LA GUERRA IN CASA
domenica 3 giugno 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
CON la strage di Tel Aviv, una vetta di violenza è stata violata.
Oltre le
vette, non c'è che il precipizio, o una cauta discesa. Per capire ciò
che
attende il Medio Oriente occorre leggere i discorsi dei leader e,
oltre le
loro parole, lo spirito del momento. Spinto, sostenuto, anche
spaventato, il
leader palestinese Yasser Arafat ha pronunciato in arabo le parole
« Cessate
il fuoco» a dieci giorni di distanza da quando Israele l'aveva
proclamato.
Manterrà la parola? Per farlo, dovrebbe dimostrare una volontà di
ferro:
dovrebbe rischiare la vita fronteggiando la necessità di un accordo
con
Israele contro un popolo ormai lanciato nella lotta; dovrebbe
decapitare (in
senso figurato) la leadership di Hamas, con cui ha stretti rapporti;
dovrebbe fare una marcia indietro rispetto al grado di
criminalizzazione di
cui sui giornali, alla televisione, a scuola, è oggetto Israele. In
una
parola, dovrebbe mettersi in gioco personalmente.
Il premier israeliano Ariel Sharon, da parte sua, dovrebbe mettere a
tacere
la disperazione e la rabbia del Paese che in parte gli chiede una
dura
reazione. Israele dopo tante illusioni di pace, dopo aver creduto per
dieci
anni di avere un partner, ha l'impulso a tornare a farsi rispettare,
in
un'area dove vige il linguaggio della forza. Il governo di
coalizione, in
cui Shimon Peres fa sentire la sua autorevolezza, con la politica di
cessate
il fuoco unilaterale ha mostrato contenzione e ritegno. Ora, Sharon
ha
ripristinato il permesso all'esercito di agire in caso di bisogno, e
tutti
aspettano una reazione all'attentato. Tuttavia, non ha abolito il
cessate il
fuoco. Certamente, su questa linea, è destinato a pagare un prezzo
all'opinione pubblica. E' disposto a farlo?
I due campi hanno una scelta netta: da una parte il consenso
internazionale,
dall'altra il gorgo mediorientale, spesso vertiginoso. La guerra è
dietro
l'angolo: basta un altro grande attentato, un disastro qualsiasi.