L’ INSPIEGABILE VIOLENZA A UN PASSO DALLA FIRMA DELL’ ACCORDO DEFINITIV O La rabbia che cova sotto il negoziato La provocazione di Sharon e le m olte colpe di Arafat
domenica 1 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
PERCHÉ mai a più di sei anni dalla firma dell'accordo di Oslo, a un
passo
dalla firma di un accordo definitivo che prevede la ratificazione
dello
Stato Palestinese, la condivisione di Gerusalemme e la consegna di
più del
90 per cento dei territori, dopo che più del 90 per cento della
popolazione
palestinese è già passata all'Autonomia governata da Arafat, perché
mai,
dunque, in due giorni torna in piazza una violenza addirittura
inedita, che
risuona come un urlo di liberazione dopo tanta repressione dentro la
prigione del processo di pace?
Lo Sceicco Yassin, capo spirituale di Hamas, ordina ai fedeli di
usare
stavolta le pistole e non le pietre, la televisione palestinese fa
leggere
allo speaker un messaggio in cui si dice che i martiri di questi
scontri
sono i salvatori di Gerusalemme e camminano sulla strada dei profeti.
Perché ?
Innanzitutto il casus belli è stato certo l'inopinata visita di Ariel
Sharon
alla Spianata. Anche l'amministrazione americana lo ha accusato di
avere
agito sconsideratamente. L'intenzione del capo del Likud era, da una
parte,
quella di rinfrancare un'opposizione da tempo fiacca e di scaldarle i
muscoli per eventuali elezioni anticipate mostrandosi spavaldamente
arroccato sulla più delicata delle questioni in discussioni fra Barak
e
Arafat. Dall'altra parte, Sharon ha voluto mettersi in primo piano
nel suo
consueto ruolo di falco per dimostrare che lui e solo lui è il capo
della
destra, anche di fronte alla possibilità di un rientro di Netanyahu,
dopo
che l'autorità giudiziaria lo ha prosciolto dalle accuse della
polizia.
Comunque sia, il suo gesto ha acceso la miccia di una bomba che ora
Arafat
palleggia a rischio di subirne la pericolosità .
Se veniamo alla parte palestinese, vediamo che nei moti di queste ore
c'è un
elevato tasso di controllo, come dimostrano anche le dichiarazioni
del capo
dei tanzim, corpo centrale della nuova Intifada, Marwan Bagruti, che
ieri
sera gridava nel fumo del gas: « In questo modo noi palestinesi
mandiamo un
messaggio al mondo perché tenga conto dei nostro sacrosanti diritti
su
Gerusalemme» . I dimostranti erano usciti dalle case come a un segnale
convenuto, armati come non lo erano mai stati. Questo non può
accadere se
Arafat non vuole. Oltre ai tanzim, sono attivi nelle dimostrazioni
anche gli
uomini di Fatah, e la polizia non blocca con decisione i dimostranti.
In
molti casi, invece, attacca a sua volta gli israeliani con le armi
d'ordinanza.
Molto meno presenti sulla scena, almeno per ora, gli uomini di Hamas.
Si può
dire che alla stretta del processo di pace, in cui Arafat deve
prendere o
lasciare l'apertura che gli offre Barak, il rais vuole ripresentarsi
sulla
scena internazionale forte di tutta la rabbia palestinese. Ma essa
non
sarebbe a sua volta comprensibile se, in questi sei anni dall'inizio
del
processo di pace, la leadership palestinese non l’ avesse presentato
al suo
popolo come una metafora per parlare in realtà della lunga marcia
verso lo
Stato Palestinese. Accade così che negli anni del processo di pace
ogni
estate si organizzino, con la benedizione delle autorità , campi in
cui i
bambini a decine di migliaia vengono allenati ad azioni di
guerriglia,
compresi rapimenti e attentati terroristi, accompagnati da aperte
parole
d'ordine antioccidentali e antisraeliane.
Del resto l'intero curriculum scolastico, che sfocia poi in
università
intensamente politicizzate come quella di Bir Zeit, è fondato su
libri di
testo che insegnano a venerare i martiri terroristi, censurano
(tutti) dalle
carte geografiche lo Stato d'Israele, insegnano a più riprese una
lettura
della storia che dichiara il popolo ebraico morto e quindi destituito
di
ogni diritto, nega pesantemente la Shoah, torna in varie maniere
sulla
speranza di liberare tutta la Palestina dall'ingombro storico
d'Israele.
Insomma, mentre i leader parlano di pace, questo lusso non viene
quasi mai
concesso ai ragazzi palestinesi, peraltro già irritati da una vita
con poche
prospettive civili ed economiche. A questo si aggiunga
l'islamizzazione di
massa con il reclutamento di giovani da parte della Jihad e di Hamas,
fenomeno piuttosto recente. Il quadro è tale da far pensare, come ha
detto
ieri il presidente egiziano Hosni Mubarak a Arafat, che il rais debba
pensarci bene, prima di aprire del tutto il vaso di Pandora.