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L’ OPINIONE L’ Italia ha rimosso le tracce delle sue colpe antisemite

domenica 8 novembre 1992 La Stampa 0 commenti
PIUTTOSTO che assolvere o condannare, vale la pena dire qualche parola in più sulla rappresaglia dei giovani ebrei romani contro i naziskin. Il fantasma dell’ antisemitismo oggi è , più ancora che pauroso, confuso e vano come un ubriaco. Tentiamo un disegno della situazione psicologica di chi lo affronta nella nebbia. La violenza pubblica, politica, in Italia più che altrove, guai a considerarla : ha ragione Sergio Romano. Anche se qui, per ora si è trattato di violenza contenuta senza morti né dimostrazioni di rabbia estrema e neppure troppo caricata di valori escatologici come nel caso della violenza dei nostri Anni Sessanta e Settanta. Gli ebrei hanno tirato qualche botta, ed è diverso da sparare. Semmai c’ è da temere la risposta di gente per cui la morte del nemico, e specie del nemico razzialmente inferiore, è un valore e un modo di catturare ulteriore consenso politico. Gli ebrei hanno voluto invece esprimere (male) soltanto un sentimento: possiamo più . Di che cosa gli ebrei italiani non ne possono più ? Non vi è certo una situazione di antisemitismo feroce. In ultima analisi gli antisemiti dichiarati, se i dati della Demoskopea vengono letti come si deve, non superano una cifra allarmante. Solo l’ eco mediologico della vicenda è stato abnorme. L’ Italia è un Paese oggi non più antisemita di tanti altri, né lo è più di sempre. Tuttavia è bene sottolineare che non lo è meno di altri. Il negarlo è esasperante. L’ Italia è antisemita come tutto quanto l’ Occidente cristiano, con i suoi scrittori antisemiti (parlo di Dostoevskij, non di Celine] ), i suoi musicisti, i suoi pittori, l ’ intera sua grande cultura di fondazione. L’ Italia forse è l’ unica fra tutte le nazioni europee che ha tuttavia costantemente schivato il tema: delle leggi razziali promulgate nel 1938, del fatto che agli ebrei fosse proibito il matrimonio misto, i pubblici impieghi, le libere professioni, lo stipendiare ariana, il frequentare le scuole insieme agli altri bambini, e persino possedere una radio, di tutto questo non vi è traccia nella memoria collettiva. I nostri ragazzi nelle scuole non lo sanno. Né sanno che non vi è mai stata traccia in Italia di un episodio di aperta resistenza civile all’ allontanamento dei bambini ebrei dalle scuole. Né che molte deportazioni e uccisioni (un terzo dell’ intera comunità ) sono avvenute dopo delazioni di vicini di casa. Era antisemitismo quello? Sì , ma non estremo, simile a quello odierno, senza la passione tedesca o anche francese per teorie razziali. E vi furono indubbi episodi di eroismo personale. Ma il tentativo di restituire in fretta all’ Italia dopo venti anni di fascismo un’ attendibilità democratica, di non riaprire inutili spaccature, di lasciare ai tedeschi l’ aspetto demoniaco di Auschwitz, ha cancellato tutto quello che poteva avvicinare il fascismo al nazismo. Alla rimozione che ha lasciato gli ebrei alquanto spaesati, anche se inconsapevolmente, si è sovrapposto un altro conturbante fenomeno: l’ antisemitismo antisionista. Chi può dimenticare il bombardamento ideologico che ha assimilato per anni Israele alla Germania nazista, Arafat a un agnello terzomondista? Chi può scordare le risoluzioni così ben accette in Italia che grottescamente definivano il sionismo o progresso femminile ? Chi può dimenticare che una grande manifestazione sindacale (difesa da Luciano Lama) ha deposto una bara con la stella ebraica davanti alla sinagoga nel 1982, e che a tutt’ oggi molte manifestazioni conducono giovani italiani di ottima indole e buona volontà a gettare uova marce contro le lapidi dei deportati? Questo antisemitismo è l’ unico che abbia pesato ai tempi nostri (l’ altro è una patologia soprattutto televisiva, mentale e da ginnastica da palestra). Infine: per piccolo ed endemico che sia, l’ antisemitismo è antisemitismo, e basta. È assimilabile al razzismo e alla xenofobia solo per contagio o rigonfiamento. Ma il suo contenuto ha a che fare con l’ ebreo, con l’ ebraismo e non certo con i nuovi immigrati. Primo Levi per pagine e pagine di nell’ empito liberatorio del dopoguerra, a lungo non parla di ebrei ma di sofferenze e di crudeltà universali. Nel tempo, troppo dolorosamente, dovette di nuovo affondare nella specificità della sua vicenda umana di ebreo Queste sono le tre esasperazioni di fondo dei giovani romani. Tutte hanno a che fare con fenomeni molto italiani e molto profondi I giovani estremisti neri ne hanno solo acceso la lunga miccia. Fiamma Nirenstein

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