L'ex olimpionico azzurro Cova corre insieme a tremila ragazzi palesti nesi A Hebron la maratona della pace
lunedì 15 marzo 1999 La Stampa 0 commenti
                
HEBRON 
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Da una parte un ragazzo scuro e baffuto, paonazzo, che sembra stia 
per scoppiare: è il numero 1088. Dall'altra un maschietto di una 
quindicina d'anni, gagliardo, coi capelli scolpiti con la gommina, 
anche lui come tutti corre in maglietta bianca della Tiph, Temprary 
International Presence in Hebron. Dietro, una marea di magliette 
bianche lanciate in corsa, tutte Tiph. E davanti lui, il numero 
337, che corre come un cervo, magrissimo, leggero: sembra che dopo 
dieci chilometri abbia appena cominciato a scaldarsi. Bella forza: 
è Alberto Cova il grande, vincitore delle Olimpiadi di Los Angeles 
nell'84, nell'83 campione del mondo a Helsinki, nell'82 campione 
d'Europa ad Atene. L'ha invitato il gruppo italiano della Tiph per 
questa novità assoluta a Hebron: una maratona per il gusto di 
correre, né per scappare dai soldati israeliani, né per 
rincorrere gli ebrei religiosi con le pietre. Cova, gli sorridono i 
ragazzi, anche a quarant'anni per noi sei il gusto del corpo che 
sfida se stesso e si gode la vita. Un altoparlante rimbomba il suo 
nome nello stadio, un campo recintato dove si scaldano migliaia di 
corridori dai 14 ai 50 anni. Nell'angolo, all'ombra, sono pronte 
anche le donne, di cui molte corrono con il velo. Fra tutti, 
saranno tremila. Hebron, tutti lo sanno, è il più scabroso tra i 
punti d'intesa tra Israele e palestinesi. In mano ad Arafat quasi 
per intero, ma con un gruppo di ebrei nazionalisti e religiosi che 
non ne vuol sentir parlare di scostarsi dalla Tomba dei Patriarchi, 
con Hamas molto forte ed attivo, non passa settimana che non ci sia 
un incidente. 
Stavolta molto del merito quasi impossibile di creare un grande 
evento sportivo di massa in un posto così sensibile, sta nel garbo 
degli Osservatori italiani, 27 su 110 del Contingente, tra 
carabinieri, militari e poliziotti e alcune professioniste che 
lavorano con le donne di Hebron. Al comando, un bel signore rosso 
di capelli e di baffi, alto e magro di nobile portamento. È il 
colonnello Renato Scuzzarello, vicecapo di tutta la Missione. In 
Italia il suo ultimo incarico era di Comandante dei Carabinieri del 
Piemonte. È sorridente, ironico e determinato a fare del suo 
meglio: "Abbiamo parlato per due mesi con la polizia palestinese, 
vari rappresentanti dell'Autorità , col ministero dello Sport, col 
Comune, con Hamas. E anche Hamas alla fine c'è stato, bastava che 
le donne corressero separate dagli uomini. Ce l'abbiamo fatta" 
sospira di sollievo alla fine della gara. Ha condotto in porto 
un'attività molto innovativa, così come innovativa è tutta la 
sua poltiica di equidistanza fra gli interlocutori palestinesi e 
anche con gli israeliani. Come Scuzzarello i suoi uomini parlano un 
ottimo inglese: sono ragazzi italiani moderni, sardi, veneti, 
romani. Come per esempio Carlo Fabiani, che è già stato in 
missione nel Cachemire, il "Chief Comunication Officer", militare, 
o come il maresciallo Walter Ibba, che ha passato difficili momenti 
in Cambogia... Vita spartana, lontano dalla moglie, fuori dallo 
stereotipo. 
"Hebron è tutta un su e giù , niente è in piano" esclama Cova. E 
non sa quanto sia vero. Mentre corre frenando (noblesse oblige!) e 
fa i diecimila in circa 32 minuti, gli scorrono davanti agli occhi 
le fognature scoperte, la spazzatura, i negozi di difficile 
definizione... Non importa, si corre! Una marea di energia si 
rovescia sulla strada. Le ragazze col velo arrivano allo stadio col 
fiatone. Una vuole fare da grande la giornalista e la scrittrice, 
un'altra la viaggiatrice. Un'altra confessa, ridendo, che era 
meglio correre mescolate ai ragazzi. I giovani si accalcano in 
maniera così dilagante, che i loro maestri gli mollano qualche 
botta nelle gambe con un'asta, ma piano. E quando corrono, corrono 
sul serio, sudano in silenzio. Chi ha vinto? Nessuno lo sa, neppure 
Scuzzarello lo sa. L'importante era passare una giornata nel mondo, 
senza odio, godendosi la vita. Fateci sognare la pace, sembrano 
dire i ragazzi palestinesi, grazie Cova e Scuzzarello. 
Fiamma Nirenstein 
            