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LA BREVE STAGIONE DEL LEADER LABORISTA L’ eroe è rimasto solo per l ’ ultima battaglia

mercoledì 29 novembre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME DA solo, e non più di venti minuti prima del suo intervento, Ehud Barak ha preso la decisione di presentarsi alla Knesset, il parlamento israeliano, col suo volto più vero, senza il sorriso diplomatico, col cipiglio della Saieret Matkal, l'unità speciale dell'esercito in cui ha iniziato la strada che lo ha portato a essere Primo Ministro: il volto duro della liberazione degli ostaggi di Entebbe, il volto audace della spia travestita da donna alla ricerca della base di Arafat nelle vie di Beirut. Nella guerra più dura, da soldato e da capo di Stato Maggiore, proprio come Rabin, Barak ha imparato la necessità assoluta della pace, e anche il dovere di guardare la verità in faccia. E dopo tanti estenuanti tentativi di mediazione e decine di accordi caduchi, dopo infinite sofferte concessioni, ieri sera di fronte ai 120 deputati israeliani ha detto: « Basta con le condizioni impossibili, basta con le trappole politiche, non sono cieco, vedo che mi sono rimasti solo una trentina di voti, si vada alle urne. E vincerò , vincerà la pace» . Barak nasce nell'ideologia pacifista e in stato di perenne guerra nel kibbutz di sinistra di Mishmnar Hasharon, al Nord di Israele, poco prima della creazione dello Stato d'Israele: le sue condizioni materiali sono modeste fino alla povertà tipica dei kibbutz negli Anni Quaranta e Cinquanta, la sua disciplina sia di vita che culturale durissima. Era un ragazzo mingherlino: ha voluto diventare il primo di tutti i soldati. Era un povero ragazzo di kibbutz, e ha voluto formarsi una cultura enciclopedica e un'agilità disciplinare che ha fatto dire a Henry Kissinger: è l'uomo più intelligente e colto che abbia mai incontrato. Persino al pianoforte Barak è riuscito a diventare eccellente. Yitzhak Rabin lo amava di un amore paterno e possessivo che, quando fu assassinato, fu assunto da Leah Rabin, la quale a voce alta e senza tregua avrebbe continuato fino alla fine a seguirlo come un figlio che talora osa spingersi troppo lontano e addirittura tentare di andare oltre i confini segnati dal marito con l'accordo di Oslo: "Yitzhak non avrebbe mai concesso ad Arafat una parte di Gerusalemme", disse Leah quando tre mesi fa Barak siedeva a Camp David con Arafat e Clinton e spingeva fino all'estremo il suo tentativo di trovare un accordo con i palestinesi. I sogni di Ehud Barak per alcuni mesi dettero le ali al processo di pace: quando, con un plebiscito che gli regalò il 58 per cento del voto e nel sollievo dell'intero consesso internazionale, mandò a casa Bibi Netanyahu. Il programma da Prometeo di Ehud era quello di portare rapidamente Israele a una pace complessiva e definitiva con tutta l'area. Come aveva promesso agli elettori, per prima cosa dette il via al ritiro unilaterale dalla fascia meridionale del Libano, sperando che questo gesto avrebbe portato pace anche con la Siria. Al contrario, gli Hezbollah hanno seguitato a dare segnali di ostilità attiva, e la Siria - nonostante l'offerta generosa di Barak di ritirarsi da tutto il Golan - si è impuntata su un tratto di spiaggia del lago Kinneret. E qui cominciano, con i fallimenti strategici, le prime ombre sul processo di pace con i palestinesi; e con esse le critiche interne sempre più forti, sempre più aggressive. Critiche di gestione, che accusano Barak di essere un accentratore e un superbo; critiche strategiche e politiche, che via via frammentano la coalizione che all'inizio poteva contare anche sui voti di partiti moderati, e persino religiosi e nazionalisti. Quando Barak a Camp David ha preso da Arafat il grande schiaffo del rifiuto, la crisi si accentua. E al momento che il suo « partner» , come lo ha sempre chiamato, diventa il rais della terribile Intifada delle Moschee che riduce l'area di nuovo a un'arena di scontri, acre di sangue e di polvere da sparo, mentre sul terreno cresce il numero dei morti sia palestinesi che israeliani e il mondo di nuovo attacca Israele, Barak diventa un bersaglio mobile evidente per tutti i suoi nemici interni e esterni. In questi giorni la moglie Nava, intervistata più volte, ha parlato della stanchezza e del coraggio del marito con quella voce del dolore che Ehud non si è mai potuto permettere. Anzi: Barak volta pagina con il piglio del comandante che ha scelto l'ultima trincea, quella della solitudine, per continuare la sua battaglia. Un comandante tradito, ma forte, da cui ancora molto ci si può aspettare.

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