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LA DISPUTA SULLA MOSCHEA DI NAZARETH I SASSI DI ABRAMO

sabato 6 novembre 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein IL Millennio arriverà , e la storia della nuova moschea di Nazareth, che i musulmani vogliono costruire di fronte al naso della Basilica dell’ Annunciazione sulla tomba fino a poco tempo fa ignota di Shihah-a-Din, non sarà ancora risolta. Forse, ancora un altro millennio passerà e tutte le controversie legate ai sassi musulmani, cristiani, ebraici, saranno là . La moschea di Al Hanqaq, seguiterà a gridare più forte « Allah è grande» ogni volta che le campane della chiesa della Mangiatoia di Betlemme suoneranno; gli ebrei seguiteranno a vagheggiare il loro Sancta Sanctorum sotto la Spianata delle moschee; la tomba di Rachel sarà oggetto di lancio di pietre; il Santo Sepolcro, le cui chiavi dal tempo del Saladino sono in mano ad una famiglia musulmana, cercherà , con terribili scontri tra cristiani, di aprire una nuova porta, stavolta con chiavi cristiane. La storia è nota: i musulmani vogliono costruire una moschea a un passo dalla basilica di Nazareth e sulla sua strada, in mezzo a uno spiazzo che doveva servire al flusso dei pellegrini del Giubileo, su per la scala fino alla chiesa. Le autorità israeliane, di fronte a un’ occupazione biennale dell’ appezzamento in questione, accompagnato da vandalismi contro i cristiani e le loro proprietà , hanno (per ora solo verbalmente) ceduto, anche perché formalmente i musulmani non hanno meno diritti dei cristiani in una cittadina parte musulmana e parte cristiana. Gli ebrei, dunque, hanno concesso la costruzione di una « piccola» moschea. I cristiani, furiosi, sono decisi a tutto, e minacciano oltre alla serrata delle chiese anche se il Papa visiti in aprile solo l’ Autonomia Palestinese e non Israele. E insistono, a gestire una politica di parlare a nuora perché suocera intenda, ovvero di non toccare il mondo musulmano preferendo attribuire ogni colpa a Israele. È questo un tipico esempio di cosa significa non affrontare il problema del dialogo tra le tre religioni in maniera meno rituale e più concreta: il nostro comune padre Abramo sembra lavarsene le mani quando si viene al conflitto sui palmi di terra. I cristiani di Terrasanta come si sa sono arabi, come i loro fratelli musulmani: per questo, dato il conflitto politico con Israele, ci hanno sempre tenuto a essere perfino più realisti del re, più antisraeliani di chiunque, anche se invece negli anni il rapporto cristiano-ebraico, dal tempo di Giovanni XXIII, è molto migliorato. I cristiano-palestinesi (e quindi anche arabo-israeliani) hanno sempre voluto tenere nascoste le angherie a cui sono stati sottoposti da parte musulmana, specie a Betlemme. Questo, fermo restando che anche loro hanno sofferto l’ occupazione israeliana. Ma si tratta di due argomenti diversi e lontani tra di loro. I cristiani hanno sofferto in molte altre parti del mondo, in particolare in Egitto e in Libano. E se gli israeliani hanno imparato a temere le rivendicazioni religiose dei musulmani, è anche a causa del fermo supporto di cui essi hanno sempre goduto da parte cristiana. Insomma, è venuto il tempo, come ha denunciato l’ ultimo Sinodo dei vescovi, che la sempiterna disputa religiosa tra musulmani e cristiani venga guardata negli occhi, e i suoi molti focolai siano messi in discussione per amore di pace, e al coro di lodi per il dialogo interreligioso si aggiunga il buon senso delle soluzioni pratiche, senza coprire il dissidio con melense dichiarazioni semiteologiche.

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