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L’ ESERCITO VUOLE CONTRIBUIRE ALLA RISPOSTA AMERICANA La sfida del terrorismo globalizzato Ora Israele teme le armi chimiche

domenica 16 settembre 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME POCHE cose, davvero poche, sono chiare come questa: il Medio Oriente sta per scaldarsi. Quanto questo avverrà alle spese o a vantaggio di Israele è tutto da vedere, così come è assai incerto se Israele pagherà un prezzo enorme nel caso divenga il bersaglio principale dell'odio degli Stati e delle organizzazioni islamiche o se invece approfitterà della situazione per guadagnare punti nel conflitto Israelo palestinese, e in genere nella partita che, con diverse sfumature, si gioca fra più di ottocento milioni di musulmani e lo Stato Ebraico. Perché Israele ieri ha attaccato Gaza come nei momenti duri dell'Intifada che da un anno preciso infiamma la zona, e qual è la strategia palestinese per il prossimo futuro? Ci sono due aspetti nell'attacco di ieri con i missili terra-terra. Da una parte una sorta di routine preventivo-punitiva, che il portavoce di Sharon Avi Pazner spiega così : « Da quando le Twin Towers sono crollate in seguito all'attacco terrorista, abbiamo ricevuto cento, dico cento, attacchi terroristi. Arafat non ha dato ordine di fermare il terrore, e noi dobbiamo tutelare, specie in questa situazione, i nostri cittadini» . Ma Hanan Ashrawi, la portavoce dei palestinesi e della Lega Araba, insiste sulla pretestuosità dell'attacco. Certamente, siamo di fronte a un'azione dimostrativa: Israele è molto preoccupato, addirittura in allarme rosso rispetto di possibili attacchi di terrorismo catastrofico (oltre a Hamas e la Jihad, sono stati identificati gruppi di palestinesi che aderiscono all'Al Qaeda di Bin Laden: nel giugno del 2000 è stato bloccato un gruppo di palestinesi guidati da Nabil Okal del campo profughi di Jebalja a Gaza che da era stato istruito da Bin Laden in Afghanistan) e manda messaggi a Arafat: « Ferma i terroristi, ora o mai più » . Arafat per parte sua, insistendo sulla sua solidarietà agli Americani (ma la piazza, come del resto gran parte delle popolazioni dell'area e anche i suoi media e i suoi chierici sono generalmente solidali col terrorismo islamico e i « record» dell'antiamericanismo sono migliaia, e da ben prima dell'amministrazione Bush) è orientato verso la coalizione che Bush formerà e per questo ha anche cancellato il viaggio in Siria, uno Stato nella lista dei sostenitori del terrorismo. Perché Israele ha paura di attacchi catastrofici, benchè sia certo molto meglio attrezzata degli Usa, dato il lungo e impietoso allenamento? Perché attacchi di terrorismo di massa all'EL Al e bombe nei grattacieli ci sono già stati, perché Hamas ha pianificato di usare armi chimiche, perché leader dei tanzim e del fatah hanno parlato recentemente del bisogno di usare armi biologiche contro Israele, e soprattutto perché , l'effetto imitazione trionfalista è enorme in un mondo in cui è molto facile, molto più che in America, arruolare schiere di terroristi suicidi. Certamente Arafat, ammaestrato dall'esperienza di avere fiancheggiato Saddam Hussein nel ‘ 91 contro gli Stati Uniti, teme di venire paragonato all'Afghanistan: come quello ha ospitato Bin Laden, così Arafat teme di sentirsi ripetere, stavolta in una situazione ben più pericolosa per lui, di avere dato mano libera al terrore dall'inizio dell'Intifada, anche semplicemente non arrestando gli uomini di Hamas, come in base all'accordo Tenet e al mai realizzato documento Mitchell si suppone che l'Autonomia Palestinese avrebbe dovuto fare per avviare un processo di pace. E' in questa luce che Sharon, che in genere si guarda bene dal forzare la mano al suo più prezioso ministro Shimon Peres, ha chiesto a Peres di non incontrare Arafat: l'idea è di lasciarlo cucinare, finchè non si capisca in che direzione vadano gli Stati Uniti, in un'incerta cottura che lo porti alla fin fine ad arrestare i capi di Hamas e della Jihad: non è detto che non lo faccia. Peres insiste per l'incontro, che consente di acquistare punti, invece, in caso di conflitto, sul fronte garantista- pacifista internazionale. Israele intanto a sua volta si domanda se la coalizione che gli americani stanno preparando prima di sferrare il colpo li includerà solo come membri passivi, come al tempo in cui gli Usa dissero a Shamir di tenersi fuori dalla Guerra del Golfo per evitare di infiammare il campo, dato che il Piccolo Satana è molto più odiato del Grande Satana, oppure se avrà il permesso di intervenire. Il pericolo che correrebbe sarebbe enorme, è evidente, ma anche l'opportunità di usare di nuovo l'esercito non in operazioni preventive o di repressione ma in una guerra ricostituirebbe il patrimonio di deterrenza che Israele non possiede più . Uomini di Stato, dell'esercito e della sicurezza stano ora ridefinendo la posizione dello Stato Ebraico nella possibilità dello scoppio di un nuovo conflitto d'area: alla base la domanda è se essa si presenta come un'occasione per diminuire la pressione del terrorismo che tormenta il paese in maniera basilare, distruggendone in parte la vita civile, e anche come un'occasione di acquistare un ruolo importante nell'ambito della comunità internazionale nell'affrontare il nemico basilare di oggi, il terrorismo catastrofico

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