La difficile integrazione, fra limiti culturali e disagi reciproci: inchiesta attraverso le comunità e i volontari IMMIGRATI né angeli né diavoli
mercoledì 1 settembre 1999 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
ROMA 
« PER me integrazione è : non vi aspettate né un angelo né un diavolo. 
Non 
sono te, né tu sei Superman. Non mi chiedere di essere un 
‘ ’ uomo-più ’ ’ » . E 
ride forte, stringendo gli occhi, coi denti bianchi sul volto nero, 
Godwin 
Chuku, della Nigeria. 
« Il segreto dell’ integrazione è piegarsi: loro alle nostre regole, 
noi a 
offrirgli opportunità concrete, proprio a loro, per come sono fatti. 
E poi, 
la pazienza: aspettare la prossima generazione, non insistere sulle 
piccolezze, come il no allo chador che aumenta l’ irritazione» . 
Fabrizio 
Molina, presidente dell’ associazione per l’ integrazione « Nessun luogo 
è 
lontano» , cerca le parole, segue il suo filo. 
« Quando guardo quella ré clame che mostra un insensato sedere per far 
conoscere un orologio, penso che questo Paese offende ogni persona 
modesta e 
di buon senso. E in particolare, gli uomini e le donne di fede 
musulmana e 
la loro visione della femminilità . In questo caso, l’ integrazione è 
lontana» . L’ elegante signora pakistana Tzidica Malik, moglie di un 
dirigente 
dell’ Onu, frequentatrice della moschea di Roma, ha passato nove anni 
in 
Italia: la ama, ma non vorrebbe essere italiana. 
« Quando giunsi agli inizi degli Anni 70 e vidi i ragazzi che si 
baciavano 
per strada sentii un desiderio di fuga, di separazione. Mi ci è 
voluto tanto 
tempo a capire» , così spiega l’ eritreo dottor Habte Weldemarian. 
« La società italiana è così diversa da noi; infibulazione ed 
escissione, per 
me senegalese Mandinga musulmano, non sono così impressionanti. Voi 
non 
potete accettarle, ma per noi è tradizione. Tuttavia, se avessi una 
figlia 
dopo tanti anni in Italia, non gliela farei. Perché sono ospite qui» . 
Dice 
Pap Kanuta, un musicista del Senegal. 
« Quando vedi un arabo seguito per strada da alcune signore velate, 
non è del 
tutto improbabile che siano le sue quattro mogli. Non lo dice, perché 
è 
fuori legge, ma per lui quella è la tradizione» sorride un volontario 
della 
Caritas. 
« Integrazione, cos’ è ? Sarebbe più facile definirla in Francia, o in 
Inghilterra, o in Portogallo, che hanno precise politiche... Ma 
qui... La 
nostra è un’ immigrazione disperata di fronte a una politica 
disgraziata» . 
Maria De Lourdes, seduta a un bar di piazza nel quartiere Parioli di 
Roma, 
ride e piange con noi per il proscenio che la sorte ci offre durante 
il 
nostro colloquio. Lei, una giornalista nera capoverdina elegante e 
colta, 
seduta in mezzo al traffico furibondo. Più in là uno slavo di mezza 
età che 
cerca di lavare i vetri ad automobilisti riottosi; e d’ un tratto si 
arrabbia, bestemmia, tira spaventosi cazzotti isterici. Intanto una 
mamma 
filippina, vestita in stile Gucci con il suo pallido e raffinato 
bimbo in 
pantaloni al ginocchio, si disgusta, si scansa, nasconde il bambino. 
Una 
macchina piena di pakistani passa con i passeggeri spenzolati fino 
alla vita 
dai finestrini; intanto un indiano si avvicina allo slavo e cerca di 
placarlo, e quello per poco non lo piglia a pugni. L’ espressione 
degli 
italiani è indifferente. È invece Maria che si agita di più , e 
l’ indiano, e 
i pakistani, e i filippini. « Chi ha trovato un suo modus vivendi con 
la 
società italiana dopo tanto sforzo, dopo tanti anni, più di chiunque 
altro 
si sente investito psicologicamente dal rifiuto di alcuni suoi 
compagni di 
avventura, dalle situazioni di impossibilità , di violenza, dalle 
reazioni 
integraliste, dagli arroccamenti religiosi, dalle delusioni di una 
parte e 
dal rifiuto dall’ altra. Ancora oggi, quando vado all’ aeroporto, 
indosso il 
mio tailleur più bello perché quello è l’ inferno dei sospetti, dei 
controlli 
polizieschi, il luogo in cui ricomincio tutto da zero. Là senti che 
l’ integrazione è almeno in parte un’ utopia. Sono qui dal ‘ 71, quando 
avevo 
15 anni. Ho condotto il programma televisivo Non solo nero. Sono 
abbastanza 
nota, sono cittadina italiana, non ho il problema della crisi 
d’ identità che 
tanti hanno. Ho messo un immenso fardello di elaborazione nel mio 
percorso 
d’ inserimento» . 
E qual è il punto dell’ inserimento? « Sicuramente è non arrabbiarsi, 
non 
offendersi. Da bambine, con le mie amiche capoverdine stavamo ore a 
discutere cosa rispondere a chi ti dice ‘ ’ negra’ ’ . Decidemmo di 
dirgli: ‘ ’ E 
tu, bianco!’ ’ . Ma un giorno in una lavanderia una bimba mi 
controbatté : 
‘ ’ Io?! E io che c’ entro?’ ’ Ed è vero, non c’ entrava, noi soli 
restiamo in 
gioco quando vogliamo inserirci. L’ Italia dovrebbe fare tanto di più , 
ma 
alla fine i paletti dell’ integrazione restano nella nostra cultura, 
quando 
si contrappone alla vostra» . 
Dove sono questi paletti? Dov’ è il confine? Non parliamo qui dei 
complessi 
meccanismi del mercato del lavoro che pure, come dice Claudio 
Martelli, 
consulente del governo per le politiche d’ integrazione e deputato 
europeo, 
« è segnato dalla tendenza della Confindustria alla massima 
liberalizzazione, 
con un mercato nero a cui attingere secondo i propri comodi; e da una 
politica sindacale che predica l’ eguaglianza e poi difende solo i 
suoi» ; né 
degli 11 mila carcerati stranieri sui 55 mila criminali condannati 
complessivamente nelle carceri italiane. Una percentuale enorme. Né 
parliamo 
del razzismo nostrano. Parliamo del confine che esiste nella mente 
umana, 
che limita il sogno kennedyano del melting pot per cui, dice ancora 
Martelli, « anche in America, hai luoghi come Brooklyn, come 
Chinatown, come 
Harlem, i neomovimenti afro, o l’ impenetrabilità dei gruppi più 
chiusi, come 
i cinesi» . 
Le tante associazioni di accoglienza e d’ integrazione, come la grande 
Caritas, o la piccola « Nessun luogo è lontano» , o i gruppi di don 
Ciotti, o 
i Migrantes di cui il direttore padre Bruno Mioli ci racconta la 
grande 
esperienza, o Sant’ Egidio, o le altre centinaia di raggruppamenti che 
cercano di aiutare gli immigrati col volontariato, sono come le 
nostre guide 
nella giungla. Ci accompagnano in gran parte Molina ed Ernesto 
Sciumbata, 
persone piene di benevolenza e di un’ apertura che fa giustizia dei 
tradizionali sospetti di provincialismo che si nutrono verso gli 
italiani. 
Il grande limite dell’ integrazione oggi è senz’ altro la condizione 
femminile 
e la visione del sesso, specie quando la religione dell’ immigrato non 
è 
cristiana, la tradizione non vieta la poligamia, indica la 
separazione dei 
sessi, l’ abito chiuso e il capo coperto, e talora persino le 
mutilazioni 
sessuali. « Fra noi musulmani del Bangladesh» dice Siddique Alam, e 
con lui 
Shamir Hossain, « c’ è disponibilità ad accettare, ad apprezzare, anche 
perché , su 227 Paesi del mondo, il nostro è il 224° più povero. Ma 
difficilmente i nostri mandano le donne a lavorare. Quando tutto il 
giorno 
vendi accendini, fiori, puoi essere almeno tranquillo del rispetto 
dei tuoi, 
della tua donna, vuoi tornare tranquillo a casa. Se sei con gli 
italiani, 
segui la loro norma; ma se c’ è una festa con i tuoi connazionali, la 
moglie, 
persino quando è italiana, si mette insieme alle altre pakistane da 
una 
parte, separate» . 
« Con tutta la volontà di accettazione, di amore, con tutto il piacere 
di 
portare qui la mia musica» dice Pap Kanoute, da quattro anni in 
Italia e 
apparentemente soddisfatto del successo del suo complesso Mande « non 
possiamo, noi, qui, in mezzo a voi, non sobbalzare ogni volta al 
ricordo del 
passato coloniale che abbiamo subito da voi europei» . « E vediamo» 
racconta 
Weldemarian, il capo degli eritrei di Roma, « come le nostre donne che 
vanno 
a servizio trovino fra le vostre un atteggiamento gelido e opulento; 
hanno 
due case, due macchine, poca comunicativa... E’ difficile non sentire 
odore 
di schiavismo» . 
Di visita in visita, di mensa in mensa dove i volontari si danno da 
fare, si 
capisce che chi è più vulnerabile all’ oltraggio coltiva dentro di sé 
barriere che si ergono contro l’ integrazione. Come dice Habte: 
« Questa 
società tutt’ a un tratto, dopo molti tentativi, ti comincia ad 
apparire 
sempre meno spirituale, ed anche ignorante. Gli arabi si lamentano in 
particolare che non si sappia qui che le radici della matematica, 
dell’ astronomia, alcuni fondamentali testi letterali e filosofici, 
appartengono a loro; e così , specie se sono religiosi, si arroccano 
nella 
critica all’ Occidente, e si oppongono più o meno sotterraneamente 
all’ integrazione delle donne e dei bambini» . 
« Non sapete, in noi africani - dice Chuku, che viene da studi 
teologici 
cattolici - la grande disponibilità alla concordia, voi che siete 
così 
aggressivi; e la nostra antichissima mistura tra cultura materiale e 
aspirazioni spirituali. Eppure, vi sarebbe utilissimo per 
controbilanciare 
la spinta materialistica che vi divora» . E chi sta nel mondo del 
volontariato e si occupa d’ integrazione, oltre a fornire quegli 
impossibili 
servizi che lo Stato italiano non riesce a costruire, oltre a creare 
la base 
materiale del rapporto con gli stranieri, si trova nel mezzo di 
un’ autentica 
tempesta culturale: « A volte - dice Fabrizio Molina - sento un certo 
edonismo del bisogno, un narcisismo del non essere parte di quello 
che non 
ti piace. E penso che in testa al decalogo dell’ integrazione ci 
metterei 
subito la scuola. I bambini che avranno goduto del rispetto degli 
altri, 
della maestra, dell’ istituzione, anche le bambine eventualmente 
mandate a 
scuola con lo chador, domani saranni diversi. L’ educazione è la 
chiave. E 
anche l’ informazione. Per questo, occorrono più testimoni: nel mondo 
della 
cultura e dei media, in Italia, non vedo nessun nero o giallo che 
appaia in 
tivù o in un film nel ruolo del poliziotto o, che so, di un 
giornalista che 
si occupa di politica italiana...» . 
Claudio Martelli, fondatore di un’ associazione di volontariato di 
nome 
« Opera» , che offre assistenza legale e ginecologica agli immigrati, 
pensa 
soprattutto che l’ integrazione richiede strutture legali: « Voto 
almeno 
amministrativo, quando pagano le tasse, perché non c’ è tassazione 
senza 
rappresentazione. Poi, una maggiore facilità a prendere la 
cittadinanza. Ora 
la si riceve, nel caso, solo dopo dieci anni di permanenza e con 
l’ avvio di 
una pratica che ne richiede almeno altri tre. E, attenzione anche 
alla 
compatibilità con la situazione italiana, che sia rispettato il 
numero 
chiuso; che sia tutelata la legalità . In generale, essi hanno i loro 
limiti 
a stringersi a noi, noi a stringerci a loro: il modello francese di 
assimilazione fra Stato e individuo, di francesizzazione, ha generato 
frustrazioni che sono andate a finire a volte nell’ integralismo 
culturale; 
invece, il modello inglese di trattativa da comunità a comunità , è 
più 
pratico, più promettente anche per noi» . 
In attesa dei nuovi bambini, dei matrimoni misti, quando sarà un 
ricordo lo 
sguardo socchiuso di Godwin che dice « giunto nella grande città 
scoprii che 
non c’ era la terra... Intendo la terra rossa, che puoi far scorrere 
tra le 
dita. Ero come impazzito, giravo cercandola. A Parigi, prima tappa, 
vidi il 
Tamigi: era piccolo. Poi vidi il Tevere, ed era piccolissimo» . 
Oppure, 
quando sarà un ricordo lontano la storia vera, raccontata da Habte, 
che il 
padre di Zeudi Araya morì di crepacuore dopo aver visto la figlia in 
pellicola mentre baciava un attore italiano in La ragazza dalla pelle 
di 
luna. 
            