L’odio senza colore
Corriere Fiorentino, 23 marzo 2012 intervista a Fiamma Nirenstein di Edoardo Semmola.
“Siamo belli, brutti, bassi e alti, siamo biondi, bruni, parliamo le lingue del mondo, apparteniamo a tutte le culture. E non abbiamo tratti etici identificabili. Siamo ebrei”.
Ma allora, l’antisemitismo, che tipo di razzismo è?
“È questo che lo rende diverso: è un odio che non ha colore, non ha accento né caratteristiche fisiche”.
Parla Fiamma Nirenstein: giornalista, scrittrice, deputata PdL, presidente del Comitato d’Indagine parlamentare sull’Antisemitismo. Fiorentina, ebrea, innamorata di Gerusalemme. Oggi alle 18,00 nella sede del Corriere Fiorentino, presenta il suo libro A Gerusalemme (Rizzoli) in un incontro dal titolo Europa/Antisemitismo con Leonardo Tirabassi e Tommaso Ciuffoletti, introdotto da Paolo Ermini. L’esplosione di nuovi rigurgiti antisemiti è all’ordine del giorno: la strage di Tolosa, le liste di proscrizione via internet in Italia sui siti Holy War e StormFront, dove sono stati pubblicati gli indirizzi delle comunità ebraiche e i negozi, a Livorno una scuola materna e una macelleria kasher. A Firenze il capo della procura Quattrocchi che indaga su Holy War parla di “episodi da seguire con attenzione” ma “non allarmanti”.
Continuiamo, onorevole Nirenstein: antisemitismo, perché?
Credo che essere ebrea sia una grande fortuna, una finestra sul mondo che non ti permette di diventare provinciale. E questo per tanti risulta difficile da sopportare. In questo senso penso che l’antisemitismo provenga da un’invidia intellettuale: in un mondo in cui le identità sono a pezzi, in cui nessuno sa chi è, nel bene e nel male il popolo ebraico lo sa sempre.
Andiamo all’attualità: la strage di Tolosa. Siamo passati dalla paura neonazista alla scoperta di una mano fondamentalista islamica.
Non sono due modi di essere antisemiti così lontani: basta ricordare che Al Husaynì ottenne da Hitler la promessa di riproporre la soluzione finale anche in Medio oriente, con gli stessi metodi.
Dopo il caso delle liste web con anche nomi di professori fiorentini, la comunità ebraica romana ha chiesto una legge ad hoc.
È un problema molto vasto, basti pensare che nel 1995 i siti web antisemiti erano solo 5, oggi invece più di 8mila: di destra e di sinistra, europei arabi e americani. Una legge non c’è ma il Protocollo di Bucarest consente di perseguire questi crimini. Abbiamo chiesto sia al governo precedente che a quello attuale di firmarlo: è sul tavolo del Ministero degli Esteri.
Gli italiani sono antisemiti?
Una nostra indagine durata due anni mostra come il 47 per cento degli italiani non abbia simpatie per gli ebrei, il 23 tra i giovani. Ma quello italiano è un antisemitismo “blando”, con un minor numero di incidenti violenti rispetto a Francia e Inghilterra.
Le persecuzioni degli ebrei sono una costante nella storia: Egiziani, Romani, Cristiani, Musulmani, Nazismo, Comunismo. Sembra di tutti contro uno.
Questa è un’immagine purtroppo estremamente plausibile e non c’è niente che possa distogliere l’umanità da questa terribile abitudine. La puzza di sangue non si toglie, chi ci odia fa un tutt’uno: ci odia come popolo, come religione, come Stato.
A proposito di abitudini, nel 1215 la prima imposizione agli ebrei di cucirsi il distintivo giallo simbolo di “ cattiveria” e “invidia”. Sette secoli dopo Hitler fa la stessa cosa.
Abbiamo sempre pagato l’invidia altrui, l’insicurezza, il desiderio di trovare un capro espiatorio per i propri difetti. Non a caso sono sempre i dittatori i primi antisemiti, sia nel mondo occidentale che arabo. Gli piace gettare addosso agli ebrei il peso dell’infelicità dei propri popoli. E comunque, è vero che nel medioevo la stella gialla era simbolo cattiveria, ma di quella che vive negli occhi degli altri: per me è un simbolo meraviglioso.
Andiamo A Gerusalemme, che a pagina 1 definisce “lido fatale”.
Perché è il luogo che determinato il fato dell’umanità. Lì nasce il monoteismo, la strada verso la democrazia. Gerusalemme ha insegnato al mondo che l’uomo vale per quello che è e non per quello che ha.
Molti paragoni con Firenze.
Non ho amato Gerusalemme finché non ho capito quanto somiglia a Firenze. è il mio paesaggio interiore che ho ritrovato, quello che vedevo dalla casa di mia mamma, la vostra giornalista Wanda Lattes.
A proposito d’amore, è là che ha conosciuto suo marito.
Mi ha insegnato l’ebraico, cosa significa essere una persona di confine, vivere a metà strada tra bellezza e pericolo, tra furia metropolitana e la quiete. È stato un incontro di “schiena”. Lui faceva il cameraman, e io intervistavo un rabbino, un sacerdote cattolico e un muftì. Si parlava di sesso prima del matrimonio e di vita dopo la morte. Io stavo davanti e lui ci filmava da dietro. Forse, penso, s’innamorato perché non mi vedeva.
Poi, il ruolo chiave della famiglia.
Il primo amore per Gerusalemme è nato all’interno della famiglia, senza neanche me ne accorgessi. Grazie alle mie sorelle Simona e Susanna, e a tutta la parte paterna della famiglia, che è gente di kibbutz.
È una città che ha “conquistato a piccoli passi”. Iniziale timidezza?
Nessuna timidezza. L’ho conosciuta da corrispondente, un ruolo che non ti permette nessuna timidezza. L’Intifada non ti permetteva timidezza. No, i piccoli passi servono ad avvicinarsi a una città che ti fa domandare per tutto il tempo se veramente stai capendo ciò che vedi, tra i millenni che passano e culture che convivono.
L’Intifada ha acuito l’amore per una città ferita?
Ho vissuto quel momento come l’ennesimo tentativo di cacciare via gli ebrei dalla città. Ma non è stato un maggiore amore “per reazione”, è come quando hai un bellissimo anello e tentano di rubartelo, solo allora ti accorgi di quanto sia bello.
Come scrive lei stessa, gli ebrei “non se sono mai andati”.
È dal 70 d.C. che provano a cacciarci. Ma siamo sempre restati abbarbicati a quel sasso. Gerusalemme è l’ebraismo. È difficile ignorarla.