L’ EREDE L’ EX SINDACO DI GERUSALEMME DOVRÀ REGGERE IL PAESE PER 83 GIO RNI FINO ALLE ELEZIONI. E FORSE ANCHE DOPO Olmert, l’ ombra del premier Al fe delissimo di Sharon tocca l’ eredità del governo e del partito Kadima
sabato 7 gennaio 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Olmert da quando la tragedia si è abbattuta su Sharon non una sola volta si
è seduto nell’ ufficio del suo capo, mai ha preso il tono del padrone. Ma lo
contraddice la cura con cui la zona è stretta dalle più severe misure di
sicurezza, la proibizione di passare dalla stradina se non per motivi
precisi. Solo Shimon Peres e i due consiglieri strategici di Sharon sono
entrati senza controlli.
Olmert, che ha sessanta anni e occhiaie molto profonde mentre stringe
continuamente le labbra molto sottili in una linea bianca, oltre al dolore
evidente che tutti sentono mentre il gigante agonizza all’ ospedale Hadassah
Ein Karem, ha addosso il peso di far capire al mondo che Israele ancora una
volta colpito da una tragedia impossibile, continua a far politica, a
difendere i suoi confini e a cercare la pace. Si dice che un messaggio è
stato lanciato dagli uffici della leadership all’ Iran e ai Paesi arabi, e
soprattutto agli Hezbollah, i migliori amici di Ahmadinejad, perché si
regolino e facciano sapere ai loro protettori: non ci provate. Ma il mondo
si chiede adesso se Israele si ripiegherà su sé stesso, porrà fine ai
tentativi di pace inaugurati da Sharon, sarà in grado di condurre una
politica di sicurezza decisa eppure ben regolata come il grande generale
sapeva gestire, e anche se il partito Kadima, fondato l’ altro ieri, chiuderà
i battenti.
Ma Ehud Olmert è un personaggio che per ciò che è strutturalmente, segnala,
e lo si capirà presto, che Israele non perderà la strada di Sharon. Il
segnale è forte perché Olmert non è solo, anche se oggi è disperato: tanta
gente tiene magari non per lui, ma per la sua linea. Non è un tipo
ideologico, non è una figura né di eroe militare né di intellettuale come i
precedenti grandi leader di Israele, Moshè Dayan o Yzhak Rabin. Ma forse
conquista proprio per il suo carattere di vecchio politico classico e di
cittadino che ha fatto insieme a Sharon la strada storico-ideologica che
altre centinaia di migliaia di cittadini israeliani hanno fatto dando al
nuovo partito Kadima le adesioni che tuttora (anche se certo il numero si
restringerà ) si mantengono fra il 35 e il 40%. Olmert è ancora giovane,
sportivo, ha una esperienza politica consistente (32 anni) sempre nel Likud
fino a Kadima, 4 incarichi di ministro inaugurati 18 anni fa; l’ esperienza
come braccio destro di Sharon, la fortuna certo non da poco di essere stato
sindaco di Gerusalemme dal ‘ 92 al ‘ 99, dopo aver battuto l’ immortale Teddy
Kollek.
E’ stato tutto: negli anni ‘ 70, quando aveva ancora riccioli rossi, ingaggiò
una famosa guerra quasi personale contro le gang del crimine; ha lodato Ehud
Barak (suscitando scandalo a destra) per la sua determinazione a non
dividere la capitale, ed è apparso come il duro (facendosi odiare a
sinistra) che aprendo un tunnel poco lontano dal Muro del Pianto dette il
via a una rivolta con morti e feriti. Nella sua vita ciò che manca è una
consistente esperienza militare: ha fatto il soldato come cronista del
giornale dell’ esercito. Ma la fiducia che Sharon ha avuto in lui fino a
dargli il posto di Netanyahu nella gestione della politica e di conservargli
il ruolo di vice primo ministro persino con l’ arrivo di Peres nel Kadima,
sono la torcia che può far fiammeggiare davanti al pubblico. Olmert se l’ è
guadagnata: prima di diventare il più stretto collaboratore di Sharon lo
insulta (al funerale della moglie di Sharon, Lily, nel marzo 2000, commentò
« E’ scomparsa una grande donna che aveva scelto un uomo ben strano» ) e lo
sfida fino a contrapporsi nel 2001 nella corsa per la leadership del Likud.
In seguito il rapporto cresce in maniera esponenziale, e ribolle e fuma come
una cucina di elaborazione e di difesa senza riserve della scelta dello
sgombero. Tanto che fu Olmert, e non Sharon, ad annunciarla al mondo nella
stupefacente intervista del dicembre 2003, concertata per aprire la strada
al discorso del premier un mese dopo.
La forza che resta nelle mani di Olmert deriva dal fatto che la via di
Sharon non deriva come alcuni vorrebbero, da una svolta secca per cui uscito
il protagonista di scena resta il vuoto. Sharon vide quello che era ormai
molto chiaro agli israeliani e che ha provocato successivamente
l’ assemblarsi di tanta gente e di tanti politici dal curriculum invidiabile,
come Shimon Peres o Shaul Mofaz o Tzipi Livni. Il tentativo di mettere in
atto il principio « terra contro pace» non funzionava; né funzionavano le
numerose firme apposte ai tanti accordi, quello di Oslo, quello di Wye
Plantation. Alla fine un’ esplosione, in senso figurativo e letterale, era
sempre in attesa dietro l’ angolo. Sharon ha scoperto la semplice formula di
tendere la mano per la pace in maniera concreta e unilaterale, come ha fatto
a Gaza; e ha scoperto che senza la sicurezza qualsiasi cosa avrebbe potuto
essere chiamata pace, ma non lo era. Ha gestito i due fronti, sicurezza e
pace, contemporaneamente. Così sente e vuole l’ israeliano che ha sofferto il
terrorismo, e desidera però sperare nel futuro. Si tratta della maggioranza,
e Olmert ne fa parte. Bisogna vedere se in 83 giorni sarà capace di
convincerne l’ elettorato.