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L’ INFANZIA TRAVOLTA DALLE IDEOLOGIE Il martirio nel nome di Mohammed Ma questo bambino è morto senza telecamere

giovedì 5 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME Non si sa ancora il nome del bambino di nove anni ucciso ieri negli scontri di un'altra giornata di guerra. Sappiamo solo che è stato ucciso a Netzarim. Non ha volto né famiglia, ma solo la terribile santificazione che viene donata ai morti palestinesi, chiamandoli Shahid, martire. Possiamo facilmente immaginare che nelle ore precedenti alla sua morte abbia visti alla televisione le immagini della morte di Mohammed Aldura il bambino ucciso tre giorni prima. Mohammed è diventato il simbolo palestinese di questa guerra: la sua fine, filmata dalle telecamere, è stata ripetuta all'infinito in tutto il mondo arabo, e non solo nell'Autonomia palestinese. La tv ne trasmette ancora a ripetizione l'immagine e ieri a Gerusalemme è comparso, stampato in migliaia di copie, un manifesto che lo effigia riverso sulle ginocchia del padre. Certo questo non spinge i genitori a trattenere i bambini a casa, dato che ieri da Ramallah a Netzarim sciamavano grandi gruppi di piccoli guerrieri armati di pietra. Oltre a destare sentimenti di pena e profondo dolore, Mohammed rappresenta bene l'immaginario collettivo dei palestinese, specie in questo momento politico: un mondo di vittime predestinate, su cui i soldati israeliani sparano senza pietà . La nonna di Mohammed è ormai un personaggio noto alle telecamere, come la sua bella e infelice madre. Ieri, a Netzarim, mentre la folla dei palestinesi correva contro i soldati di Tzahal con il fucile impugnato, i tanzim brandivano il mitra, i ragazzi più grandi lanciavano le bottiglie molotov contro le postazioni militari, tanti bambini lanciavano pietre per poi ritirarsi di fronte alla reazione dei soldati; proprio in quelle ore, la nonna di Mohammed irata sotto il velo nero esclama: « Gerusalemme deve essere nostra, e Mohammed è morto per questo» . La mamma invece piange: anche dovesse giungere la pace, dice, nessuno mi restituirà il suo bambino. Nella casa del piccolo, è stata allestita una camera-santuario, in cui, oltre alle foto di Mohammed, campeggiano i vestiti e i lenzuoli sporchi del sangue innocente del bambino della famiglia Aldura. Gli altri quattro fratelli di Mohammed, tutti ragazzini in tenera età , mostrano ai numerosi visitatori e ai giornalisti le vestigia del loro shahid. Certamente quel lenzuolo resterà a lungo appeso in mostra, sotto gli occhi dei bambini, non un avvertimento contro i pericoli della guerra, ma certo un simbolo di valore da imitare. A Netzarim lo scontro è terribile: un elicottero Apache spara un missile aria terra, e i tanzim si disperdono per poi riformare i loro gruppi. Sulle porte di Betlemme l'esercito israeliano prepara i carri armati nel caso le cose peggiorino; il Capo di Stato Maggiore Shaul Moffaz prevede la possibilità di una autentica ritirata da Kever Yossef, la Tomba di Giuseppe dove è morto il soldato druso Yosef Mahdat perché i soccorsi non sono arrivati in tempo. Ancora non c'erano ieri, segni di pace. E il piccolo sconosciuto probabilmente girava fra queste automobili bruciate dalle bottiglie molotov, fra queste mura sbrecciate dai missili e sforacchiate dalle pallottole, e nella nuvola di fumo dei gas lacrimogeni, in mezzo alle fiumane di uomini e donne che hanno partecipato ai furiosi funerali di uomini i cui corpi venivano portati nelle barelle aperte alti sulla folla, avvolti nelle bandiere palestinesi, il viso spesso incorniciati dalla kefia. Anche il bambino Mohammed è stato seppellito avvolto nella bandiera, uno shahid .Il padre ha più volte ripercorso con i giornalisti gli ultimi istanti del figlio, quando inerme e disperato è stato colpito dalla pallottola che lo ha ucciso. Il piccolo di nove anni morto ieri di nuovo in uno scontro a Netzarim è per ora uno dei tanti bambini che incontriamo sulla polvere bianca prospiciente l'insediamento ebraico cui fa la guardia l'esercito israeliano, il vero teatro di guerra di questi terribili giorni. Non si sa se fosse capitato per la strada per caso, senza sapere che gruppi armati dei tanzim e di fatah si scontravano in quelle ore con l'esercito israeliano. Oppure se fosse uno di quei piccoli dai nove ai quindici anni che spaccano pietre in un angolo, munizioni per correre in battaglia come fosse un gioco, certamente in gran parte con il consenso e l'ammirazione se non della loro stessa madre, certo della società che li circonda. « Spacchiamo questo pietre - spiega un ragazzo di circa dieci anni - per preparare le munizioni. Questo è il nostro messaggio al mondo. Difendo la mia terra» , dice il piccolo. E non ha paura? « Non ho nessuna paura» . Ma potrebbero ucciderti, ferirti.. « Sono qui per difendere la mia terra. Dovrei aver paura di morire? Ma io sono qui per morire, sono qui per essere un martire ,uno shahid» . Lo shahid, l'eroe che non si deve piangere né ricordare durante i giuochi o le ore di scuola, ma ammirare nel fulgore della sua scelta di sacrificio per la patria e per Allah, è l'eroe popolare in cui i bambini di Gaza, di Ramallah, di Betlemme si identificano. Il bambino di cui non conosciamo il volto e che tutto il mondo non può che piangere, era un poco più piccolo di questo che gioca con la morte. Può essere che non desiderasse affatto essere uno shahid, che lui volesse solo giuocare in pace. Gli israeliani seguitano a fare esami di coscienza sul tragico evento, e da oggi avranno un nuovo caso di indagine e riflessione. A catena intanto, dalle vicenda di Mohammed ne è uscita un’ altra: due ragazze di Nazaret sono andate a una delle dimostrazioni in corso per la grande impressione che aveva fatto loro vedere l'episodio alla televisione. Il telegiornale del secondo canale ha mostrato la polizia israeliana che le spingeva, le buttava per terra e colpiva a un braccio col calcio del fucile la più piccola e magra delle due. Una scena che ha immediatamente causato una forte reazione: i poliziotti in causa sono stati sottoposti a indagine giudiziaria. Questa strana guerra.

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