L’ ESCALATION E’ FRUTTO DELLA DRAMMATICA REALTA’ MA PUO’ SFUGGIRE DI MANO Sharon, Arafat, Bush: rischiosa sfida a tre A Gerusalemme solo Peres considera ancora Arafat un partner
domenica 21 ottobre 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
E' un'escalation disperata quella che ha luogo in queste ore,
perché è
autentica, veritiera, specchio di una realtà spiralizzata. Guardiamo
i due
panorami, quello palestinese e quello di Sharon. Arafat si è mosso
alcuni
giorni fra nell'approvazione e fra i sorrisi di mezzo mondo, con
l'imprimatur della visita a Tony Blair. Riesce con la sua consueta
abilità
politica a bloccare ogni tentativo di Israele di farlo annoverare fra
i
sostenitori del terrorismo, blocca le manifestazioni filo-Bin Laden
lasciando che la sua polizia uccida (cosa che nessuno realmente
nota),
promette di tenere fermo il terrorismo.
E qui qualcosa non funziona. Mentre Bush ripete per la terza volta in
un
mese che è urgente lo Stato palestinese, viene trucidato dai
terroristi nel
deserto un gitante di trent'anni in jeep che è stato erroneamente
dipinto
come un colono; si spara da tutte le parti; il ministro Rehavam Zeevi
viene
assassinato fra la stupefazione generale (bisogna ricordare, per
capire
l'atmosfera, l'assassinio di Aldo Moro, un uomo di destra ma parte
del
paesaggio interiore di tutte le parti politiche); e infine, cosa che
forse
più di ogni altra preme il grilletto dell'escalation, il quartiere di
Gilo,
che per quanto si possa dipingere come un « insediamento» è ad ogni
effetto
un pezzo di Gerusalemme, viene di nuovo bombardato, anche a colpi di
bazooka. E sia Arafat sia il suo capo della polizia Jibril Rajub
avevano
promesso che questo non sarebbe mai più accaduto.
Guardiamo ora a Sharon: lunedì scorso, prima delle dimissioni di
Zeevi e di
Avidor Lieberman da destra, riceve un gruppo infuriato di coloni che
gli
raccontano daccapo tutte le incursioni terroristiche subite e gli
dicono che
è inutile che urli tanto dicendo che Israele non vuole diventare una
seconda
Cecoslovacchia tradita, se poi Shimon Peres mostra incessantemente
agli
americani con il suo stesso comportamento che Arafat è un partner.
Sharon si
infuria con i coloni, cerca di spiegare loro che la sua politica è
rispondere senza tregua agli attacchi ma che la situazione
internazionale
non gli consente di agire più a fondo; anche lui è convinto, al
contrario di
Peres, che Arafat non sia più un partner.
Sharon è come un'amante tradita dagli Stati Uniti: ha visto la Siria,
paradosso dei paradossi, entrare nel Consiglio di Sicurezza; l'Onu
prendere
il premio Nobel; il mondo intero parlare della sofferenza dei
palestinesi
mentre di Israele tutti sperano solo che non disturbi il manovratore.
L'assassinio di Zeevi lo riempie anche di sensi di colpa verso l'uomo
che
gli aveva sempre predicato che Arafat non è un partner, ma un nemico
da
battere. Sharon avverte l'esercito di tenersi pronto alla possibilità
che
Arafat resti all'estero durante uno dei suoi giri, impedito da
Israele di
atterrare a Gaza. Tutta la sinistra, primo fra tutti Peres, lo
avvertono che
questo sarebbe un errore letale.
Allora Sharon si muove su svariati terreni, escludendo sia la linea
di
Peres, che vuole continuare comunque il dialogo, sia quella di
Netanyahu,
che vuole rioccupare stabilmente le zone A: chiede ad Arafat di
consegnare i
terroristi dell'Fplp ben sapendo che non otterrà niente; manda sei
ministri
in America, compreso Peres, a spiegare che la situazione è molto
cambiata e
che non c'è più da sperare in Arafat; sa bene che Peres continuerà a
propagandare Arafat come possibile partner; e, sia pure attaccando
ovunque
con i carri armati, aumenta in durezza ma non cambia linea. E'
infuriato, ma
è deciso a non rompere con gli americani, che mentre gli mandano
segnali di
comprensione per l'assassinio del ministro, pure non mettono nella
lista dei
terroristi da battere subito né Hamas né la Jihad né l'Fplp. Si
guarda bene
da spedire negli Usa anche Netanyahu, che seguita a ripetere ad alta
voce
che tutti i terroristi palestinesi sono dei taleban. Vorrebbe che gli
spari
su Gilo e l'assassinio di Zeevi lo suggerissero da soli. Vorrebbe
anche che
gli americani capissero dagli eventi che possono giocare con Israele
come
con un alleato fedele, ma molto determinato a difendere i suoi. Fino
a che
punto? Probabilmente fino a quello in cui gli americani intimano
l'alt e la
bella figura ormai è stata fatta.
E Arafat? Arafat non consegnerà gli assassini, ma a sua volta non
scatenerà
la rivolta fino a irritare troppo il sorridente Bush. Triste e
duraturo è lo
scontro, e mortale. E poi ci sono le schegge impazzite: dice Israele
che un
attacco chimico era previsto nel cuore di Gerusalemme in questi
giorni.