millimetro di distanza fra destra e sinistra: così che la sinistra ebraica chiama Obama all’appello, e la destra chiama i suoi candidati Romney e Santorum, e la chiamata si intreccia e si somma, e lo scopo è solo uno: che i leader, i responsabili, i capi, Obama, sappiano che difendere Israele è una responsabilità morale e civile primaria per tutti i cittadini ebrei americani, per l’America stessa.

La nostra distanza da questo atteggiamento è abissale, i leader ebrei non chiamano esplicitamente i leader italiani ed europei a fare del tema della difesa d’Israele un titolo esplicito della campagna elettorale, dell’impegno civile, una condizione di consenso. Siamo incerti e fragili, e come una spirale la nostra incertezza ci rende povera preda dell’ondivaga disponibilità dei politici. “Lobby” seguita a restare una parolaccia, la solidarietà fra di noi non è una premessa indispensabile ma una conquista temporanea, anzi, l’antagonismo, la distanza, l’indifferenza a un esplicito lavoro di pressione su ciò che riguarda Israele, è la regola.

In secondo luogo, da Washington le mille analisi precise e spietate, svolte in tre giorni di lavoro, senza tregua dei tempi e dei modi di realizzazione delle strutture atomiche iraniane, di nuovo segna un abisso di distanza fra il nostro lavoro di sensibilizzazione della politica italiana e europea e il loro lavoro di ebrei americani. Ci contagia sovente la cautela, la impronunciabilità, tutta appannaggio del Vecchio Continente, della parola guerra. Sappiamo che è vietata la tragica e consolidata consapevolezza del fatto che l’Iran h già per quindici anni perseguito la scelta atomica con l’intenzione dichiarata di attaccare Israele e tutto il mondo occidentale e senza mai cedere a pressioni, a richieste, a sanzioni. Fingiamo che la trattativa possa ancora valere. La lucidità è proibita: la semplice dichiarazione cui è arrivato anche il presidente Obama che è proibito comunque lasciare che l’Iran arrivi all’atomica e che ogni mezzo deve essere usato, da noi si stempera in balbettamenti che dovremmo lasciare alla politica mentre noi ebrei dovremmo limitarci alla chiarezza di una posizione inequivocabile e dovuta: never again.  

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