L'ILLUSIONE AMERICANA
giovedì 27 giugno 1996 La Stampa 0 commenti
MOLTO sangue americano è stato versato ieri sulle sabbie
mediorientali. È la punta estrema dei tanti episodi di queste ultime
settimane che indicano una prospettiva paurosa, oscura. Che fanno
pensare, in una parola, che la Pax Americana sia alla fine, o
comunque versi in grave crisi, e che quest'area del mondo torni alle
sue consuete convulsioni. Ieri stesso tre soldati israeliani sono
stati uccisi dai terroristi, stavolta penetrati dal confine giordano
che finora re Hussein riusciva a tenere a bada, anche se una
componente palestinese ribelle al processo di pace e finanziata da
Siria ed Iran era sempre stata presente ad Amman. Ora ha potuto agire
indisturbata con un'impresa assai forte. Il fronte libanese si
accende di sinistri bagliori come e più di sempre. Il giro di
Christopher in Medio Oriente dopo tanti trionfi e gloriose photo
opportunities (troppe) è luttuoso: prima Netanyahu che non dice se
evacuerà Hebron e se rispetterà gli accordi territoriali, e che non
intende far promesse all'alleato americano di sempre; poi Hosny
Mubarak che accusa gli Stati Uniti di tenere sempre per Israele e si
rifiuta di fare la conferenza stampa col segretario di Stato
americano. E intanto i giornali del Cairo, in coro con quelli
siriani, avvertono, proclamano, minacciano in sostanza di nuovo come
ai vecchi tempi Israele e l'Occidente. Anche Arafat si dichiara
insoddisfatto, preoccupato, in pericolo. Sullo sfondo il vertice
arabo finito tre giorni or sono: per quanto i suoi risultati si
vedranno nel tempo e le liti interne al mondo mediorientale siano
sempre molto potenti, pure un segno chiaro l'ha dato. Mentre fino a
ieri il ruolo intellettual-egemonico nell'area era legato all'idea di
pace, di accettazione del nemico (cioè quanto più un Presidente
arabo si avvicinava a questo progetto tanto più ne riceveva
prestigio, onore, denaro, in una parola leadership) adesso la
situazione si è rovesciata. Da ogni parte si avverte che questa
idea-guida, che fu lo specifico portato dalla Pax Americana nata con
la guerra del Golfo cinque anni or sono, è stato sostituito di nuovo
con parole d'ordine dure e insofferenti e minacciose. Se Mubarak o
Assad vogliono perseguire la leadership dell'area, in una parola, non
devono più puntare al processo di pace, ma all'opposto alla
ricostituzione di un polo che a parole o a fatti sia anche
anti-israeliano. L'Iran non è più isolato come prima. E Netanyahu,
a sua volta, fa di tutto per mostrare che di fronte a questo
atteggiamento si riserva ogni possibile mossa. Peres avrebbe
contenuto il suodisappunto, convinto com'era che l'idea vincente
fosse il Nuovo Medio Oriente, un mondo di pace e di interscambi
secondo lui possibile da realizzare dopo che è morto il gigante
sovietico fomentatore delle guerre arabe. Certamente il vecchio
patriarca israeliano e il giovane Clinton, con i loro messianismi,
l'uno protestante e l'altro ebraico, si sono incontrati a metà
strada e alquanto incautamente influenzati a vicenda. Qui infatti sta
l'errore: perché il processo di pace, così legato al New Middle
East, e quindi necessariamente all'egemonia culturale ed economica
dell'Occidente e sostenuto politicamente da una mano morbida nei
confronti anche del più minaccioso estremismo islamico, non ha
funzionato. Al contrario, ha creato fra i leader forti una grande
paura di essere invasi dall'Occidente sotto le mentite spoglie della
pace. Assad ebbe grande successo quando alcune settimane fa tenne
Warren Christopher ore ed ore a Damasco a fare anticamera davanti
alla sua porta, facendogli poi sapere che non aveva tempo per lui.
Hanno i loro migliori successi di opinione pubblica i leader egiziani
quando danno alla stampa durissime dichiarazioni anti israeliane
(spesso, anche ai tempi di Rabin e Peres). Ha grande successo anche
Arafat di fronte al popolo palestinese, che pure sa bene che il suo
maggiore interesse è contenere il terrorismo, quando riprende
idealmente in mano il fucile. Clinton si è illuso che la forza della
convinzione avrebbe isolato i nemici della pace. Ha scordato che il
fronte della diffidenza verso l'Occidente è ben più grande di
quello strettamente dottrinal-terrorista, e l'Iran e la Siria,
trattati coi guanti, hanno potuto così dilagare per tutto il Medio
Oriente, in Egitto, in Giordania, in Palestina, in alleanze segrete e
spurie, in finanziamenti diffusi alla ricerca di una leadership che
gli Stati Uniti, e con loro Israele, gli stavano portando via. È dai
tempi di Nasser, il raiss egiziano, che ancora questo cerca e questo
soffre il Medio Oriente: la mancanza di uno Stato e di un personaggio
leader. Siria, Egitto ed Iran non danzano solo sulla scena pro o
contro il processo di pace. Combattono per l'egemonia, che significa
combattere l'Occidente. Fiamma Nirenstein