L’ ESTREMO BANCO DI PROVA
mercoledì 19 settembre 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
IERI, nel Capodanno ebraico del 5762 Israele ritira l'esercito,
Arafat
dichiara il cessate il fuoco in arabo e si dice pronto a unirsi alla
coalizione contro il terrorismo. Si tratta stavolta di una tregua più
credibile di tutte quelle precedenti, perché il peso degli Stati
Uniti è
stavolta immenso. Arafat non vuole essere aggregato alla famiglia dei
nemici, Sharon non vuole intralciare la guerra globale antiterrorista
che
gli Usa promettono di lanciare e accetta l'idea di tirarsi da parte
per
evitare di dar fuoco a una Jihad senza confini.
Quello a cui assistiamo in queste ore è un'operazione estrema,
difficile da
realizzare perché Hamas è invece parte entusiasta del campo
antioccidentale
e non vorrà piegarsi agli ordini del nemico più odiato insieme a
Israele,
gli Usa. Ma ciò che abbiamo sentito ripetere tante volte da una
settimana,
ovvero che « niente sarà più come prima» trova qui una sua prima
verifica, un
suo fondamentale nodo strategico: bloccare il conflitto
israelo-palestinese
significa in prima istanza bloccare il terrorismo che ha infestato
l'area, e
con esso le dure reazioni israeliane. E' in piccolo un tipo di
operazione
che, se altri stati come la Siria o l'Iran entreranno nella
coalizione, sarà
tentata ovunque: cercare di utilizzare il potere costituito per
combattere
le organizzazioni terroriste.
Qui, Arafat per bloccare Hamas e la Jihad dovrà usare non solo le
parole, ma
la forza, la coercizione dell'arresto. La Siria e l'Iran secondo
questo
segnale, saranno a loro volta chiamate a bloccare gli Hezbollah,
l'Arabia
Saudita a cessare dai finanziamenti sospetti e così via. E'
possibile? E' un
banco di prova per la lotta al terrorismo in tutto il mondo, oltre
che un
segnale di pace per la zona più tragicamente tormentata.