LA GRANDE DETERMINAZIONE A COMBATTERE UNA GUERRA SENZA COMPROMESSI LO HA FATTO SPESSO METTERE SOTTO ACCUSA DALL’ OPINIONE PUBBLICA INTERNAZIONALE Uo mo amato e odiato ma capace di decidere Un vuoto incolmabile che aprirebbe sce nari paurosi
giovedì 5 gennaio 2006 La Stampa 0 commenti
SEGUE DA PAG 1
Fiamma Nirenstein
Per sua decisione nell’ agosto del 2005 una torma di 8000 cittadini
israeliani residente nella Striscia di Gaza, coloni, hanno compiuto
quell’ esodo biblico simile a una tragedia greca dalle case e dalle serre, un
esodo che prometteva altre audacissime mosse, senza parole, senza carte, ben
più di una firma su un pezzo di carta sotto l’ impegno di Israele a convivere
con i suoi vicini. Come solo Arik sapeva fare, diritto e ironico, senza
guardare a destra né a sinistra. Per l’ influsso unitario della sua
personalità forte ma fortemente paterna tutti abbiamo assistito non solo
alle scene di disperata contrapposizione da parte degli uomini degli
insediamenti, ma anche alle incredibili manifestazioni di affetto,
all’ abbraccio che alla fine ogni democrazia autentica richiede ai suoi
cittadini, fra i giovani soldati addetti allo sgombero e i settler strappati
dalle loro abitazioni.
Israele è disperata adesso, il suo presente e il suo futuro sono di nuovo
completamente in gioco. Il sentimento fra la gente di qui, quello degli
spettatori dal mondo, e anche quello del cronista che ha già dovuto
raccontare la fine dell’ altro grande Primo Ministro deciso a percorrere la
strada della pace, Yitzhak Rabin, è quello di un senso di perdita senza
rimedio, di un fato oscuro e sibillino sul popolo ebraico. Il nuovo partito
di Sharon, Kadima, che aveva creato una rivoluzione tale da vedere uniti
sotto la stessa bandiera Arik e Shimon Peres, teneva diritto il timone in un
momento di svolta senza precedenti, quella in cui, sia pure fra mille
contraddizioni, il tema della democrazia e della lotta al terrorismo si
proponeva ai palestinesi come al resto del Medio Oriente; oggi rischia la
vita con il suo fondatore. Lo scenario mostra un’ ulteriore prova per
affrontare la quale lo Stato ebraico deve fare appello a tutta la sua forza.
Sharon è Israele: lo è fin dalla sua nascita da due appassionati sionisti
immigrati russi Samuil e Vera nel Moshav, la cooperativa agricola, di Kfar
Malal nel 1928 giunti nella terra che sarebbe divenuta Israele venti anni
dopo non solo per reclamare una patria per gli ebrei ma per costruire una
società socialista modello. « I miei genitori - ha scritto Sharon - erano
sicuri che ebrei e arabi avrebbero potuto essere cittadini l’ uno al fianco
dell’ altro» . « Fra un attacco armato e l’ altro sognavo - aggiunge Arik - da
bambino che anche se i nemici fossero giunti alle porte del Moshav, il
villaggio sarebbe stato invulnerabile (...) e nei primi terribili sei mesi
della guerra di indipendenza nel ‘ 48 avevo lo stesso sogno (...) e nel ’ 67
quando ero comandante di una divisione, avevo la stessa convinzione
basilare: quando la terra è la tua terra, quando conosci ogni collina e ogni
valle e ogni coltivazione, quando la tua famiglia è là (...) la forza,
quella spirituale, non solo quella fisica, ti viene dalla terra» .
Sharon è vissuto in questo ideale di un Paese degli ebrei sicuro e in pace
tutta la vita, e lo ha fatto nell’ unico modo in cui un Paese sempre in
guerra poteva cercare di perseguire il suo sogno: da soldato, oltre che da
politico. Ferito due volte, sempre in testa ai suoi soldati in battaglia,
salvatore del Paese nel 1973 durante la guerra del Kippur con l’ operazione
in cui portò i suoi con un pontone sulla riva occidentale del Canale di
Suez, la sua determinazione a combattere in una guerra senza compromessi e
senza quartiere lo ha portato tante volte sul banco degli accusati
dell’ opinione pubblica internazionale: come fondatore dell’ Unità
antiterrorista 101; poi, soprattutto nel 1982, quando nell’ ambito della
guerra del Libano volta all’ espulsione delle grandi basi terroristiche
dell’ Olp (che Sharon nel suo ruolo di ministro della Difesa volle prolungare
nonostante il parere contrario del primo ministro Menahem Begin) ebbe luogo
la tragedia di Sabra e Chatila. Fu una strage di profughi palestinesi
compiuta dalle milizie cristiane maronite, ma gli israeliani non
intervennero per impedirla; e come propugnatore dal ’ 73 in avanti di una
politica di insediamenti che avrebbe stabilito, secondo Sharon, una cintura
di sicurezza contro l’ aggressività del terrore.
Sharon è l’ uomo che la stampa più di tutti ha amato odiato, e la gente si è
dunque figurata in modo così distorto da renderlo un’ icona travestita nelle
vignette e nei cartelloni delle manifestazioni pacifiste da nazista, da
mostro assettato di sangue. Tanto che a lui, e alla sua passeggiata
nell’ ottobre del 2000 sulla spianata delle moschee e non al terrorismo che
esplodeva già dopo il rifiuto di Arafat a Camp David fu attribuita la
responsabilità dell’ Intifada di questi anni. Così pervasiva è stata questa
immagine da obnubilare del tutto il fatto che Sharon fosse stratega e amico
personale intimo di Rabin, da nascondere la sua profonda amicizia con il re
Hussein e il suo contributo a quella pace, da nascondere il semplice fatto
che Sharon, anche se dopo la guerra del ‘ 67 aveva ritenuto come tanti altri,
a destra e a sinistra, che Israele avesse bisogno di migliorare
territorialmente la sua difesa per la patente aggressività dei suoi vicini,
era un personaggio che sempre di più sentiva, come tutti i soldati, il
desiderio di pace. E che la proclamava continuamente, dandone però una
definizione diversa da quella corrente: la sua idea è stata sempre quella di
una pace accompagnata dal riconoscimento del diritto degli ebrei al loro
Stato nella sicurezza per generazioni, lontano quindi dall’ idea che anche
col terrorismo e il rifiuto arabo fosse possibile convivere, ma che si
dovesse collaborare col partner solo secondo il dettato della Road Map:
senza terrorismo.
Il suo carisma e la sua capacità sono legati alla capacità di guidare verso
la pace e combattere il terrorismo al contempo, fino allo sgombero da una
parte, fino alla determinazione a ricercare, perseguire, uccidere i
terroristi quando il rischio per Israele sia troppo grande. In Israele chi è
nato nel Paese viene detto sabre, fico d’ India, perché è dolce di dentro e
spinoso di fuori. Sharon era proprio questo: un sabre di cui il mondo ha
visto soltanto le spine finché la sostanza benefica della sua natura non è
venuta in piena luce e non ha gettato i suoi semi. Preghiamo che almeno ne
nasca una pianta.