L’ UOMO CHE DIEDE ALL’ ASTRONAUTA D’ ISRAELE LA PICCOLA BIBBIA SU CUI PREGAVA A BERGEN BELSEN « Dai campi di sterminio allo spazio la mia Torah sul cuore del dolce Ilan» Yoseph: la sua missione un grande successo, scientifico e umano
mercoledì 5 febbraio 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
JOACHIM Yoseph ha la dolcezza degli scienziati innamorati della loro
missione. Arriva adesso da Houston, Texas. Con i capelli ancora un
po'
fulvi, porta i suoi 71 anni con vigore e signorilità , ma appare
stanco e
molto triste: capo della parte scientifica israeliana della missione,
ha
vissuto anni a stretto contatto con gli astronauti, in particolare
con Ilan
Ramon. In più , Ilan per lui ha compiuto una missione grande come
quella
scientifica affidatagli: aveva portato nello spazio con sé un piccolo
rotolo
della Torah e l'aveva mostrato a tutto il mondo; non una Bibbia
qualunque,
ma quella miniata e tenuta segreta che Joachim aveva usato,
tredicenne, nel
campo di concentramento di Bergen Belsen per imparare a leggere la
porzione
della Torah del suo Bar Mitzvah, la sua maggior età religiosa.
Quando a Houston si è cominciato a capire che qualcosa non andava,
lei era
nella sala controlli?
« Io e gli altri sei israeliani nella missione scientifica eravamo
nella sala
ventiquattro ore su ventiquattro, in tre turni, da due settimane,
ovvero dal
decollo del Columbia; e da più di due anni e mezzo vivevamo giorno
dopo
giorno con tutto il gruppo degli astronauti, con Ilan e gli altri,
uno a uno
personaggi eccezionali, legati fra di loro, a noi e allo
straordinario
gruppo della Nasa come una vera famiglia. Era molto più che lavorare
insieme: discutevamo, ridevamo, e gli astronauti erano felici che gli
esperimenti programmati li mettessero in un ruolo scientifico molto
attivo» .
Le pare verosimile quello che si mormora adesso, ovvero che già si
sapesse,
a Houston, che il Columbia dall' impatto dell'ala sinistra fosse ad
altissimo rischio? E che ciò non sia stato detto?
« Conoscendo l'integrità e la sensibilità di chi lavora in quel gruppo
e la
legge per cui la sicurezza viene prima di tutto, non lo credo
affatto. Posso
dire però che un secondo dopo che è stato dato l'annuncio della
perdita del
contatto, ho saputo che era finita. Il pericolo di queste missioni è
ancora
elevatissimo» .
Esclude che gli astronauti, magari all'ultimo, fossero consapevoli,
almeno
in parte, della sorte che poteva aspettarli?
« Nello specifico, anche se ovviamente non lo so, lo escluderei per il
senso
di ottimismo e di vitalità che trasmettevano ogni minuto. Certo, gli
astronauti sanno che siamo ancora in una fase pericolosissima:
ciascuno di
loro si fa fare i test per il Dna proprio perché il caso di morte è
ben
preso in considerazione. E tuttavia in questa gente coraggiosa il
buon
umore, l'ottimismo, la fede sono predominanti. Io scrivevo agli
astronauti
una poesia al giorno, e loro rispondevano in rima. L'ultima poesia a
Ilan
era su come avrebbe saputo portare nello spazio la Torah come simbolo
della
resistenza ebraica persino nei campi di sterminio, della volontà di
sopravvivenza. Era su quanto fosse stato bravo e coraggioso a
spiegare la
nostra nazione e la nostra tradizione così potentemente,
illustrandole con
tanti simboli del nostro popolo» .
Racconti la storia del suo piccolo rotolo perduto.
« Sono nato ad Amsterdam, in Amteellaan 97. Anche Anna Frank era là , e
io
l'ho conosciuta. Era una ragazza poco più grande, non mi guardava
nemmeno.
Ci siamo sfiorati prima delle persecuzioni e della deportazione,
vivevamo
vicini e nella comunità ebraica. Lei fu uccisa dagli stenti, dalle
botte dei
tedeschi, dalla malattia. Io sono stato trasportato a Bergen Belsen,
con mio
fratello Dov, mio padre Julius, mia madre Felicia e con il resto di
una
vasta famiglia. Tutti sono stati sterminati salvo noi quattro:
abbiamo poi
scelto la strada di Israele» .
Chi le dette la piccola Torah?
« Nella baracca mi chiamò da parte un rabbino di nome Dasverg, e mi
disse:
"Tu hai 13 anni: ti insegnerò a cantare la Torah per il tuo Bar
Mizva". Io
non ero religioso, ma capii com'era importante quello a cui ero stato
chiamato. Il rabbino disse anche: “ Voglio però che tu poi racconti la
storia, come simbolo della resistenza del popolo ebraico” . La gente
moriva
intorno a noi, eravamo testimoni dello sterminio del nostro popolo.
Un
martedì alle 4 di mattina, prima della sveglia, gli altri deportati
misero
le coperte sulle finestre, accesero delle candele e io cantai la mia
porzione della Torah, come ogni bambino ebreo nei secoli. Poi Dasverg
mi
disse: io non uscirò vivo di qui, prendi il rotolo con te e racconta
la
storia» .
Molto più tardi, l'incontro con il colonnello Ilan Ramon, astronauta,
pilota
nella missione che distrusse il reattore nucleare iracheno nell'81.
« Nel 1950 scrissi in inglese tutta la storia del rotolo sul giornale
Jerusalem Post, e poi tacqui fino a dieci anni fa. Non ho mai voluto
adagiarmi sulla sofferenza, sui ricordi insopportabili della Shoah.
Ma
quando i miei nipoti sono stati abbastanza grandi, ho raccontato di
nuovo
tutto e ho costruito un piccolo armadio tradizionale, come quelli che
contengono i rotoli nelle sinagoghe, e l'ho messo nello studio, sulla
libreria. E' qui che arrivò il colonnello Ramon. Abbiamo passato
tanto tempo
insieme, gli ho insegnato gli esperimenti scientifici; era la persona
più
gentile e comunicativa che abbia conosciuto. Un giorno venne a
trovarmi a
Tel Aviv, vide l'armadietto, mi domandò : "Che cos'è ?". Dopo che
glielo
spiegai, ci pensò qualche mese. Ha portato il rotolo nel cosmo per lo
stesso
motivo per cui Dasverg me l'aveva dato, per mostrare lo spirito di
resistenza degli ebrei. Lui stesso era figlio e nipote dei
sopravvissuti di
Auschwitz. Mi disse: "Te lo riporterò , ma ti chiedo di prestarmelo a
maggio,per il Bar Mitzvah di mio figlio"» .
Professore, come sta adesso? Ha perso la sua missione, il suo amico,
la
Torah.
« In realtà , nel grande dolore, sono invece contento e pieno di
fiducia. Ilan
sarebbe felice dell'importanza dei risultati degli esperimenti, che
abbiamo
raccolto a terra per l'80 per cento. La missione scientifica è
riuscita.
Quanto alla Torah, tutto il mondo l'ha vista, ha compiuto la sua
missione.
E' venuta dal buio più profondo, Ilan l'ha portata nella luce
smagliante
dello spazio» .
Quali sono gli esperimenti importanti di Ilan e degli altri?
« Vari: per esempio, molto importante quello sulla polvere desertica
nello
spazio, perché aiuta a capire l'effetto serra che in parte deriva
proprio
dai movimenti delle nuvole di sabbia. Importantissimi gli
esperiementi
notturni sulle grandi tempeste di fulmini. Lei sa che cinque o sei
Paesi del
Mondo sono già parte di progetti per la produzione della loro energia
nello
spazio?»
Non lo sapevo. E neppure che questi viaggi siano così importanti, più
della
vita umana.
« Non sono più importanti: sono semplicemente parte della vita umana,
si
svolgono a suo favore col rischio che le grandi imprese umane hanno
sempre
comportato. Bisogna continuare, riprendere subito, e abbiamo già
anche
pronto il prossimo candidato israeliano allo spazio» .
Ilan parlava con lei di politica? Ha detto dall'astronave: « Il mio
Paese
dall'alto è così piccolo e bello, e appare finalmente quieto» . Ilan
sognava
la pace?
« Ilan era realista, intelligentissimo, buono, non si illudeva su
soluzioni
miracolistiche. Parlavamo della situazione, ma non in termini
politici. In
generale lui pensava come me: che bisogna stare saldi e quieti,
mostrare ai
nostri vicini che non devono temere danno da noi, e che nello stesso
tempo
non si devono illudere di schiacciarci con la forza» .
Qual è l'ultimo ricordo di Ilan?
« Aveva fatto una bellissimo esperiemento e io gli ho detto in
ebraico: "Kol
ha cavod", complimenti, bravo. E lui ha risposto: “ Grazie, Todà ” .
Aveva
negli occhi quello scintillio ottimista che gli ho visto sempre e
nelle
maniere una gentilezza inesauribile e costante. Faceva tutti felici» .