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La guerra perduta dei media

mercoledì 30 agosto 2006 La Stampa 0 commenti
Gli inviati denunciano: "L'esercito israeliano non ci ha portato a vedere i luoghi con i nostri occhi".
 
Niente è più caldo per un giornalista, da molti anni, del tema mediorentale; e se lo racconti dal fronte, anche di più. Se poi ci si incontra a Gerusalemme fra giornalisti provenienti dal fronte, la discussione diventa aspra anche se ce la metti tutta per sembrare « very cool» , il più disinvolto possibile. La sala liberty dell’ Ymca lunedì sera era molto affollata, l’ aria condizionata fuori uso e la presidente di Media Line, Felice Friedson ha toccato subito il punto: sempre di più nelle guerre c’ è una componente determinante oltre gli eserciti, ed è l’opinione pubblica internazionale. Di fatto, questa guerra di Israele contro Hezbollah, la seconda guerra del Libano, è stata signoreggiata, più che raccontata, dai media. Se Nic Robertson della CNN non avesse fatto un giro fra le rovine della zona sud di Beirut guidato dal portavoce degli Hezbollah Hussein Nabulsi accettando senza discussione l’idea che Israele stesse attaccando aree di popolazione civile e non il quartier generale degli Hezbollah, se la foto ormai famosa di Adnan Hajj dell’agenzia Reuters non fosse stata ritoccata, come riconosciuto dalla stessa agenzia che si è scusata e ha tolto tutte le foto dello stesso fotografo dal suo archivio, se la stessa foto tessera di una ragazza musulmana non fosse stata deposta artisticamente dai fotografi sulle rovine di vari edifici a parecchi chilometri di distanza l’uno dell’altro, se Fuad Siniora non avesse gettato là a caso che a Hula c’era stato un massacro di 40 persone senza contestazione da parte dei giornalisti, in generale se la discussione sulla « reazione sproporzionata» o «proporzionata» di Israele non fosse stata sponsorizzata dai maggiori giornali e tv, e anche se fin dall’inizio la stampa non avesse tuttavia identificato l’attacco di Nasrallah su Israele come pericoloso per la sua sopravvivenza, l’esito diplomatico sarebbe probabilmente stato diverso. Steve Earlanger, del New York Times, uno dei padri del tema della « proporzione» sembra stanco, trova nel minimalismo un rifugio. Sembra che altri grandi temi legati alla copertura di una guerra asimmetrica non lo affascini. «Non ho trovato molto interesse in Israele per il tema della risposta sproporzionata», si dispiace; spiega qual è stato per lui il maggior problema nel coprire la guerra: «L’accesso: dipendevamo dall’ esercito israliano per andare a verificare con i nostri occhi» . Gli fa eco il presidente della Federazione Stampa Estera Simon McGregor Wood, dell’ ABC: « L’esercito non ci ha portato a vedere con i nostri occhi; pochi, fuori della stampa israeliana, i giornalisti entrati in Libano»; Stephen Farrow, del Times: « Chi invece è andato con gli Hezbollah a vedere, aveva un problema e uno solo: non essere colpito dagli israeliani» . Strano, sembrava che ce ne fossero molti, come capire esattamente cos’erano e cosa c’era sotto quelle rovine che gli Hezbollah mostravano. I problemi di copertura più grossi li ha avuti il corrispondente di Al Jazeera, Walid Omary, interrogato dalla polizia e fermato per varie ore: «Ci hanno accusato di trasmettere da Haifa le immagini dei luoghi colpiti così da guidare per mirare giusto al prossimo colpo. Un’accusa pazzesca, guidata dalla volontà di criminalizzarci perchè siamo una tv araba, mentre l’informazione israeliana è stata oltremodo favorita» . Peccato che proprio ieri sul Jerusalem Post in un editoriale Yisrael Medad accusi l’informazione israeliana della stessa colpa. Comunque, gli risponde Yossi Ben Menachem, direttore di Kol Israel, la radio israeliana: «Ricordati che a noi era del tutto proibito l’accesso dall’altra parte, e che sulla base di Al Jazeera e al Manar, abbiamo avuto un’idea della situazione identica alla propaganda del portavoce degli Hezbollah Rafik Halabi, mentre tutti giravano liberi. Inoltre, una cosa mi ha disturbato: noi non diamo i nomi dei soldati uccisi prima che la famiglia sia informata. Voi, probabilmente con l’aiuto irresponsabile di giornalisti israeliani che volevano accellerare le cose, li avete dati sempre appena ricevuti» . Amnon Rubinstein, l’esperto di Haaretz di questioni arabe, si è lamentato che sui giornali israeliani, compreso il suo, non si vede mai un commento palestinese o arabo; Ben Menachem è saltato per aria: «Non c’ è giorno che non intervistiamo qualsiasi rappresentante del mondo arabo, Hamas, Hezbollah.. basta che voglia parlare. Mentre i giornalisti israliani intervistati sono solo di sinistra, quelli che gli danno ragione». Molta della verità di questa guerra è stata affidata a bloggers come Little Green Footballs, werline, Zombietime... Quest’ultimo per esempio ha scoperto che gli uomini della Croce Rossa di Tyre e Kana hanno fabbricato di sana pianta l’attacco aereo israeliano a un’auto della Croce Rossa: il buco sul tetto dell’auto, riportato come credibile da Time, dal Guardian, dal New York Times, dal Boston Globe, dal Los Angeles Times e usato come prova dei crimini di guerra di cui è sempre accusato Israele, era un buco per una ventola circondato da macchie e scrostature. Per non parlare dalla regia che hanno avuto l’artistico spostamento di morti e di feriti per la telecamera e la macchina fotografica a Kana e altrove. Insomma stavolta lo scontro di opinione è stato all’ arma bianca.

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