LA JIHAD ANTI-EBREI DEL LEADER SIRIANO SILENZIO, PARLA ASSAD
lunedì 7 maggio 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
UNA visita in Moschea non è sempre gradita: alla Mecca è proibito ai
fedeli
di altre religioni visitare, e sulla spianata della Moschea di Al
Aqsa gli
ebrei non sono desiderati. Questo, perché per l'Islam la preghiera su
un
luogo santo ha un forte significato temporale: Omar, quando conquistò
Gerusalemme, con grande magnanimità non pregò al Santo Sepolcro,
altrimenti
sarebbe automaticamente diventato parte dell'Islam religioso e
quindi,
poiché vige il principio cuius regio eius religio e viceversa, esso
non
sarebbe stato più cristiano. Così è accaduto alla cattedrale di Santa
Sofia
divenuta la grande Moschea di Costantinopoli, così ad altri numerosi
luoghi
di culto cristiani ed ebraici durante le conquiste musulmane. Perché
l'Islam
in buona fede si ritiene per motivi filosofici e temporali la
religione
punto di arrivo. In tanti casi, come è successo alla Tomba di
Giuseppe e
come giorno dopo giorno succede alle rovine del Secondo Tempio di cui
il
Waqf (l’ organizzazione che sovraintende ai beni religiosi dell’ Islam)
compie
una lenta cancellazione, l'Islam ritiene che il proprio luogo di
culto
obliteri a buon diritto quello altrui.
Pregare insieme non è cosa comune per l'Islam: il Papa lo sapeva bene
quando
ieri è andato alla Moschea, e quindi il suo gesto - visto che a
Giovanni
Paolo certo questo non era sfuggito, come non gli sfugge che dei 200
milioni
di cristiani perseguitati nel mondo d'oggi e dei 160 mila morti
dell'ultimo
anno, buona parte sono dovuti a scontri islamico-cristiani -, la sua
scelta
di calcare i tappeti della Moschea dove è custodita ancora la Testa
di
Giovanni Battista aveva due significati: una mano tesa, certo, e però
anche
una sfida. Come a dire: noi cristiani siamo qui per guardarvi negli
occhi,
non ci siamo dimenticati il passato, sappiamo che la Chiesa è anche
considerata da buona parte di voi baluardo di un Occidente corrotto e
aggressivo. Siamo qui comunque, per il buono e per il cattivo tempo,
e siamo
forti per quanto disposti al dialogo.
Questa era l'intenzione di Giovanni Paolo: ma modestamente vorremmo
proporre
l'idea che forse il calcolo della sua diplomazia non aveva preso del
tutto
in considerazione quanto una dittatura come quella di Bashar Assad
possa
imporre anche sulle proprie gerarchie religiose la sua forza
politica. Assad
- un leader tutto nuovo e sconosciuto che finora si qualifica
soprattutto
per i suoi studi occidentali, una simpatia per i computer scambiata
in un
niente affatto comprovato desiderio di democrazia, e soprattutto per
proporre e riproporre senza remore la distruzione di Israele che ha
definito
al vertice dei paesi arabi « più razzista dei nazisti» - è andato
oltre ogni
aspettativa riproponendo proprio uno di quelli stilemi antisemiti
classici,
gli ebrei che hanno ucciso Gesù , contro cui il Papa ha ingaggiato la
più
dura battaglia personale, quella contro l'antisemitismo. E ha
proposto un
Medio Oriente luogo di conflitto non solo israelo-palestinese, ma di
una
guerra santa islamico-cristiana contro gli ebrei. Qualunque leader
occidentale sarebbe sanzionato dall'intera stampa e da ogni leader
occidentale per molto meno. Qui invece, insieme all'imbarazzo del
Papa, il
silenzio.