L’ UOMO CHE GUIDA ISRAELE IN UN CONFLITTO SU CUI IL MONDO E’ DIVISO SH ARON condannato a essere falco
sabato 30 marzo 2002 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
FORSE sogna che Arafat fugga all'estero facendo il segno della
vittoria,
come ai tempi del Libano, quando lo mise in fuga. Ma non lo dice: e
non
aveva l'aria affatto soddisfatta Ariel Sharon quando ieri ha
dichiarato
Arafat « nemico» e ha annunciato l'ennesima guerra (di difesa, ha
precisato,
contro il terrorismo e basta) dello Stato d'Israele; quando ha
ripetuto dopo
una notte insonne trascorsa in un corpo a corpo con i suoi ministri,
tormentato da altre notizie di nuovi attentati, ancora attentati
terroristi,
che con quella scelta strategica di Arafat (l'ha detto quattro volte:
« terrorismo, terrorismo, terrorismo, terrorismo» , come per spiegare
l'enormità del bagno di sangue) non c'è spazio per la trattativa. Il
suo
ministro degli esteri, Shimon Peres, per la prima volta, benché
avesse detto
parole durissime contro i massacri dei giorni scorsi, gli è sfuggito
di mano
astenendosi; il suo ministro della difesa « Fuad» Ben Eliezer
gliel'aveva
cantata molto chiara: « andiamo, ma solo se mi prometti di non toccare
Arafat» .
Tutta la notte la destra lo aveva tempestato di esclamazioni: basta,
bisogna
farla finita con Arafat che ci inganna, parla di pace e manda i
terroristi,
occorre costringerlo alla fuga, si deve eliminarlo in qualche modo
dalla
scena politica. Yvette Liebermann aveva anche parlato di eliminazione
fisica. Sharon aveva fatto scudo con il suo corpo. Quella terribile
seduta
di tutto il governo, col bollettino di morte che seguitava a venire
dagli
ospedali e dalla polizia, dalle undici di sera fino alla mattina
quando
Sharon, accompagnato dalla coorte dei suoi ministri si è presentato
alla
stampa, non ha in realtà dato nessuna soddisfazione all'uomo di cui
si dice
e si scrive il nome, in Europa, sempre aggiungendo l'epiteto:
« falco» .
Sharon in realtà avrebbe preferito una sorte alla De Gaulle: un
generale
duro che porta la pace. E ha cercato di dimostrarlo in tutti i modi,
ricevendone in cambio una sorte ingrata. Dall'inizio del suo mandato,
quando
l'Intifada era già iniziata, rinfocolata (non provocata; infatti già
era in
atto dal rifiuto di Arafat a Camp David, 3 mesi prima) dalla sua
passeggiata
alle Moschee, Sharon aveva promesso di riportare la pace e la
sicurezza,
anche facendo « penose concessioni» . Non ce l'ha fatta. Eppure durante
17
mesi di continui attacchi terroristici ha cercato, anche perché
trattenuto
da Peres e dagli americani, di contenere le risposte entro un limite
che gli
consentisse da una parte di non perdere i pezzi del governo a
sinistra,
dall'altra di dare segno di capire la disperazione della sua
popolazione
colpita. Ha insistito che lui sceglieva di colpire strutture per i
terroristi, anche se spesso la popolazione palestinese ci è andata di
mezzo.
I morti sono stati tanti, ma Sharon sostiene che mai per intenzione,
e
sempre cercando di colpire solo i terroristi che però si nascondono
fra la
folla. Ha confinato Arafat, ma ha sempre lasciata aperta la porta di
una sua
riabilitazione legata alla lotta al terrorismo, Ha mantenuto
l'occupazione,
ma ha sempre detto di volerla rimettere in discussione, limitando gli
insediamenti.
Era nato come il generale che seppe vincere la guerra del ‘ 73, che
giudicò
giusto costruire nei territori, che già nel ‘ 48, a Latrun, fu ferito
al
ventre per vincere l'assedio di Gerusalemme, ma anche come l'uomo
accusato
dai palestinesi di essere il responsabile della strage di Sabra e
Chatila,
dove i cristiani maroniti compirono un'orribile vendetta nel campo
profughi
e lui non fu in grado (così è stato giudicato in due processi) di
fermarli.
I palestinesi lo hanno ritratto sempre come un odiatore del loro
popolo e in
particolare di Arafat, lo hanno demonizzato ottenendo un coro di
consensi in
Europa: in realtà , di sentimenti d'odio Sharon non ha mai dato segno.
Semmai, di una determinazione senza successo a spezzare con la forza
il
terrore, senza andare oltre una strategia del giorno dopo giorno; il
suo
stile era quello di una navigazione che seguitasse a dimostrare da
una parte
la determinazione a battere i terroristi, e dall'altra a tenere la
porta
aperta alla trattativa. Per questo, per esempio, ha dichiarato tre
volte,
senza corrispettivo, il cessate il fuoco; per questo dopo la strage
del
Dolphinarium non rispose e nemmeno dopo le ultime grandi stragi di
Gerusalemme, fino a Natania; ma non ha mai voluto lasciare gli
insediamenti
senza che prima il terrore si arrestasse; è andato giù duro nei campi
profughi alla ricerca di uno sradicamento del terrorismo che di fatto
non è
risultato possibile. Forse la sua colpa più grande agli occhi del
mondo, è
stata quella di avere incarnato, dopo il rifiuto di Arafat al ‘ 97 per
cento
dell'offerta Barak, dopo il bel sogno di Rabin e Peres, il ritorno
alla dura
realtà , quella senza premi Nobel per la Pace.
Sharon ha sempre considerato Arafat un nemico, e certamente in questi
ultimi
mesi la sua antipatia è aumentata. Ma l'uomo è rimasto pacato finché
il mese
di marzo ha contato 103 israeliani morti per terrorismo, e 845
feriti. Si è
presentato, ieri, alla stampa e al mondo intero con un peso che
avrebbe
voluto evitare nonostante la sua antica sfiducia, il suo sostanziale
disprezzo per Yasser Arafat, che ha sempre considerato un terrorista
e non
uno statista. La sua frustrazione negli ultimi giorni deve essere
stata
enorme, deve avergli creato offesa e scorno. Dopo l'arrivo di Zinni,
l'inviato americano, Sharon ha compiuto una quantità di mosse che
avrebbero
dovuto e potuto portare al cessate il fuoco: ha sgombrato la zona A
appena è
arrivato; poi ha cancellato i famosi sette giorni senza attentati
prima di
passare alle misure del documento Tenet; ha dichiarato il cessate il
fuoco;
ha detto a Arafat che poteva partire per Beirut se lo avesse
dichiarato
anche lui e che l'avrebbe fatto tornare in pace se nei giorni del
summit non
ci fossero stati attacchi terroristici. Ha chiesto e richiesto una
dichiarazione contro il terrorismo da parte del raiss, una sua mossa
che
desse segno che i colloqui Tenet e Mitchell potevano andare avanti.
Ma ormai
la diffidenza era enorme, Arafat non voleva disarmare i suoi prima di
avere
un segnale di una ricompensa evidente e immediata. Forse qui Sharon
avrebbe
potuto fare un gesto inventivo, creare un incentivo migliore. Non
l'ha
fatto, gli sembrava di aver fatto abbastanza fra tanti attentati.
L'amarezza è cresciuta quando ha avuto il senso che l'opinione
pubblica
internazionale non si accorgesse altro che della reclusione di Arafat
e non
del terrorismo catastrofico in Israele; e poi, nelle ultime ore, che
stupore
che nessuno prendesse in considerazione, nel mondo, l'ambulanza che
portava
a destinazione, sotto una madre e tre bambini, una cintura esplosiva,
o il
silenzio che ha accompagnato l'omicidio dei due osservatori
internazionali
della TIPH. Anche Sharon può sentirsi solo nel mare di sangue dei
suoi
cittadini uccisi alle feste di Pasqua, può sentirsi debole anche se
deve
ripetere che è forte. Sharon era stupefatto, arrabbiato negli ultimi
giorni
per il disprezzo che gli è sembrato gli mostrasse Arafat, che ha
rifiutato
le richieste di Zinni. Ma come, si è ripetuto più volte Sharon nelle
ultime
settimane, è mai possibile che io debba cedere e Arafat non voglia
dare
niente? Sharon, pur conservando la solita faccia decisa, era segnato
e
stanco quando dopo 24 morti in 24 ore ha dichiarato la guerra...
Avrebbe
voluto passare alla storia come un Primo Ministro che aveva riportato
la
pace e la sicurezza facendo vedere al mondo che non è un falco, ma un
Leone,
come dice il suo nome, la cui forza dice sempre lui, equivale a un
comportamento calmo. Ma la sorte del duro lo perseguita, e anche
l'ombra di
Arafat, sempre dietro di lui.