LA GRANDE PAURA DI UNA NUOVA GUERRA IN MEDIO ORIENTE I terribili fant asmi dello Yom Kippur La festa in una atmosfera che ricorda la guerra del ‘ 73
lunedì 9 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
E’ un immenso non detto, un sottinteso senza fine questo Yom Kippur
2000 di
guerra che è cominciato ieri sera in Israele. La guerra non si vede
più , da
un minuto all'altro Israele ha smesso di menzionarla se non per una
piccola
preghiera per i soldati al fronte all'inizio del rito: ma è dentro le
case,
sulla porta delle sinagoghe che alle 5 del pomeriggio aprono le porte
agli
uomini ornati del talled bianco, alle famiglie che vengono a cantare
il Kol
Nidre, la preghiera che apre un conto nuovo col Padreterno per l'anno
a
venire, chiudendo con un patto d'amicizia un anno di errori da
ripensare.
Errori, debolezze, speranze perdute: nel silenzio totale delle città
e dei
villeggi, tutti sentono dentro di sé il rumore degli spari, le urla
di odio
e di dolore, gli ordini sincopati dei comandanti, la voce del saluto
alla
nazione di Ehud Barak che dice "forse non abbiamo più un partner per
il
nostro grande sogno!". Le famiglie ieri hanno mangiato riunite alle
quattro
di pomeriggio per prepararsi a digiunare fino a stasera sera quando
appariranno tre stelle nel cielo troppo blu di Gerusalemme, di
Israele,
dell'Autonomia Palestinese in fiamme, del Libano dove in qualche
luogo di
patimenti sono stati sbattuti i tre soldati rapiti. Ventiquattro ore
di
digiuno, ventiquattro ore di ultimatum: da qualche parte Arafat pensa
se sia
il caso di richiamare tutti i suoi a casa. Nel 1973, il 6 ottobre, un
altro
Yom Kippur, un'altra guerra stavolta di sorpresa piombò dalla Siria e
dall'Egitto su un popolo digiuno e assorto nella preghiera. Il
pericolo fu
mortale per un Paese che dal '67, dalla Guerra dei Sei Giorni si
sentiva
invincibile. Le sirene spezzarono il silenzio del tutto ignaro delle
strade
da cui spariscono sempre, all'inizio del Giorno del Pentimento
automobili,
squilli di telefoni, musiche, commerci di ogni sorta. Fu la loro voce
lacerante che mobilitò la gente e la spedì al fronte. E ora siamo ad
un
altro Yom Kippur di guerra, stavolta annunciata, ma del tutto
inaccettabile,
incredibile per chi da sette anni viveva il processo di pace come
qualcosa
di irreversibile. E' un intrusione insensata nel giorno di Dio.
Il silenzio è quello di ogni anno: gli autobus e i treni si sono
fermati, le
automobili non circolano, i bambini a migliaia invadono le strade
correndo
pazzamente sui monopattini ultima moda, o sulle biciclette. Le donne
indossano i loro migliori vestiti per andare al tempio, gli uomini lo
scialle di preghiera. La voce umana e lo scalpiccio sono gli unici
suoni, i
giovani camminano a frotte e ridono fra di loro. Ma molti loro amici
sono
saliti in fretta sugli autobus nche li hanno portanti al confine col
Libano,
gli uomini fino a 45 anni hanno ricevuto la chiamata dell'esercito di
riserva: chi partirà domenica, chi stanotte stessa. La radio
trasmette
silenzio sia sul canale nazionale, Kol Israel, che su Galei Tzahal,
la radio
dell'esercito, cosicchè i religiosi non debbano accenderla per avere
notizie
fresche distraendosi dal loro esame di coscienza e contravvenendo
alla
regola: se accade qualcosa, hanno avvertito gli speaker prima di
chiudere i
microfoni, lo saprete subito dalla ripresa automatica delle
trasmissioni.
A Hebron, a Psagot, in tutti gli insediamenti più esposti dove in
questi
giorni ci sono stati attacchi armati specialmente di notte, si
digiuna e si
sta in guardia. A Gerusalemme nel quartiere di Ghilo, proprio di
fronte a
Betlemme, quando la gente esce dal tempio fa un giro con i bambini
per mano
fino per intravedere, nella semi oscurità fra i cespugli della
scarpata i
due carri armati sotto via Ha Anafà : dalle case arabe poco lontano di
cui si
vedono bene le finestre illuminate, sono partiti nei giorni scorsi
parecchi
spari. Le pallottole hanno forato le finestre e le porte. Una
famiglia è
andata a passare le feste dalla mamma; una donna sul balcone dice di
sentirsi meglio ora che i Merkavà stanno là in difesa. Che succederà
se
Arafat rifiuta l'ultimatum? Nessuno sembra chiederselo, comunque non
se ne
parla. I ragazzini si accalcano lungo una ringhiera proprio dietro il
carro
armato. Fanno domande sui soldati: se sono là dentro, se stanno
comodi, se
per Kippur possono bere e mangiare e soprattutto esclamano contenti
che il
loro carro armato è il più forte del mondo, se i palestinesi fanno
tanto di
sparare di nuovo… Un poliziotto viene nel gran silenzio, nello
scalpiccì o,
fra i manti di preghiera bianchi a ordina di sgomberare: "Siete
giusto sulla
traiettoria di un proiettile. Se sparano, vi prendono "bul", in
pieno".
"Andiamo a casa" dice piano un bambinetto al padre.
Le strade da quella parte di Ghilò sono oscurate. Ma nessuno sembra
farci
caso. IL buio e il silenzio vanno d'accordo, la gente che si addentra
nel
digiuno cammina al buio senza parlare. Israele non è più abituata
alla
guerra, i ragazzini che circolano in queste ore sono nati insieme al
processo di pace o poco prima, alcuni molto dopo. Nessuno di loro,
seconso
le speranze dei geniroi, dovrebbe fare la guerra; neppure i
diciottenni ora
al fronte avrebbero dovuto farla mai più : Barak aveva lasciato il
Libano per
questo. La resa dei conti di Barak con la storia si confonde in
queste con
le domande vitali dell'intero Paese: pace o guerra? Con chi parlare?
Quale
identità è la più appropriata? La radio trasmette un silenzio triste,
reso
meno disperato solo dalla speranza che qualche buona notizia annunzi
il
ritorno dei tre soldati rapiti. Se seguiterà a tacere, lo shofar, il
suono
del corno d'ariete che conclude il digiuno, costringerà di nuovo
Israele a
riprendere la vita, non si sa verso quale destino.