LA CRISI MEDIORIENTALE UN’ ALTRA GIORNATA DI TENSIONE: TEL AVIV VUOLE LA RESTITUZIONE DEL MILITARE RAPITO. MA IL GOVERNO PALESTINESE SEMBRA PARALIZZATO Scambio di missili Israele-Gaza Hamas si divide Olmer t frena i tank e aspetta un segno
sabato 1 luglio 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Da Gaza assediata che ha visto fioccare in campo aperto parecchi proiettili
di cannone, senza tuttavia nè morti nè feriti, ieri, con l’ intenzione di
fare danni e comunque di annunciare il possesso di una nuova arma, un nuovo,
più perfezionato tipo di missile palestinese è planato lontano quanto nessun
altro kassam fino ad ora, nella periferia della popolata città industriale
di Ashkelon. L’ esercito tiene i motori accesi sul confine nord mentre i
proiettili di cannone spazzano il campo aperto, attenti a non colpire la
gente, ma indifferenti alle strutture e consapevoli della paralisi, della
fuga e della paura della popolazione. Il primo ministro palestinese Ismail
Haniyeh ha fatto la sua prima dichiarazione pubblica dalla moschea della
preghiera del venerdì a Gaza dicendo che il suo governo è saldo in sella e
non ha nessuna intenzione di dimettersi, che non ci sarà nessuna trattativa
di scambio fra il soldato e i ministri di Hamas, nel caso Israele lo
intendesse, e che Israele da tempo programmava la distruzione del suo
governo e che l’ attuale vicenda è pretestuosa.
Quello che sta succedendo in queste ore è come un appuntamento fatale,
rimandato da gennaio scorso quando Hamas ha vinto le elezioni, e oggi venuto
alla sua nemesi. Il vortice adesso si è sollevato e non si ferma, anche se
l’ esercito israeliano è stato bloccato da Olmert all’ ultimo minuto sulla
soglia della parte nord di Gaza, in attesa che gli egiziani (tramite il
solito potente capo dei servizi Omar Suleiman) mostrino i frutti di un buon
lavoro di mediazione per ottenere ciò che conviene anche a loro: indurre
alla restituzione del soldato Gilad Shalit bloccando così un’ imprevedibile
escalation del conflitto con un pericoloso sfondo anche islamista. Israele
con le mosse compiute fino ad ora, l’ ingresso da Kerem Shalom, l’ ammassarsi
delle truppe sul confine nord per arrivare, se entrerà , direttamente su
quelli che sembrano essere i principali nidi di Kassam, l’ arresto dei
ministri di Hamas, ha segnalato una quantità di punti programmatici: in
primo luogo, vuole indietro Gilad, già ferita e furiosa per l’ uccisione a
sangue freddo del colono diciottenne Eliahu Asheri la cui cerimonia di
sepoltura è stata una grande adunata di disperazione intorno alla madre
impietrita.
In secondo luogo, vuole minare alle fondamenta le possibilità di usare Gaza
come una rampa di lancio fissa, istituzionalizzata con autorizzazione
governativa, per attacchi terroristi, con missili kassam o attacchi dentro
la Linea Verde. In terzo luogo, con l’ arresto degli uomini di Hamas, vuole
indicare il rifiuto a considerare legittimo il potere di un’ organizzazione
listata come terrorista; vuole indicare che Hamas ha rifiutato la scelta fra
potere istituzionale e terrore respingendo le tre condizioni della comunità
internazionale e intraprendendo invece tutta una serie di scelte che
indicano l’ intenzione di restare ferma sul proprio scopo strategico, il
rifiuto di riconoscere Israele e la guerra santa.
Per ora, salvo per l’ azione di ieri in cui è stato preso di mira un
gruppetto diretto a lanciare un missile e un palestinese è rimasto ucciso,
Israele agisce con lentezza e lasciandosi la porta aperta alle spalle,
sperando ancora che le cose si possano sistemare con la restituzione del
soldato: se Haniyeh lo facesse, questo probabilmente cambierebbe tutta la
scena. Ma il primo ministro palestinese vive un grande dilemma. Vorrebbe che
la situazione si calmasse per salvare il suo governo e anche la sua stessa
persona che potrebbe esser presa di mira. Ma non vuole certo passare alla
storia come il politicante che ha venduto al potere l’ ispirazione religiosa
che vede Israele come un indegno occupante della terra sacra all’ Islam.
Khaled Meshaal inoltre lo sfida da Damasco, come polo della lotta dura senza
compromessi, sostenuto e finanziato dall’ Iran e dalla Siria, e Haniyeh non
se la sente di rompere con un personaggio così rilevante.
Inoltre anche lui, il leader povero e religioso dei credenti palestinesi,
non vuole abbandonare la strada integralista. I due non hanno un buon
rapporto da quando nel ‘ 95, in occasione delle prime elezioni dell’ autonomia
palestinese, Meshaal dichiarò che Hamas era contro; Haniyeh partecipò
comunque e fu espulso dall’ organizzazione, finchè lo sceicco Yassin richiamò
indietro la pecorella smarrita perché divenisse il direttore del suo
ufficio. Gli amici di Haniyeh pensano che Meshaal, specie da quando il
movimento islamista è forte, ritenga che l’ istituzionalizzazione di Hamas in
una dimensione tutta palestinese sia un errore, perchè può portare Hamas a
un ruolo marginale nella battaglia dell’ Islam contro l’ Occidente e alla
riduzione del suo prestigio. Meshaal spinge avanti le sue posizioni forte di
decine di milioni di dollari iraniani: secondo gli analisti israeliani Avi
Issacarov e Zvi Barel li manda a Gaza in valige piene di contanti.