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L'INTERVISTA. Il presidente dell'Agenzia ebraica spiega cosa signific a la di Herzl cent'anni dopo Sionismo, un regalo al mondo

venerdì 9 maggio 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NEL secolo degli , in cui tutte le fantasie egualitarie e totalitarie si sono infrante, soltanto un'utopia si è fatta realtà : il sionismo, ovvero il sogno degli ebrei di tornare alla loro terra, a Sion, a Gerusalemme. Il sogno di rendere la propria bimillenaria vita di dispersi e perseguitati uguale a quella di ogni nazione. A cent'anni esatti da quel congresso di Basilea in cui Teodor Herzl ingaggiava l'inverosimile sfida, il sionismo ha già trovato da quarantanove anni la propria realizzazione con la proclamazione dello Stato ebraico nel 1948. Ma l'ideale di purezza, di esemplarità , di socialismo dei padri fondatori, oltre ad aver conseguito impressionanti risultati civili e culturali, ha anche tuttavia attraversato guerre, ha attratto e restituito grandi odi, si è stravolto nel consumismo e nella violenza sociale e politica. Abraham Burg, lei che è presi dente dell'agenzia ebraica, pensa che ancora oggi un ebreo abbia buone ragioni per immigrare in Israele? Anche dopo la fine delle persecuzio ni? tutto, è ironico che un popolo che deve in gran parte la sua sopravvivenza al sentimento che gli ha dato per duemila anni la preghiera di tornare a Gerusalemme, adesso che questa possibilità esiste, non lo faccia. Semplicemente: come l'Italia è per gli italiani, la Francia per i francesi, così Israele è per gli ebrei. Ovvero Israele è la patria, in un'era che ha visto la fine dei cosmopolitismi, dell'ebreo che vuole esprimere in maniera piena la sua identità , il suo giudaismo. Quale migliore spinta esiste oggi se non quella dell'identità realizzata, specie se si nutre di valori ebraici che sono insieme particolari e universali?. Dunque per lei il sionismo oggi è un sionismo sostanzialmen te, per così dire, culturale, e non della terra... della vita dell'ebreo? La famiglia nelle sue successive generazioni, la continuità , l'importanza degli amici, la presenza degli ospiti nella sua casa; l'indigente e l'infermo con cui dividere ciò che si ha; cercare la giustizia con tutte le proprie forze; e conservare la famiglia come centro dell'educazione personale e nazionale, e lo studio come valore al di sopra di tutto. L'educazione e l'illuminismo ebraico sono i punti da cui tutto comincia, e questo è lo scopo del sionismo oggi. Se la mette così , lei però lascia tutto intero nelle mani del sionismo religioso la questio ne della terra e della nazione con i suoi confini, che oggi è più vivo che mai; non le pare di fare ai sionisti tradizionali sti un bel regalo, o semplice mente di denotare una certa mancanza di elaborazione? soluzione sionista in termini di valori è , secondo me, l'ennesimo regalo che l'ebraismo, inteso come cultura e tradizione e non come religione solamente, fa a tutto il mondo, un mondo oggi sempre più affamato di significato e di moralità . Il sionismo, in nessun modo può essere soltanto inteso in termini religiosi, e tanto meno in termini di terra. E anche in quest'ultimo caso, oltre al West Bank, esistono tante altre espressioni nazionali molto più affascinanti, come vivere nel Negev, o in Galilea. Peraltro le nostre frontiere oggi sono il volontariato, l'accoglimento dell'ospite straniero, l'immigrazione in cui siamo campioni, lo sviluppo e la cultura della terra e del mondo verde... A noi ebrei che abbiamo sofferto, tocca inoltre il compito della solidarietà internazionale contro la fame. Per me sionismo è costruire una società giusta. Non m'illudo affatto che tutti gli ebrei americani debbano compiere la loro immigrazione in Israele anche se spero in un'immigrazione dalla società occidentale sempre più ispirata al desiderio di valori. C'è un potenziale nell'ebraismo che ne fa infatti una cultura per una società modello. Il capitalismo crea indifferenza, il Welfare State è in una situazione di collasso... Guardi invece che cosa ha realizzato Israele in campo civile e sociale in soli cinquant'anni, pur avendo la mano destra sempre legata dietro la schiena dalla guerra. Però queste guerre non sono solo un incidente storico: so no parte di un equivoco che il sionismo non volle sciogliere alle sue origini, ovvero l'equi voco di due popoli su una stes sa terra, e anche l'equivoco di un popolo occidentale in mez zo all'Islam. '48 fummo assaliti da sette Paesi nemici; nel '67 da tre su sette; nel '73 da due su tre... Di questi due, uno è l'Egitto con cui è stata fatta una pace solida e l'altro è la Siria con cui ci sono continui colloqui. Però , con i palestinesi i pro blemi sono ancora irrisolti. Lei è d'accordo con la famosa tesi per cui il sionismo ha creato due Stati, quello ebrai co e quello palestinese? So soltanto che sono pronto per uno Stato palestinese. E se fosse stato ispirato anche dal sionismo, sarei fiero di avere indotto sentimenti di identità , di compattezza e forse anche di democrazia nel popolo che è il mio vicino. Le cose stanno comunque in maniera abbastanza semplice: è vero che ci sono ancora problemi, ma viviamo fianco a fianco e dopo cinquant'anni di sanguinosi esercizi, ambedue sappiamo più o meno cosa appartiene a loro e cosa a noi. Essi sanno che cos'è Tel Aviv e noi che cosa sono Gaza e il West Bank. Nessuno s'illude di poter stabilire la propria nazione laddove non gli appartiene. E la definizione che diviene sempre più precisa ci permetterà di vivere fianco a fianco, loro con il loro, chiamiamolo così , sionismo palestinese, e noi con il nostro, ebraico. Aleph Beth Yehshua definisce il diritto degli ebrei a tornare in Eretz Israel un diritto det tato da necessità , e legittima to da questa stessa ragione. Lei mi sembra su posizioni op poste. Yehshua è il continuatore di un sionismo catastrofista, che vede sempre l'ebreo in fuga, in stato di bisogno. Per me non è così : io immagino un sionismo dettato da una spinta interiore, dal desiderio di valori. Fra questi valori oggi è fondamentale la pace: abbiamo già dimostrato di essere capaci di vincere tante guerre. Ora si tratta d'inaugurare un'epoca nuova, e mi sembra che già ci siamo molto vicini, anche se permangono delle difficoltà . Quanti immigrati nuovi giun gono ancora in Israele? otto delle persone che incontra per strada, è venuta negli ultimi otto anni. Grosso modo, l'assorbimento funziona. Non la turba pensare che, spe cie fra i russi, molti sono cri stiani che si sono finti ebrei per fuggire da situazioni drammatiche, d'indigenza o di pericolo? viene richiesto, salvare una vita umana. Poi penso al loro ebraismo, che ritengo tuttavia importante perché mi sembra ancora fondamentale la Legge del Ritorno. Se i nuovi arrivati ritengono di poter far parte di questa comunità che cammina sulla bimillenaria strada del giudaismo, camminino in pace con noi. Fiamma Nirestein

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