L’ indignazione di Israele Un’ ombra sulla visita in Terra Santa
mercoledì 16 febbraio 2000 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
GERUSALEMME 
UN tono stupefatto al limite della disperazione, il documento di 
protesta 
del ministero degli Esteri israeliano che esprime « indignazione» 
sull’ accordo tra il Vaticano e l’ Olp firmato ieri da Giovanni Paolo 
II e da 
Arafat. Due icone, due uomini vecchi e malati oltre che due leader, 
la cui 
immagine reciprocamente affettuosa e sorridente alla vigilia del 
viaggio del 
Papa in Terra Santa e nel mezzo di una forte crisi del processo di 
pace, 
accresce l’ immagine di Arafat a livello mondiale tanto quanto la 
hanno 
esaltata le calorose strette di mano con Clinton. Arafat colleziona 
così in 
un momento duro proprio per la questione di Gerusalemme anche il 
sostegno 
dell’ uomo più importante del mondo dal punto di vista morale, dopo 
aver 
portato a casa l’ aiuto e le promesse pratiche dell’ amico americano. 
La firma del documento preparato nel corso degli anni passati in 
vista della 
creazione dello Stato palestinese, è avvenuta ironicamente proprio 
nelle ore 
in cui la polizia israeliana teneva una conferenza stampa per 
descrivere 
l’ immenso sforzo che si prepara a sostenere a partire dal 21 marzo 
quando il 
Papa giungerà in Israele. La gran quantità di visite dedicate 
all’ autonomia 
palestinese non solo nei luoghi santi situati sul suo territorio (di 
cui il 
più importante è certamente la Basilica della Natività di Betlemme) 
ma anche 
in occasioni ben più politiche (è prevista anche una visita a un 
campo 
profughi) erano state per ora vissute dalle autorità israeliane 
semplicemente come un necessario colpo al cerchio dopo uno alla botte 
nel 
corso di una visita particolarmente complicata. I fedeli del Papa 
sono 
ovviamente palestinesi, tuttavia la maggioranza dei palestinesi è di 
gran 
lunga musulmana: e i musulmani non sono particolarmente entusiasti 
della 
visita del leader di un’ altra grande religione che si è resa nel 
passato 
responsabile delle Crociate e con cui in generale i rapporti non sono 
mai 
stati ottimi. I cattolici locali, e adesso il Papa in particolare, 
hanno 
sempre avuto il compito di salvaguardare la loro parte di fronte a 
una 
maggioranza talvolta sospettosa. D’ altra parte, gli ebrei si 
aspettavano che 
il Papa capisse che anche per gli israeliani, oltre ad essere un 
onore è 
anche non semplicissimo, dopo millenni di distanza colmata da 
aggressività e 
dalle persecuzioni cattoliche, accogliere il Capo dell’ ultimo tra 
tutti i 
poteri europei che abbia riconosciuto Israele. 
I giornali israeliani per la prima volta nella storia sono ricchi di 
storie 
di cattolici: tentano così di pavimentare la strada ad una migliore 
comprensione del cristianesimo; i rabbini dichiarano finalmente la 
loro 
disponibilità ; si prepara con emozione l’ incontro del vecchio polacco 
con i 
suoi connazionali nell’ ambito della visita a Yad va Shem... ed ecco 
che a 
sorpresa il Papa insieme ad Arafat dichiara di non riconoscere la 
sovranità 
di Israele su Gerusalemme est, di rifiutare ogni decisione 
unilaterale di 
Israele su Gerusalemme, di pensare ad uno statuto internazionale 
della Città 
Vecchia. Israele, nel suo documento protesta con veemenza di aver 
sempre 
salvaguardato la libertà di accesso e di preghiera nei luoghi santi, 
e 
questo è vero, mentre la Giordania fino al 1948 non l’ aveva mai 
fatto: e 
tuttavia la posta in gioco è molto alta, e in questi giorni Arafat sa 
di 
giocare su un terreno arroventato. 
Il 13 di febbraio, giorno in cui avrebbe dovuto essere presentato 
l’ accordo 
ad interim, è passato e tutto ciò che si è visto è stato Arafat 
alzarsi dal 
tavolo delle trattative per abbandonarlo in protesta della lentezza e 
della 
pigrizia israeliana. Barak di fatto non ha voluto cedere ad Arafat il 
territorio da lui richiesto proprio nella zona di Abudis, in pratica 
un 
sobborgo a tre chilometri da Gerusalemme: questo per evitare che 
Arafat si 
allarghi successivamente in direzione della Città Santa quando ci 
saranno i 
colloqui definitivi. Tuttavia si sa che a tutti i livelli, e sotto i 
più 
diversi ombrelli accademici, i politici delle due parti discutono 
ormai da 
anni il tema di Gerusalemme con la tacita decisione di Israele di 
cedere 
zone e poteri. 
Arafat, però , da quel politico di prima qualità che è , ha ancora una 
volta 
mostrato di avere un coniglio nel cappello: con lui gli israeliani 
sempre di 
più devono condividere a braccetto, il palcoscenico mondiale che è 
quello 
che costringerà Barak a divenire più cedevole. Stavolta il Vaticano 
si 
muoverà in fretta nel riconoscimento quando lo Stato dei palestinesi 
sarà 
proclamato. Con capitale Gerusalemme, qualsiasi zona si intenda con 
questo. 
Ed è anche vero che adesso, durante il pellegrinaggio del Papa, 
Israele 
dovrà fare comunque buon viso a un così importante ospite. Soltanto, 
che il 
pellegrinaggio del Papa in questo modo, prenderà una tinta più 
politica e 
meno spirituale. Certamente era quello che Arafat desiderava. Ma 
Giovanni 
Paolo II? 
            