Fiamma Nirenstein Blog

L’ impossibile normalità della guerra

lunedì 28 maggio 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME SCOPPIA una bomba nel centro di Gerusalemme, accanto al pub dove i ragazzi bevono un birra; poco dopo un'altra, accanto al negozio armeno dove compri un regalo agli amici, o al tuo ristorante preferito. Scoppia il centro acquisti pieno di gente. Scoppia la vita quotidiana, la guerra ne fa giustizia. Sprofonda la sala dei matrimoni, zeppa di gente che balla, mentre si spara su Gilo, a Gerusalemme; una folla di ragazzi pazzi di voglia di vivere si sfracella contro le reti dello stadio dove gioca la partita del cuore mentre qualcun altro si sfracella su una bomba terrorista; una baby sitter dimentica una bambina in macchina, e la bimba muore, la sua foto appare sui giornali come quella di Shalhevet, la bambina uccisa dal cecchino palestinese un mese fa circa; un incendio mangia le foreste innaffiate con tanta fatica da quell'Israele che sa far fiorire il deserto, magari un gitante distratto ha buttato un fiammifero, intanto il fumo si leva in colonne dalle bombe del centro di Gerusalemme e si mescolano in cielo. La sequenza degli eventi in questi due giorni di storia di Israele racconta un apologo conturbante: c'era un volta un Paese in guerra che non ne voleva sapere. I soldati in licenza tornavano al fronte la mattina di domenica, ma di notte, al sabato, seguitavano a fare le due al pub, ridendo, bevendo, ballando. Nella zona del Russuna Compound, preferito dai terroristi. I diciottenni amano il pub, amano la compagnia e la birra; la guerra, in un Paese democratico, la si lascia sulla seggiola di camera con la camicia militare. C'era una volta un Paese in guerra in cui i tifosi approfittavano dell'occasione della finale della loro squadra per impazzire un po', scordare i morti e i feriti di tutta la settimana. C'era una volta un matrimonio che voleva essere come tutti gli altri, la gente saltava ubriaca di oblio in una sala che stava già tremando da dieci minuti, ma quando il Titanic affonda, si balla. Dove fuggire, comunque? La baby sitter di Beersheba non capisce più niente, è stravolta da tutti i morti e i feriti che la televisione e i giornali le propongono. Lascia la bambina sotto il sole in macchina, pensa ai funerali di Gerusalemme. E così fa un altro morto. Churchill era un maestro nell'insegnare alla gente a risparmiare ogni energia per il conflitto durante la seconda guerra mondiale. Qui non si risparmia niente, qui nella testa della gente c'è un'ostinazione a mantenere un doppio binario e l'illusione di un'energia infinita: come se il Centro acquisti non fosse una trappola mortale, il pub restasse in tempi come questi un posto di relax, come se la mente potesse vivere una doppia vita, e il corpo passasse indenne dall'una all'altra. E invece la contraddizione che si presenta come una astratta teoria quando si enuncia il problema di una società democratica che debba fare la guerra, qui si fa carne e sangue, soprattutto sangue. La società palestinese non va al cinema, non va al ristorante, non fa picnic, è concentrata sullo scontro. La società israeliana ha la testa per aria, se sente rabbia non la vuol sentire, se sente paura la vuol razionalizzare. E intanto vuole seguitare a vivere, la logica delle « lacrime e sangue» non gli si confà più da tempo. E così si creano nuove lacrime, nuovo sangue. La guerra in pace, come la pace in guerra, non funzionano.

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